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LOTTA DI PARTITI A PESCHICI

Carmela Damiani era stata assunta dal Comune di Peschici quale mae­stra nelle Scuole Elementari il Io giugno 1867.

Nel suo “memoriale” così si legge “assunta in carico di maestra con nomina d’ufficio, servii senza alcuna interruzione, senza richiami di sorta da parte di qualsiasi autorità, fino a tutto l’anno scolastico 1898, quando, essen­do scaduta la mia nomina dell’ultimo biennio, ed essendomi stato negato il certificato di lodevole servizio per intrighi di partiti, che stimo meglio tacere, nonostante l’unanime favorevole parere del Consiglio Comunale, fui licenzia­ta, dopo di aver logorata la vita a pro delle figlie del popolo, per le ragioni che verrò in seguito svolgendo, che alla tarda età in cui mi trovavo (aveva allora 62 anni), era quasi impossibile di poter essere nominata altrove. Da questo punto è mestiere che io mi porti indietro, al principio cioè nel 1895, quando per scalzare il partito amministrativo del Cav. Ufficiale Domenico Martucci (1), che da trienni teneva il Sindacato con pubblica acclamazione, fecero capolino, da molti anni che non si erano fatti vivi, i Sigg. Libetta Comm. Carlo e Della Torre Biase, i quali si prepararono il terreno anche con mezzi illeciti per ingrossare le loro file”.

La Damiani, nel dire che “fecero capolino, da molti anni che non si erano fatti vivi i Sigg. Libetta Comm. Carlo e Della Torre Biase”, evidente­mente non aveva percepito a fondo i mutamenti politici conseguenti all’Unità d’Italia.

Ella non aveva conosciuto bene Giuseppe Libetta il quale, fervente libe­rale, dopo la nota traversata del Mediterraneo con la prima nave a vapore, il Ferdinando I, della quale da Alfiere di Vascello era stato il primo Comandan-, te, dimesso il 30 luglio del 1822 dalla Reai Marina Borbonica, si trovava a Peschici, quando lei aveva appena sedici anni.

Giuseppe Libetta era deceduto il 30/5/1855 e, se anche la Damiani l’a­vesse conosciuto, avendo ella appena 19 anni, non era certamente bene a co­noscenza dei moti del 1848, allorché, eletto Deputato per la Daunia il 27/4 dello stesso anno, insieme a Giuseppe Ricciardi e Saverio Barberisi di Foggia, Luigi Zuppetta di Castelnuovo, l’Arcidiacono Nicola Mantuani di Monte S. Angelo, Gaetano De Peppo di Lucera e Giuseppe Tortora di Cerignola, era presente a Napoli nel giorno drammatico in cui Re Ferdinando II ritirò la Costituzione, dopo averla concessa il 29/2/1848 con giuramento sul Vangelo, nella Basilica di S. Francesco di Paola, divenendo in tal modo spergiuro e provocando nello stesso tempo i moti della cittadinanza e del popolo del Re­gno.

La Damiani, invece, aveva certamente conosciuto i figli del Libetta: Giulio Cesare, dedito a studi economici, Pasquale e Carlo, tutti nati a Peschi­ci, i quali ultimi due, pur essendo ufficiali della Marina Borbonica, seguendo le orme del padre, intelligentemente si erano dimessi entrando a far parte coi gradi di Tenenti nella nuova flotta che Garibaldi andava organizzando, insie­me ad altri ufficiali (Accinni e Cottrau). E poi questi Libetta, al termine della loro carriera, raggiunto il grado di Tenente di Vascello, si erano ritirati a Pe­schici per continuare la lotta contro il regime borbonico e per consolidare sempre più l’Unità d’Italia e la libertà acquisita.

Continua il racconto della Damiani:

“Votiamo, infatti, il 28 luglio dell’anno predetto (1895) per l’elezioni dell’intero consiglio comunale, in seguito a scioglimento di esso. Si riteneva che la maggioranza stava per Martucci, ma intanto gli avversari si presenta­no compatti nella sala con la fiducia di riuscire vincitori. Chiamato per vota­re una delle cinque guardie della brigata campestre, che erano comprese nel­l’elenco dei votanti, il presidente del seggio, Pretore Bazzabo, del mandamen­to di Vico del Gargano, con una indifferenza non sospettata, fa sentire che si riserva di far votare all’ultima ora la Brigata Campestre. Ma quale non fu la sorpresa quando, presentata al tavolo per votare, dichiararono di non ammet­terla, perchè, corpo organizzato, dovevano essere comprese nell’elenco spe­ciale di quegli elettori di cui il voto è sospeso, dichiarando chiusa la votazio­ne. Si figurino i lettori, se a Dio non piacque, che le guardie, ricevuto colpo secco, volevano avventarsi al seggio, e cavare gli occhi a quella perla di ga­lantuomo del presidente, nonché il capo partito Sig. Martucci che era presen­te nella sala, ingiunse alle guardie di fermarsi e desistere di ogni atto violen­to, perchè la Giunta Provinciale Amministrativa (2) mercè regolare protesta, avrebbe annullata la votazione. E così risultò la maggioranza a favore del partito Libetta – Della Torre per due soli voti in più.

