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CARPINO/ DALL’ESPLOSIONE DEMOGRAFICA DEL SETTE-OTTOCENTO ALLA CRISI ATTUALE

L’allarme lanciato da Carpino, la bella cittadina del Gargano, da Mimmo Delle Fave, attestante che senza gli stranieri anche nel 2017 la popolazione è nettamente scesa sotto i 4 mila abitanti, mentre i decessi superano le nascite, l’emigrazione giovanile galoppa e il paese si ritrova ridotto a «vecchi, bambini e stranieri che qui immigrano e risiedono», preoccupa e mette le istituzioni, le imprese, le banche, le associazioni sindacali di fronte alla precisa responsabilità di dover dar corso all’inversione di una tendenza che il paese ha subito più di altri negli ultimi decenni.
Ma l’allarme lanciato deflagra letteralmente quando si accenna al 1° Censimento Generale della Popolazione Italiana del 1861, quando Carpino, nonostante la furiosa guerra civile già in atto e dati statistici raccolti con molta approssimazione, contava ben oltre 6 mila abitanti e presentava «fiorenti e importanti attività agricole, commerciali, artigianali e di pesca».
Dalla vigorosa cittadina del 1861 all’attualità di quartieri e rioni spopolati e abbandonati, con un crollo della popolazione scolastica nonostante gli stranieri e giovani dalla valigia sempre pronta.
Il riferimento storico demografico evidenziato dal cittadino di Carpino spinge ad esaminare scientificamente l’evoluzione demografica e, quindi, economico e sociale, della cittadina a partire almeno dagli inizi del Settecento.
La “Terra” di Carpino, o Caprino, numerava nel 1532 appena 46 fuochi, diventati 223 (circa 1000 abitanti) nel 1669. Nel 1797 Lorenzo Giustiniani vi numera ben 3600 abitanti.
Il feudo di Carpino, come quelli di Rodi, Peschici e Cagnano Varano, dipendeva dalla contea di Lesina, passata a far parte dell’ «Honor Montis Sanctis Angeli» nel 1177. Nel Settecento il feudo passa dai Vargas ai Vargas-Cussavagallo ai Brancaccio. Il capostipite della famiglia Brancaccio di Cagnano, Luigi Paolo, appartenente alla dinastia Brancaccio napoletana, nasce a Palermo nel 1703 e sposando nel 1738 donna Felice Vargas, principessa di Carpino e duchessa di Cagnano, acquisisce i titoli di principe di Carpino e duca di Cagnano, i cui tenimenti amministra per 17 anni. Il figlio primogenito Giovanni gestisce i feudi di Cagnano e di Carpino fino alla morte avvenuta nel 1794. A Giovanni succede, fino alle leggi eversive del 1806, Luigi Paolo II, ultimo principe di Carpino e duca di Cagnano.
Della terra di Carpino Giustiniani nette in rilievo l’aria salubre del centro edificato su di una collinetta, nelle vicinanze delle aree malariche del lago di Varano. Con un territorio esteso per 150 carra, Carpino annovera produzioni eccedenti i fabbisogni della popolazione che esporta nei paesi vicini. Infatti, la pianura addossata al lago, non ancora arricchita di olivi, risulta fertilissima con produzioni di cereali, legumi e lino. Tra l’altro, nelle aree boschive soggette ad uno sfrenato disboscamento, conseguente alla perniciosa carestia dei primi anni Sessanta del Settecento, abbondano grano, mais e legumi, anche se la caccia, che era un’attività fiorente, a fine ‘700 si riduce quasi solo ai lupi che causano danni agli armenti.
La produzione di olio non è ancora rilevante, anche se innestando gli oliveti di località «Pastromolo», non distante dall’abitato, si sarebbe potuto agevolmente incrementarla (Michelangelo Manicone). Carpino produceva poca frutta e poco vino, che venivano importati da Vico e scambiati con grano e legumi. Dalle bacche del lentisco, presente anche sull’isola di Varano, i contadini estraevano l’olio per le lucerne, non disdegnando di utilizzarlo, per necessità e come succedaneo dell’olio di oliva, anche come condimento, nonostante il sapore esageratamente deciso e pronunciato e le spiccate caratteristiche organolettiche lo rendevano decisamente balsamico e aromatico. Infatti, lo storico di Vieste Vincenzo Giuliani riferiva che i terrazzani ne raccoglievano le «coccole» che, poste sotto i torchi, producevano un olio «assai aspro e forte, non buono a mangiarsi per essere troppo astringente e fetido». Ma dai suoi rami incisi, come quelli dell’ornello, si ricavava una gomma molto balsamica (mastice di Chio).
