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CORONAVIRUS, MENO MAMMOGRAFIE. SCENDONO DEL 57 PER CENTO

L’anno scorso furono 93mila, quest’anno il dato è fermo a 39mila. La paura del contagio spinge a fare meno esami. Flessione anche per i pap-test

Tra gli effetti collaterali del Covid ce n’è uno che ha fatto scattare un drammatico allarme dell’oncologia pugliese: l’aumento dei tumori scoperti in uno stadio ormai avanzato a causa della crisi dei sistemi di diagnosi precoce, delle difficoltà di accesso alle strutture sanitarie e della paura del contagio in ospedali e ambulatori. Una micidiale sommatoria da cui scaturiscono casi clinici che stanno mettendo a dura prova le chirurgie degli ospedali pugliesi, compreso l’Istituto oncologico di Bari Irccs, dove le équipe affrontano estenuanti sedute operatorie per interventi complessi, spesso molto demolitivi, aumentati del 20-25 per cento negli ultimi mesi.

Certo, il fenomeno riguarda l’Italia intera, come rimarca il Dipartimento Promozione della salute della Regione, in quanto «lo screening di primo livello (quello che consente di individuare precocemente un tumore, ndr) ha subito un blocco in ambito nazionale nella fase 1 dell’emergenza Covid». Ma è anche vero che i pugliesi pagano un pegno aggiuntivo, avendo a disposizione un sistema di screening molto meno efficiente rispetto a quelli di altre regioni. Lo testimoniano dati impietosi. La Puglia ha i peggiori indicatori sulla copertura dello screening mammografico, sia totale che organizzato, avendo totalizzato, tra il 2016 e il 2019, rispettivamente il 67,8 per cento e il 34,1 per cento, contro i dati globali italiani del 74,8 per cento e del 55,3 per cento (fonte: portale Epicentro – Iss).

In quest’ambito la sanità pugliese perde anche il confronto con la vicina Basilicata (78,8 per cento e 72 per cento). L’Emilia Romagna, il cui profilo demografico (4,459 milioni di abitanti) è più o meno sovrapponibile a quello pugliese (4,029 milioni di abitanti), sfiora l’87 per cento nella copertura dello screening totale mammografico e il 77 per cento in quello organizzato. Sull’importanza dello screening come strumento di diagnosi precoce, la scienza non ha dubbi: in caso di malattia, l’efficacia della cura aumenta.

Quest’anno, in Puglia, per lo screening alla mammella gli inviti alla popolazione-bersaglio (donne tra i 50 e i 69anni) sono stati solo 87.147, contro i 182.505 del 2019 (-52,25 per cento). E se è vero che mancano i dati di aprile, maggio e giugno (non è dato sapere perché), ci si chiede se sia credibile che in quei tribolati mesi, con il sistema sanitario regionale sotto choc a causa della pandemia, i programmi di screening abbiano potuto recuperare l’enorme terreno perduto, avvicinandosi ai numeri del 2019, come sostiene, invece, il Dipartimento Promozione della Salute. Le prestazioni fornite nello screening della mammella sono state 39.687 nel 2020 contro le 93.180 del 2019 (-57,41 per cento).

«Di fronte a questi dati si impone con urgenza una profonda riflessione, per usare un eufemismo – riflette l’oncologo salentino Massimo Federico, già professore di Oncologia medica all’Università di Modena e Reggio Emilia-. Le donne pugliesi hanno diritto ad un sistema che assicuri, così come alle donne che vivono in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana, le migliori opportunità di diagnosi precoce e, di conseguenza, di guarigione».

Intanto, proprio dall’Emilia pervengono cifre che scavano un solco: da gennaio a settembre la riduzione del numero delle donne invitate per lo screening mammografico si attesta intorno al 25-30 per cento, contro – è bene ribadirlo – il 52,25 per cento della Puglia. Per di più, Bologna si è dimostrata nettamente più reattiva di Bari anche rispetto ai tempi di reperimento e fornitura dei dati che l’Emilia ha fornito al Corriere del Mezzogiorno quasi istantaneamente, mentre per attingerli dal sistema sanitario pugliese ci sono voluti cinque giorni. Se anche questo è un parametro di valutazione dell’efficienza, potremmo dire che la Puglia di strada deve ancora farne.

Antonio Della Rocca

corrieremezzogiorno