Indetta la nuova votazione verso i primi di agosto, la nuova ammini­strazione nomina nella prima seduta una commissione d’inchiesta la quale mise fuori dagli archivi della segreteria carte, atti e registri del Segretario Comunale Luigi Sarro (nato nel 1858, era segretario dal 1890), del quale il nuovo Consiglio (Libetta – Della Torre) vuole liberarsi per ragioni che sareb­be troppo lungo spiegare. Dalla inchiesta ne esce fuori una scandalosa rela­zione, che qualifica galeotti e peggio, ben 22 cittadini: i 15 consiglieri col Sindaco della caduta amministrazione; il Segretario Comunale; la Brigata delle cinque Guardie Campestri; la guardia municipale; tutti accusati di tanti vergognosi addebiti in seguito di che, perchè si fossero potuto spedire le ac­cuse alla R. a Procura di Lucerà, il Consiglio prese apposita deliberazione. In precedenza delle risoluzioni processuali, il Consiglio sospese di soldi e funzioni, ad libitum, il Segretario Comunale (Luigi Sarro), nonostante capito­lato per dodici anni, dei quali ne aveva fatto appena cinque, e licenziata l’intera Brigata Campestre. La R. a Procura di Lucerà sulla istanza dell’Ente Morale Comune, dispose ed ordinò l’istruzione processuale, dandone l’incari­co al Pretore Sig. Borgia del mandamento di Vieste, che durò un anno per portarlo a termine, essendo stati intesi centinaia di testimoni. Tralascio per il momento questa parte, e dico ai lettori, che la Giunta Provinciale Amministrativa di Capitanata, facendo diritto al reclamo della Brigata Campestre, annullò la votazione del 28 luglio e, nei principi del di­cembre, dalla R. a. Prefettura fu spedito Commisario il Rag. Cav. Torre, il quale riappuntò le nuove elezioni per il 22 dicembre 1895. Da questo provve­dimento ognuno può figurarsi quale scossa fu per il partito Libetta – Della Torre per la perdita del potere e per i palpiti di non poterlo più afferrare, sfumando i loro desideri di vedere condannati gli accusati, di maniera che raddoppiarono gli effetti a mille doppi per ingrossare le fila del loro partito… e qui incominciano le dolenti note per noi. I Sigg. Libetta – Della Torre, visto e misurato il dubbio della vittoria a loro favore, concepirono il progetto, che mio marito (Federico Fortunato Sarro), tuttora d’incarico d’impiego Comuna­le, come io maestra elementare, il giorno precedente la votazione (quella del 22 dicembre 1895) se ne dovesse andare a Vico del Gargano per togliere un voto al partito Martucci, col quale mio marito militava per mille ragioni di convenieneza e di dovere; e perciò a bella posta si puntarono colà dal mio nipote Avv. Michele Tomajuoli, al quale esposero il loro piano, (lo stesso To- majuoli), promise la non dubbia riuscita di contentarli, perchè di mio marito poteva disporre e comandarlo a bacchetta, assicurandoli che lo avrebbe scrit­to a riguardo, come gli scrisse la seguente lettera”.

Il detto Avv. Tomajuoli, nipote di Carmela Damiani e quindi di suo marito Federico Fortunato, faceva parte anch’egli della nuova corrente, anche perchè era parente a Biase Della Torre, in quanto aveva sposato Maria Miche- la Giuseppa Della Torre, figlia di Don Matteo, ed il detto Biase era il fratello di Don Matteo, figli di Don Tommaso Della Torre (3) e di Donna Maria Michela Medina. Quindi il nipote della Damiani l’Avv. Michele poteva influi­re e comandare benissimo Federico Fortunato, marito della Damiani.

Ecco la Lettera dell’Avv. Michele:

“Vico del Gargano. 16 dicembre 1895. Carissimo zio. Vi scrivo ad ora tarda della sera, perchè domani devo partire per Lucerà, donde ritornerò la sera della vigilia (di Natale). Scopo di questa mia lettera è quello di adempie­re un mio dovere verso di Voi, espletato ‘il quale, non avrò a lagnarmi di me, nè lo potrete far voi. Sapete purtroppo che pel giorno 22 dicembre si ripete­ranno constò le elezioni amministrative. Io vi ricordo, che Voi non dovete pigliar parte a questa votazione, perchè, un impiegato, quale voi siete, non deve partecipare nè per l’uno, nè per l’altro partito. Ricordate tutto quello che si è fatto per voi e per la maestra, e poi pensate se sia il caso di cimentarvi novellamente. Voi dovete pensare solamente a voi e alla vostra famiglia, non ai guai di vostro fratello (Luigi), il quale per aiutare se stesso, cerca di rovi­nare voi. Se credete di non dare ascolto alle mie preghiere, padronissimi di farlo però dopo non dovete dolervi di quello che potrà capitarvi, nè implorare pietà e misericordia, o giustificazione alcuna. Io non vi dico di votare per l’uno o per l’altro partito: dico solo che il vostro dovere sacrosanto è quello di astenervi dal votare. Così facendo, avrete dimostrato ancora una volta di essere quell’uomo che siete, e amante del benessere della vostra famiglia. Io comprendo tutto quello che vorrete dirmi; che cioè vostro fratello Segretario Luigi vi trascinerà per collo all’urna, perchè gli hanno creato un diluvio d’imbarazzi per rovinarlo e scalzarlo d’impiego, ed io vi rispondo: pa­dronissimo vostro fratello di pensare per aiutarsi, ma voi, caro zio, non pote­te, nè dovete seguire lui stesso da aggiustare, e ciò per vostro decoro, e pel vostro ben. Finora è stato lui che, come un bambino, vi ha trascinato ove ha voluto; ma ora che la questione si è fatta molto grossa (vi dovevano essere certamente dei motivi circa la condotta del fratello Luigi presso il Comune che qui non vengono palesati), voi dovete restare in disparte, e lasciare lui precipitare dove vuole. Non votando nè per l’uno, nè per l’altro partito, nes­suno potrà lagnarsi di voi, anzi tutti, Martucci il primo, dovranno apprezzare il vostro contegno. Sappiate pure che Don Biase Della Torre, pochi giorni or sono, è venuto lui personalmente a parlarmi, e a dirmi, che solo per il mio amore, per farmi piacere, e dietro la mie preghiere, si è soprasseduto ad ogni provvedimento sul vostro conto, e che in questa prossima votazione voleva il favore da me di non far votare voi. Io mi sono impegnato per voi, e gli ho promesso che pel giorno della votazione, voi verrete a Vico a pranzare da me, e qui verrete la sera prima. Ho fatto questa formale promessa, sapendovi non testardo, e che sentirete i consigli amichevoli di chi vi vuol bene. Voi, dunque farete così: il giorno 21 vi farò un telegramma, chiamandovi a Vico urgentissimamente per una causa qualunque. Voi appena ricevuto il telegramma, senza dir niente a nessuno, vi metterete a cavallo, e verrete a Vico, lasciando il telegramma alla zia Mae­stra, la quale lo mostrerà a chiunque cercherà di voi. La maestra si mostrerà perfettamente sulle spine, non sapendo che cosa sia questa chiamata d’urgen­za a Vico. Così voi non avreteseccature da vostro fratello, o da altri, e farete quello che ogni uomo nei vostri panni farebbe, cioè astenervi dal voto. Vi torno a pregare di seguire il mio consiglio, perchè è la via unica che vi può togliere d’impaccio: ne vostro fratello deve sapere nulla di ciò, anzi biso­gnerebbe mantenerlo in campana fra il si, e il no,        vedere proprio il