Dagli inizi dell’Ottocento al 1861 la popolazione di Carpino quasi raddoppia, anche nell’Ottocento borbonico vi sono i segni di un evidente sviluppo.
Da quel momento Carpino segue il destino che appartiene alla maggior parte dei centri abitati del Sud.
E, allora, perché i dati statistici demografici attuali di Carpino destano scalpore?
Perché l’evoluzione sociale ed economica post unitaria è sempre stata spiegata con luoghi comuni e pregiudizi abilmente inoculati, che anteponevano la tesi che nel 1861 esisteva un vero e proprio divario tra nord e sud del paese.
Ma i recenti studi di validi economisti e di seri ricercatori universitari, quali Malanima, Daniele, Fenoaltea, Ciccarelli, hanno accertato definitivamente che nelle società preindustriali dell’Europa a sviluppo essenzialmente agricolo, non esistevano consistenti divari tra una regione e l’altra. In Italia esisteva un maggiore divario tra est e ovest, il Tirreno era più progredito rispetto alla costa adriatica, per il resto esistevano regioni ricche e povere sia al nord che al sud della penisola.
Documenti e statistiche alla mano, Daniele e Malanima ci conducono ad una realtà ancora poco conosciuta: il divario tra Nord e Sud ha cominciato ad esserci tra fine Ottocento e inizio Novecento, quando anche in Italia è iniziato un vero e proprio processo di industrializzazione, che favorito al Nord dalle politiche doganali del 1887 rovinarono l’economia agricola del Sud spingendo verso l’esodo milioni di meridionali.
Una regione industriale, nella fase iniziale, genera una forte produttività e un alto livello di occupazione a basso costo, utilizza le altre aree interne meno sviluppate come mercato, sviluppa forti correnti migratorie interne ed esterne con lavoratori che abbandonano l’agricoltura con salari bassi per ottenere salari più alti.
Il problema potrebbe essere quello di chiedersi chi ha deciso che dovesse essere il Nord a svilupparsi e a produrre e il Sud a fornire manodopera e mercato al Nord.
Ma sarebbe una domanda retorica, visto che l’evidente “colonizzazione interna” delle regioni meridionali è stata una scelta politico-economica consapevole adottata dai governi liberali e borghesi dei primi decenni dell’unità, dietro l’imposizione di una stretta consorteria indistinta di militari e politici legati alla dinastia dei Savoia, intrisi e fortemente condizionati da pseudoscientifiche teorie lombrosiane che giustificarono ampiamente lo sviluppo del Nord a scapito del Sud.
E ben altro…
Il divario ha raggiunto il limite massimo durante il periodo fascista e nel primo secondo dopoguerra, per poi ridursi negli anni del “miracolo economico” (1955-1973). Un divario che, come attestano anche le relazioni dello Svimez, ha ripreso la sua corsa forsennata dagli anni Novanta. Infatti, sempre documenti e statistiche alla mano, dagli anni Novanta in poi con la fine della classe politica della prima Repubblica, il Mezzogiorno è stato totalmente escluso da qualsiasi prospettiva di sviluppo economico per scelte prettamente politiche e ideologiche e l’annosa, e per molti versi fastidiosa, “Questione Meridionale” è stata messa candidamente in soffitta, ritenuta come un problema secondario nell’ambito dello sviluppo sociale, economico e culturale dell’intero Paese.

Carpino, nonostante tutto, resta la terra garganica con le migliori fave d’Italia, con un olio d’oliva sopraffino, all’avanguardia nazionale nel campo della musica popolare. I suoi tenaci abitanti troveranno la via del riscatto e dell’orgoglio, ma bisognerà trovare il modo di fermare l’esodo dei suoi tanti giovani cervelli con politiche non subalterne agli interessi delle aree più ricche del paese.

Michele Eugenio Di Carlo