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20 OTTOBRE/ IL CANTO DELL’ASINO

Il mio,verso è ripugnante, ali erratiche le orecchie/sono una diabolica paro­dia ambulante di ogni quadrupede. / Cencioso proscritto dal mondo, vec­chia capoccia ostinata, / affamami, frustami, deridimi: rimarrò muto, / te­nendo dentro di me il mio segreto. / Stolti! Anch’io ho avuto la mia grande ora, / un’ora dolce e fiera: / sentivo acclamazioni nelle orecchie / e avevo pal­me sotto i miei piedi!

GILBERT K. CHESTERTON

S’intitola The Wild Knight, ossia «il cavaliere selvaggio», ed è una bella poesiola di quell’eccezionale scrittore cattolico inglese che è stato Gilbert K. Chesterton. A parlare, come nelle favole, è un ani­male, l’asino. Alle sue spalle c’è una storia non certo facile: brutto e sgraziato agli occhi di molti, parodia del ben più elegante e ammi­rato cavallo, vittima di ostinazioni sue e di violenze altrui, questa povera bestia è l’incarnazione del suddito un po’ fallito e un po’ oppresso.

C’è, però, un «ma». E gli ultimi versi lo dicono in modo evocativo: la domenica delle Palme fu un asino al centro della festa perché su di lui Cristo era salito, proprio come usavano fare in tempo di pace i re che optavano per il più pacato e trotterellante somaro durante i loro percorsi in città. La parabola è chiara: tante persone malvestite e brutte, messe ai margini o sfruttate, hanno chi le stima e pensa a lo­ro. E noi dovremmo qualche volta di più rompere lo schema pubbli­citario del bello e perfetto per andare oltre le apparenze e scoprire le anime, i valori nascosti, la bellezza interiore. Infatti, normalmente è più prezioso l’asino del cavallo, la gallina rispetto al pavone: e que­sta è una metafora che tutti possono capire.

Gianfranco Ravasi