sì, anche per non avere seccature da lui. Io il 21 e 22 sarò a Lucera, ma ciò non importa niente, e voi verrete sempre a Vico il 21. Ci sarà a Vico Donatuccio molto facilmente, perchè verrà a passare il Natale con noi (Donatuccio era il fratello dell’Avv. Michele). Vi raccomando di non fare sciocchezze, perchè, e ve lo dico molto chiaramente, se andrete a votare per Martucci, e se questi non riuscirà vittorioso, vi avrete perduto l’impiego senza misericor­dia, come pure la maestra sarà immediatamente espulsa dalla scuola. Vi dichiaro fin’ora, che in questo caso sarebbe perfettamente inutile ricorrere a me, perchè non potrei giovarvi in nulla. Voi intendete il latino. Seguite il mio consiglio ed il mio piano, e vi garantisco che nessuno si dorrà di voi, e nessu­no potrà dirvi una parola o farvi un danno, perchè, se volesse fare il bravo, si saprà metterlo a dovere. Di vostro fratello non curatevene affatto. Se la mia voce potesse avere un’influenza sopra di lui, gli direi di scapparse­ne da Peschici, e non farvi mai più ritorno. Ma io penso a voi, e vi consiglio, anzi vi prego di non fare causa comune a lui. Così dunque restiamo intesi. Questo si aspettano da voi Biase Della Torre e gli altri miei amici di costà, specialmente Libetta. Se non lo farete, peggio per voi, e non avrete che a la­gnarvi di voi stesso. Io vi ho avvisato in tempo. Vostro Nipote Michelino”.

I vecchi Martucci erano attaccati al vecchio regime borbonico in cui erano vissuti mentre i Libetta – Della Torre rappresentavano il nuovo liberali­smo post unitario. Probabilmente vi dovevano essere fatti gravi nell’ammini­strazione comunale del tempo, anche se le minaccie ai coniugi Sarro non aves­sero alcuna parvenza liberale.

Ma, come vedremo, vi era una certa solidarietà fra i Sarro, anche se la Damiani, dopo la vittoria del partito Libetta – Della Torre, in questo suo “memoriale” vorrà giustificarsi ed inutilmente prostrarsi per chiedere un aiuto, essendo la sua famiglia in estreme condizioni economiche.

Ecco il racconto della Damiani:

“Alla quale lettera fecero seguito i due telegrammi, che si trascrivono, il primo fatto il 20 da Vico, l’altro il 21 dicembre 1895 da Lucerà: 1) Federi­co Sarro. Peschici, da Vico, n° 88 part. 16 lì 20/12 ore 16,12. Stante assenza Michelino, domani urge indispensabilmente qui la tua presenza ore 9. Erne­sto. 2) Federico Sarro. Peschici, da Lucerà, n° 491, part. 17, il 21/12, ore 14. Scongiuravi recarti domani assolutamente a Vico, ove aspettati Donatuccio per parlarti. Urge tuo affare. Michelino”.

“Qui si fa sapere ai lettori che a quell’epoca era Tenente dei R.R. C.C. di Vico del Gargano un certo Rossi, il quale era affiliato dei Sigg. Tomajuoli – Libetta – Della Torre. Con costui combinarono che, quando mio marito arrivava a Vico, lo avessero seguito i passi con segreta vigilanza; ed attende­re che andandolo a cercare gli altri suoi quattro fratelli (Michele Giovanni, nato il 12/6/1842, residente a Trani; Francescantonio, nato il 31/10/1848, resi­dente a Brindisi; Vincenzo Maria, nato il 13/1/1849, ed Enrico – manca la data di nascita -) oltre beninteso Luigi Cancelliere Comunale di Peschici con altri fidi elettori per ricondurlo forzatamente a Peschici per farlo votare nel proprio partito, li avrebbe arrestati come corruttori di elettori, come ce ne faceva avviso segreto una letterina anonima gittataci la notte precedente ai telegrammi nella casa per sotto l’uscio della porta, che conservo pure gelosa­mente; e con questo secondo tranello, il partito Libetta – La Torre avrebbe vinto novellamente la lotta senza colpo ferire”.

