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15 OTTOBRE/ L’ETERNO E L’EFFIMERO

Teresa d’Àvila, quando preparava da mangiare alle sue consorelle, era in­tenta alla buona cottura di un piatto e nello stesso tempo concepiva splendi­di pensieri su Dio. Esercitava quell’arte di vivere che è l’arte più grande: gioire dell’eterno prendendosi cura dell’effimero.

CHRISTIAN BOBIN

Quante ambiguità interpretative si sono consumate intorno alle due figure femminili evangeliche di Marta e Maria, lette sbrigativa­mente come i rispettivi emblemi della vita attiva e di quella contem­plativa, con la prevalenza elogiativa della seconda sulla prima. In realtà, il limite di Marta – come osserva Luca – è nel suo essere «tut­ta presa dai molti servizi», perdendo di vista «la sola cosa di cui c’è bisogno», per «preoccuparsi e agitarsi per troppe cose» (Luca 10,38- 42). L’effimero, pur necessario (Gesù, dopo tutto, amava sedersi alla tavola preparata dai suoi ospiti), non deve scindersi radicalmente dall’eterno, isolandolo o peggio annientandolo.

È ciò che ci viene ricordato dalla nota sopra citata, desunta dal li­bretto Il distacco dal mondo dello scrittore francese Christian Bobin, da noi già altre volte citato, e centrata sulla santa di cui oggi il ca­lendario fa memoria, la grande Teresa d’Àvila, mistica e donna d’a­zione, contemplativa ma anche figura intellettuale di primo piano, dolce e provocatoria al tempo stesso. La sua capacità di tener unito in un nodo d’oro l’effimero e l’eterno, il relativo e l’assoluto, la cuci­na con la meditazione, sapendo che questi due poli sono distinti ma non separati, è una lezione preziosa per tutti. È per questa via che si costruisce una fede incarnata, che non veleggia dalla carità quoti­diana verso vaghi cieli mitici ma neppure si dissolve in un attivi­smo storico esteriore. È questo l’equilibrio fondamentale dell’Incar­nazione cristiana.

Gianfranco Ravasi