La Damiani considerava “tranelli” sia la lettera del nipote che l’arresto dei fratelli e amici che avrebbero dovuto condurre forzatamente il marito a votare.

Così continua:

“Il Sig. Della Torre, appena fatto ritorno da Vico, mi chiamò la sera nel proprio palazzo, e mi espose il piano stabilito con mio nipote, che mio marito se ne doveva andare a Vico il giorno 20 dicembre per chiamata tele­grafica, senza manifestarmi altro, come lo avrebbe scritto il prefato mio nipo­te, assicurando a me, ed a mio marito l’inamovibilità dell’impiego di cui go­devamo attualmente”.

“A siffatta proposta, io mi sentii per un momento scossa e sconcertata, ma subito mi risolvetti col dirgli che era impossibile mio marito potersi allon­tanare dalla votazione, ancorché lo avesse voluto, perchè i fratelli, fra i quali ve n’erano due venuti da lontani paesi a bella fatta (Michele Giovanni da Trani e Francescantonio da Brindisi), lo avrebbero cercato ovunque, pensan­do alla triste e pericolosa posizione del fratello Luigi segretario Comunale, posizione creata da essi loro (Libetta – Della Torre), che si voleva ad ogni costo rovinare col mandarlo carcerato. Promettevo, invece, che avrei fatto riempire la scheda a mio marito metà a favore dell’uno, e metà a favore dell’altro partito; ma il Della Torre rifiutò onninamente, e conchiuse che se non ubbidiva di andarsene a Vico, nel caso di rivincita a loro favore, ce ne avrebbe fatto risentire le loro conseguenze”.

“Devon saper i Sigg. Lettori, che all’epoca di cui parliamo, era titolare telegrafico di Peschici Pasquale Sarro zio dei cinque fratelli Sarro e con esso intrattenevasi all’ufficio i due nipoti venuti da lontano Francesco da Brindisi e Michele Giovanni da Trani; ed all’arrivo del secondo telegramma fatto a mio marito da Lucerà, che fu il 21 dicembre, lo zio ufficiale che lo riceveva, disse ai due nipoti che lo facevano compagnia: è questo il secondo telegramma che vostro fratello Federico, riceve dai nipoti Tomajuoli di Vico, chiamandolo d’urgenza per affari d’interessi privati d’aggiustare, vigilate chissà dovesse fare la sciocchezza di tradire il partito in questi estre­mi bisogni”. Non vollero altro sentire i fratelli, che immantinente uscirono, trovarono mio marito, e prendendolo seco loro, lo portarono in casa della madre vedova (era Prudenza Bodenizza) (4) e quindi lo fecero stare custodito e sequestrato fin dopo la votazione. Ora domando a coloro che avrebbero giudicato che mio marito avesse dovuto abbracciare il consiglio di andare a Vico, per assicurare la nostra inamovibilità d’impiego, tradendo la propria coscienza; come poteva più farlo in mezzo a quattro fratelli che lo guardava­no a vista, e la propria madre che lo avrebbe scongiurato e maledetto? Fu dunque un fatto inutile il prenderlo, anche con la convinzione delle minacele di cacciarci dall’impiego. Il 22 dicembre quindi si va all’urna fatale, forti e

compatti, ma con i palpiti, che gli avversari, i quali portarono a votare due morti ambulanti, ci avrebbero tolto un altro sol voto, avremmo certamente perduto la battaglia. La sera fino ad ora avanzata, si attendeva lesito della votazione, e fu soltanto dopo le 9 che si sentì lo scoppio degli evviva di gioia indistinti, che coll avvicinarsi potei capire l’urna aveva favorito il partito Martucci per un sol voto di differenza in più, (il marito aveva certamente votato per Martucci accompagnato dai fratelli) quindi il popolo che lo accla­mava unanime, festeggiò tutta la notte.

Da questo successo favorevole può figurarsi ognuno qual fu la conten­tezza dei 22 accusati che stavano sotto processo, specie il Segretario Comu­nale (Luigi Sarro) e la Brigata Campestre, i quali oltremodo carichi di accu­se, probabilmente potevano essere condannati se fosse risultato il partito Li- betta – Della Torre, che subito avrebbe fatto costituire parte civile l’Ente Mo­rale Comunale sostenendo le accuse. Ma vivaddio!, il Cav. Ufficiale Domeni­co Martucci, riportando completa vittoria, appena insediato la nuova ammini­strazione, fu primo suo pensiero di far prendere formale ed unanime delibera­zione al Consiglio Comunale, con la quale il Comune dichiarava false ed insufficienti le accuse contro i 22 ex amministratori e funzionari, e che perciò si ritirava contro tutti, ritenendoli innocenti ed onesti, pregando la R.a. Pro­cura Circondariale di farli dichiarare sciolti e liberi, dopo la requisitoria della Camera di Consiglio per inesistenza di reato”.

La Damiani in questo suo “memoriale” non può frenare la sua conten­tezza per la vittoria conseguita dal partito e quindi racconta per filo e per segno tutte le evoluzioni del successo favorevole al Martucci.

“Fra le altre sue prime cure, la nuova Amministrazione riammise in servizio il Segretario Comunale (Luigi Sarro) e la Brigata Campestre, i quali erano stati cacciati dall’amministrazione dei quattro mesi (Libetta – Della Tor­re); e ripreso il Comune il suo vecchio andamento, pur con saggezza, ammi­nistrato fino alla scadenza del 1896, quando per intrighi fatti presso la Pre­fettura di Foggia dal Comm. Libetta (5), che aveva a sè affiliato un potente personale, fu nuovamente sciolto il Consiglio Comunale, e nel febbraio 1897, venne Commissario Regio l’Ingegnere Alfonso Piccirella di S. Marco in Lamisy che prese stanza ed alloggio presso il suo intimo Sig. Libetta (presso le abitazioni del Libetta in Via Roma già dei Migaglia e dopo dei Del Duca) ove ognuno può figurarsi le istruzioni che giornalmente riceveva dal prefato Libetta, e compagnia, per metterle in attuazione quando andava la mattina in ufficio”.

E’ sempre la Damiani che scrive: ”Il Piccirella, infatti, guardava in ca­gnesco, e molto prevenito tutti gli impiegati e salariati del Comune, perchè malamente biografati. Solo a mio marito teneva piuttosto in qualche riguardo, sia perchè teneva l’incarico della tenuta dei registri dello Stato Civile, sia perchè lo stesso Libetta l’aveva detto che solo contro Federico (Fortunato) Sarro non si poteva scagliare la pietra, perchè faceva il suo dovere con zelo, attaccamento ed onestà, e tutti erano contenti del servizio. Fu proprio sotto la reggenza del Commissario Piccirella, che la Camera di Consiglio di Lucerà dichiarò non farsi luogo a procedimento contro 15 degli accusati amministra­tivi delle regresse gestioni per inesistenza di reati, lasciando soltanto giudica­bili il mio cognato Segretario Comunale (Luigi Sarro), e le cinque guardie campestri e il Guardia municipale. E non andò guari, che appunto il dibatti­mento per questi funzionari del Comune, ebbero pure il piacere di essere stati tutti liberati, il mio cognato cioè per inesistenza di reato, e gli altri sei per insufficienza d’indizi.

Questo splendido successo, si figuri ognuno, se fece mordere le labbra agli accusatori, perchè ritenevano, che almeno i predetti sette giudicabili do­vessero essere condannati. Il R. Commissario pertanto, avvicinandosi la sca­denza dei tre mesi, fissava le elezioni generali per il 21 aprile 1897, e prima di questo giorno, a consigli del Sig. Libetta, e compagni, che dovevano succe­dere alla nuova amministrazione, avendo il Sig. Martucci fatta pubblica di­chiarazione di ritirarsi a vita privata per l’ingiustizia toccata alla Comune di essere stata sciolta l’amministrazione senza gravi motivi, non solo, ma ciò fu costretto fare anche a consiglio dei medici, perchè si sentiva i sintomi di una seria malattia, nefrite, per la quale soccombette infatti, dopo poco più di un anno, licenziò arbitrariamente il messo comunale – usciere di conciliazione, Giuseppe Jaculli (questi era figlio di Vincenzo Di Rodi e di Maria Vincenza Damiani, figlia di Nicola Donato Maria e di Maria Vincenza Beniamino Sarro, nata il 18/5/1842, sorella di Carmela Damiani), e sorpassando i propri poteri, perchè non della sua competenza sciolse la Brigata Campestre, e cac­ciò pure il Guardia municipale, a solo scopo di far trovare la via spianata alla nuova amministrazione da un personale che non le garbava, è che non avrebbe potuto più mantenere per dar posto ad altri che avrebbero dovuto soffragarli col loro voto. E difatti, appena insediata l’Amministrazione Libetta – Della Torre, che dura attualmente, rimpiazza con personale di favore tutti i licenziati di Piccirella, gente per nulla adatta ai servizi pubblici. E più tardi per futilissime ragioni, sospende, e poi licenzia VUfflciale Sanitario, medico condotto nominato a vita Dr. Giovanni Vigilante, al quale, poi, mercè ricor­so, la Giunta Provinciale Amministrativa fa pieno diritto con rigettare gli atti del Comune, che è condannato a pagargli oltre un anno di stipendio e le spesetr.

“E’ per esaurire il suo programma, e fare tabula rasa, come taluno si era permesso pronunziare nelle sedute autunnali, licenzia per fine di ferma quinquennale mio marito, che doveva scontare la pena di non essere andato a Vico nella votazione del 22 dicembre 1895, che serviva dal primo gennaio

1877, e l’altro impiegato Tommaso Ercolino, che serviva dal 1891; senza

aver alcun riguardo ai meriti e alle buone qualità che adornavano questi due impiegati; ed in loro rimpiazzo, il Sig. Libetta, nomina il proprio nipote Giu­seppe Fasanella, il cui atto non ha potuto essere approvato per motivi prece­denti ed intrighi di una certa delicatezza che il Fasanella ha rimpetto al Comune (questi era figlio del dottore Vincenzantonio Fasanella, detto “u medicu surchiello”, già Comandante della Guardia Nazionale, e di Lucrezia Libetta, sorella del Comm. Carlo); e che il predetto suo zio mantiene in ufficio solo per fargli fruire lo stipendio, senza fare commenti se il paese ritiene cor­retta la condotta del Libetta per un tal fatto…” (e qui la Damiani non comple­ta la sua idea).

Questo favoritismo denunziato poteva essere vero, ma la necessità allo­ra di sostituire nell’amministrazione comunale persone avverse al partito con altre della propria famiglia giustificava il fatto.

“Nel dicembre dell’anno predetto – continua la Damiani – licenzia simil­mente il Segretario Comunale (Luigi Sarro), nonostante il cui capitolato tie­ne altri sette anni di durata, facendogli nuovamente carico delle vecchie ca­lunnie, per le quali il Tribunale penale non trova luogo a giudicarlo per ine­sistenza di reato, come si è detto. La Giunta Provinciale Amministrativa per tanto approvò il licenziamento ed il Sarro si è gravato alla IV Sezione del Consiglio di Stato, che si deve ancora pronunziare”.

La Damiani prosegue il suo doloroso racconto, palesando le sue disgra­zie e quelle di suo marito:

“Continua l’amministrazione Libetta – Della Torre l’espletamento del suo programma, e nel giorno 10 marzo 1898, il Consiglio Comunale prende deliberazione pel mio affidamento, che viene subito notificato, perchè col cadere dell’anno scolastico cessava di carica per fine di ferma biennale. Mio marito dunque uscìdall’Ufficio Comunale il 31 dicembre 1897, da quello ufficio che i suoi antenati impiantarono dal 1809e tradizionalmente per stirpe di discendenza diressero e mantennero costantemente senza essere mai stato introdotto verun altro estraneo e notiamo specialmente che il suo defun­to padre Beniamino Sarro tenne la carica di Cancelliere Archiviario, e poi Segretario Comunale, per 43 anni, cioè dal 1836, al 1879,quando per circo­stanze di famiglia, e per dar posto all’altro figlio Luigi, che si era già munito di diploma di segretario, si ritirò dalla carica con la liquidazione della pen­sione che gli spettava a norma della Legge Organica Napoletana del 1816”.

La Damiani non accenna ai precedenti antenati del marito dei quali si è parlato largamente in principio, evidentemente il marito ne era a conoscenza se proprio non avesse conosciuto gli avi Pasquale e Francesco.

“Io ne uscii, dice la Damiani – nell’agosto 1898 dopo 31 anni di lodevolissimo servizio, avendo per oltre 15 anni insegnata sola nel mio paese, ed abbracciata tutte le classi”.

La Damiani, che era nata, il 25/9/1836 effettivamente aveva incomin­ciato ad insegnare dal 1867 ed aveva, come ella afferma, “abbracciata tutte le classi femminili”, quando il Sindaco era Francescantonio Faiella di Santoro di Carpino, dottore farmacista, mentre quelle maschili dal 1800 erano tenute dal Maestro Paolo Jacovino nato a Peschici il 4/7/1770, da Paolo e da Lucrezia Lucia Langianese, e verso il 1840 dal sacerdote Maestro Don Paolo Pasquale Jacovino.

“E qui noto – dice la Damiani – alla intelligenza dei lettori che dopo il licenziamento, io andavo spesso dal Sig. Della Torre a domandare chi avesse fatto nuovamente la rinomina il quale, con una politica tutta propria, e con la massima indifferenza, prometteva la nostra reintegra nell’impiego, dichiaran­do che il provvedimento del licenziamento era stato fatto solo perchè l’Ammi­nistrazione aveva voluto servirsi dei suoi diritti (cioè i votanti a loro favore) ed essere perciò a loro obbligati per la rinomina”.

In sostanza l’Amministrazione aveva dato il posto a quelli che avevano votato a loro favore, riassumendo anche alcuni della precedente amministra­zione che avevano appoggiato la nuova coalizione Libetta – Della Torre. In­tanto ella, che non si perdeva d’animo, trova un’altra via per le necessità della famiglia.

“Le lusinghiere speranze – aggiunge la Damiani – protrassero fino al luglio, quando un bel mattino, trovandomi passeggiando fuori la porta del mio paese, m’imbattei per caso nel caffè di Tommaso Ignazio(6) con Nicola Arena,di qui (gli Arena erano originari di Monte S. Angelo), che stava per i bagni, il quale ha sposato una parente di mio marito, e dopo offertomi gentil­mente dei complimenti, saputo il mio urgente licenziamento, mi consigliò di concorrere pel posto vacante della scuola mista di questa Borgata Monta­gna,assicurandomene la riuscita col suo partito dei Sigg. Amicarelli, essendo anche lui Consigliere comunale. Ottenni infatti la nomina pel biennio, 1898 – 1899, e 1899 – 1890; ed in quella scuola non insisterò a dire quanto amore, zelo, abnegazione ed attaccamento prestai l’opra mia a prò di quegli abbandonati fanciulli di ambo i sessi, di che, i montagnoli, dichiarandosene conten­tissimi, fecero spontaneamente esposto al Consiglio Comunale, coverto di 59 firme, perchè mi avessero preferita nella rinomina”.

La Damiani non era riuscita nel suo intento perchè la fortuna la perse­guitava (ciò nonostante, malgrado il marito non sopportasse il clima di Monte S. Angelo, aveva fatto il tentativo di aprire colà “una scuola di lavori donne­schi” sentendosi ancora attiva. Ella così racconta i disagi sopportati:

“Ma, a Dio non piacque, perchè la sventura ci perseguitava ostinatamente senza pietà; essendosi proceduto nel 29 agosto alla nomina della mae­stra della Montagna, riportai dall’urna fatale un voto di meno rispetto alla mia competitrice, e sono lasciata afflitta e sconsolata, col grave peso del mio povero marito malato, come ho detto, il quale,  massimo stato di avvili­mento e disperazione, quel giorno 2 ottobre volle tentare la pruova di andare in una nostra campagna nel contado di Peschici, ove, col favore di quell’aria salubre, profumata di pino d’aleppo, di cui le nostre contrade abbondano, lasciando ogni prescrizione medica, ritornò molto migliorato il 5 novembre (a Monte S. Angelo). Io, pertanto, vista la necessità di campare la vita col lavo­ro delle proprie braccia, perchè sebbene avanzata di età, mi sento tuttora valida d’insegnare, a consiglio benanche degli amici, feci stampare il pro­gramma, onde tentare la pruova di aprire una scuola di lavori donneschi di ogni specie. Ma, con mia meraviglia e sorpresa, mi sono trovata delusa e ingannata nelle mie speranze, nel vedere, che in una città di oltre 20 mila abitanti, ove vi sono moltissimi ricchi signori e professori, ed un infinito nu­mero di cospicui proprietari, si sono presentate pochissime alunne, le quali non danno in un mese neanche il ricavato per pagare la pigione di casa, di maniera che, ognuno può figurarsi quale sia il mio deplorevolissimo stato attuale. Ed al fin qui detto, si aggiunge che mio marito, appena ha fatto qui ritorno, cominciò a sentirsi male da capo, perchè la fredda temperatura di Monte, non è affatto confacente al suo fisico, come l’avevano fatta prevenzio­ne diversi dottori. E di fatti, verso lo scorcio del novembre ultimo, fu colpito da un catarro bronchiale, con rincrudimento di un’artrite cronica, che lo co­strinse guardare il letto per 29 giorni, lasciando in balia di sè stesso, e col solo aiuto della natura, perchè io, lo ripeto con doloroso ricrescimento, non ho mezzi come aiutarlo. E per questo serissimo inconveniente della tempera­tura che non può sopportare; e perchè io non ho i mezzi per dargli un pezzo di pane, come or ora ho detto, prima di ritirarsi dalla nostra campagna lo consigliai di aprire delle pratiche col Sig. Sindaco Comm. Libetta e coll’As­sessore Sig. Biase Della Torre, perchè, commiserando il nostro stato, consi­derando i buoni servizi prestati da mio marito pel giro di 21 anni, messo in dimenticanza la semplice disubbidienza di non essere potuto andare a Vico nella votazione del 22 dicembre 1895 per le’speciali condizioni in cui venne a trovarsi, mettendo tutto in oblio, avessero accolto i suoi reclami, e lo avesse­ro nominato impiegato stabile. Ma tutte le mie preghiere riuscirono invano, perchè, tanto il Sindaco, quanto il Sig. Della Torre, risposero che il Comune non aveva bisogno di altro personale; e che anche in quest’utlimo caso sareb­be stato preferito altro individuo”.

Come si può notare, sia il Libetta che il Della Torre erano stati inflessibili nel perseguire la loro vendetta, perchè di altro non si poteva trattare nel loro proponimento di non venire incontro in nessun modo ai coniugi Sarro che per mancanza di mezzi languivano in uno stato d’indigenza che, sebbene aves­sero, secondo il racconto della Damiani, qualche pò di campagna a Peschici, tuttavia non certo poteva dar loro una sufficiente rendita per vivere.

I coniugi Sarro – Damiani a Monte S. Angelo avevano pur trovato un benefattore, al quale si erano anche rivolti per una raccomandazione presso il Della Torre ed il Libetta ma, malgrado l’interessamento di questo benefattore, il Sig. Biagio Angelillis, non erano riusciti a cavar un ragno dal buco. Sentia­mo cosa dice la stessa Damiani:

“Qui devo ricordare ai lettori che questo Sig. Biagio Angelillis, e mo­glie, cui tanto s’interessarono per procurarmi un tozzo di pane, nei principi del passato novembre, trovandosi a Foggia col Sig. Biase Della Torre, li espo­sero il triste caso in cui noi ci troviamo, e lo pregarono ferverosamente che, appena fatto ritorno a Peschici, di accordo col Sig. Libetta, Sindaco, avessero pensato per un posticino pel mio marito, al che il Della Torre, mostrandosi compenetrato, prometteva interessarsene, e dargli una risposta.

Ma passato del tempo sufficiente, ed essendo restata muta la fatta pre­ghiera, l’Angelillis si compiacque scrivere direttamente al Sig. Libetta, col quale vi tiene molta intimità, colorando la sua lettera con termini vivissimi e risentiti, facendo sentire, che l’infelice Federico Sarro, per le condizioni fisi­che, e per la strettissima posizione economica, meritava assolutamente essere riguardato per un posticino presso quell’amministrazione, forse anche quello di Servente Comunale, usciere di Conciliazione, cui il Comune stava in pro­cinto di nominare. Dopo qualche tempo l’Angelillis disse a mio marito, che il Libetta l’aveva risposto sfavorevolmente, ma non si compiacque fargli leggere la lettera, motivo per cui vi è a sospettare che avesse trascinto in escande­scenza, denigrando la condotta di mio marito chi sa con quale farabutto di ri­trovato, sconvolgendo forse anche il convincimento dell’Angelillis che ne sa la vera causa quale espressa in questo scritto. Non faccio commenti e mi limito a dire che Dio non paga il sabato!”.

La Damiani, avendo tentato tutte le vie, con adeguato astio di sottomis­sione, non aveva purtroppo raggiunto nessun scopo e quindi rimaneva nello stato di abbandono, in cui il peso maggiore era quello del marito che peggio­rava nelle sue condizioni fisiche, per cui è comprensibile il suo comportamen­to col rivolgersi all’opinione pubblica con il suo “memoriale” perchè ne com­prendesse le ragioni e potesse giustificare il suo aperto odio verso chi ne ave­va procurato i mali.

Ecco come ella si esprime infine:

“Ora ho finito la mia dolorosa narrazione. Solo mi resta ricordare di considerare come mi trovo onninamente in un paese estraneo, col mio amatis­simo compagno ridotto in uno stato anemico molto pronunziato, il quale non può migliorare per mancanza di una cura marziale, e di vittitazione adeguata, circostanza queste che dilaniano continuamente il mio addolorato cuore! E sfido chiunque dei miei concittadini, e molto più quei signori ai quali può interessare questo mio scritto, contrastarmi e ribadirmi se ho detto cosciente­mente la verità, avendo anzi usato un linguaggio molto mite e conveniente per riguardi di personali, tenendo soltanto l’obbiettivo ed avendo molto a cuore di non essere data la traccia di mensognera onde non buttare la mia spacciata condotta, che per oltre 30 anni ho conservata nella vita pubblica.

Era stata, in verità, una donna coraggiosa che aveva effettivamente lot­tato in tutta la sua vita e che merita oggi, dopo più di un secolo dalla sua nascita, per le sue “Memorie” rimaste dimenticate in archivio, di essere ricor­data ai suoi concittadini conferendole la denominazione di una strada, anche se per sostenere una propria opinione, avesse sbagliato, purtroppo a suo detri­mento, ma nell’esposizione dei fatti non rivela nessuna superbia che possa condannarla.

Ella si affligge tanto per la posizione del marito e del proprio stato d’indigenza e, sebbene possa esserle balenata l’idea di una vendetta tragica da parte del marito, tuttavia non tiene l’animo che una tale azione possa essere positiva, vedendo davanti agli occhi il baratro scuro di una immeritata fine!

Sentiamo quindi la fine di questo suo racconto che, sebbene avesse in animo di portarlo a conoscenza di tutti i cittadini del paese, è chiaro che ella non sia neppure riuscita che a farlo conoscere appena a poco parte di essi, col trascriverlo in copia ma soprattutto per ricavarne un modestissimo compenso!

“E per ultimo, mi affligge anche il fatto che, questo mio consorte sven­turato, non può neanche seguire le prescrizioni mediche di ritirarsi all’aria in questi mesi invernali per allontanare il pericolo di soccombre, perchè, andan­do a Peschici, sprovvisto di mezzi, e non trovando una qualsiasi occupazione per mangiare pane e non morire d’inedia, e rimanendosi il Sindaco e gli altri amministratori indifferenti a provvedergli un<posticino qualunque, in ricom­pensa dei buoni servizi per molti anni a pro dell’intero paese, stanco perfino della vita, e non potendo reggere la vita di ’coloro che scoscienzosamente ci hanno ridotti a chiedere l’elemosina, nello stato della mia più dura dispera­zione, potrebbe essere capace di attentare la propria esistenza, con vergogna scandalosa degli autori di una tanta sciagura; od altrimenti, restandogli tut­tora un fìl di vita, e di forza fisica da poter impugnare il fucile che ha semper tanto bene maneggiato quale fiero ed estimato cacciatore, voltarsi a far paga­re con la propria vita a colui che non ha avuto paura di ridurci due larve di fisionomia umana, mentre eravamo la perla dei galantuomini e delle persone civili; e cosi finire gli ultimi giorni della sua esistenza in una oscura prigio­ne!

E, sincera come sono, di essere commisurata e compatita; ed aiutata dai buoni e compassionevoli col fare acquisto di una copia di questo mio memoriale, il quale può anche servire di ammaestramento ai troppo giovani e inesperti del mondo, dichiaro di rendere a questa parte del pubblico vivi atte­stati di ringraziamenti, col pregare fervidamente Iddio pel loro migliore avve­nire. Ed a coloro invece, che mi muoverà la critica per non essermi saputa regolare nel cammino della vita, io mi permetto rispondere col principe dei poeti: “se il muove leggerezza, noi curo; se fallir lo compiango, se ragione, gli son grato; e se in lui sono impeti di malizia, io gli perdono”.

NOTE

  • Domenico Martucciera nato il 2 dicembre 1843 ed aveva sposato Donna Graziella Zaccagnino. Era figlio di Stefano e Donna Lucietta Petrone. Stefano Martucciera stato Sindaco di Peschici prima dell’Uni­tà, nel 1841; così come Sindaco era stato per ventanni (1777 – 1797) il padre di Stefano, Domenico Gio­vanni Martucci. IMartucci erano giunti a Peschici da Napoli il loro capostipite Giuseppe Martuccida Napoli era il Tesoriere dell’Erario di Peschici della casa dei Principi Pinto, feudatari d’Ischitella e di Pe­schici, detentori della Tesoreria del Regno di Napoli.
  • La Giunta Provinciale Amministrativa, presieduta dal Prefetto è stata, fino al 1972, l’organismo di con­trollo su tutti gli organi e gli atti dei Comuni.
  • I Della Torre provenivano da Monte S. Angelo col capostipite Matteo, il quale il 10/11/1608 aveva contratto matrimoni con Angiula Spagnoletto di Domenico.
  • I Bodenizza sono un’antica famiglia stanziatasi a Peschici verso la fine del 1400. Le prime notizie si hanno dal registro dei battezzati all’orchè da tale Marcho Bodniserdo e da Matalena Buemiro (altra fami­glia della Schiavonia riparata qui fuggiasca dopo l’occupazione delle loro terre dai Turchi di Maometto II).
  • Carlo Libetta, grazie alla fama raggiunta dal padre Giuseppe, ammiraglio e deputato poi al Parlamento del 1848, era l’unico uomo che godeva di prestigio e di conoscenze fuori da Peschici. E’ dunque verosimile che abbia influito sul Prefetto per giungere allo scioglimento dell’Amministrazione Martucci entro appena un anno. E altresì noto che i Prefetti avessero ricevuto sin dal governo di sinistra De Petris e soprattutto poi con Crispi e Rudinì, precise disposizioni di favorire amministrazioni locali moderate e liberali, e di ostacolare, dall’altro canto, maggioranze di estrazione antiunitaria o di tendenze radicali – repubblicani o socialiste.

Tommaso Ignazio di Leonardo Andrea Draicchio e di Isabella Camporeale aveva uno dei primi caffè fuori della Porta del Ponte, ove tuttora vi è il “Caffè del Ponte” già di Nicolantonio Quaglia.

GIUSEPPE MARTELLA