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PESCHICI/ “ KÀLENA È IL MIO PENSIERO TRISTE”. L’ULTIMO APPELLO DI MENUCCIA FONTANA.

La responsabile di Italia Nostra ripercorre le vicende dell’ultima, concreta  trattativa poi fallita tra la famiglia proprietaria dell’abbazia in decadimento e la Regione Puglia. “Fu  quella la sola, vera possibilità che si è avuta per dare una nuova  vita al monumento”

E’ un’idea delle città e dell’economia del Gargano che è mossa sulla spinta di un ’emozione ma anche sulla dedizione in­crollabile, ostinata, puntellata di studi, ricerche, arruolamento di saperi e competenze, approcci eterogenei, campagne, appelli, seminari, lette­re, raccolte di firme. E’l’idea che passa attraver­so la vicenda dell’Abbazia di Kalena che Cultura e Storia dei luoghi si possono riattualizzare con la presa in carico di un impegno morale e civile e abilitarle come volàno di rinascita dell’intero ter­ritorio. A questa battaglia ha dato il proprio so­stegno e contributo fondamentale insieme, al Centro Studi Martella anche la sezione del Gar­gano di Italia Nostra finché è stata guidata da Menuccia Fontanache ancor prima di cercare di generare una seconda e più degna vita perii mo­numento peschiciano ha animato sin dalla prima ora il movimento per la preservazione dell’am­biente e del paesaggio che ha portato alla na­scita del Parco Nazionale del Gargano. Non c’è un argine sentimentale nè operativo, una cesu­ra tra gli anni formidabili della costituzione del­l’area protetta e la parabola che desta più di una triste considerazione del mancato salvataggio dell’Abbazia di Kalena. Per la signora Fontana tutto nasce, accade e vive in quell’isola del cuo­re che è il suo Gargano, terra amatissima sin dal­la giovinezza, dove le estati trascorrevano spen­sierate nella sua villa di San Menaio, che ancora resta il suo buen ritiro dove andare a cercare ca­rica, straniamento ed ispirazione, come ha la­sciato capire dalle brevi note di accompagna­mento al suo libro “Appunti di un diario”: “Riper­correre i sentieri della memoria non è sempre fa­cile, spesso i luoghi tornano alla mente come im­magini dai contorni sbiaditi, e le persone fanta­smi di giorni lontani perduti nel tempo, io l’ho fatto guardando il mare del Gargano nell’età dei sen­timenti e delle emozioni; quel mare che mi ha vi­sto adolescente nella cui trasparenza ho colto poi il senso della vita.

L’Attacco pubblica questa intervista con Menuccia Fontana per ripercorrere alcuni aspetti della vicenda di Kàlena, partendo dal fallimento del progetto che si sarebbe dovuto compiere con l’intermediazione progettuale, finanziaria e pro­cedurale della Regione Puglia.

“Kalena oggi per me è un pensiero triste dopo es­sere stati ad un passo dal salvarla, proprio un passo. Abbiamo esplorato tutte le possibilità pri­ma a livello del Comune, poi con i mezzi dell’as­sociazione. Voglio però chiarire che dal punto di vista legislativo avrebbe dovuto essere il Comu­ne a procedere ad un eventuale esproprio, ne­anche il Ministero che non può scavalcare l’ente territoriale. Ma la volontà politica per salvare Ka­lena posso dire che non c’è mai stata.

Come responsabile di Italia Nostra Gargano lei ha seguito tutte le tappe del tavolo istituzionale creato tra i soggetti interessati dalla Regione Puglia. Come si riuscì prima di tutto a stabilire un contatto con Bari?

Fu la mia concittadina Elena Gentilead intro­durmi all’allora presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, mi presentai con una corposa documentazione fotografica sull’Abbazia di Ka­lena e da subito Vendola prese a cuore la vicen­da. Lui era anche stato nella Commissione par­lamentare antimafia e questo incarico lo aveva portato a conoscere il territorio e ad amarlo. Poi lui aveva anche un animo da poeta, lo conquistò subito la magia di quel luogo. E poi entrò in sce­na l’assessore all’Urbanistica Angela Barbanentecon la quale si creò da subito una straor­dinaria affinità elettiva, non mi era mai successo in tutta la mia vita; stringemmo una solida con­sonanza intellettuale sulla concezione dei beni paesaggistici. Donna molto intelligente e prepa­rata, non era una politica, veniva dal mondo del­l’università, pur essendo certamente di sinistra non era faziosa nel suo lavoro. Fu lei a predi­sporre ogni adempimento per l’apertura di un tavolo istituzionale.

Come si arrivò al coinvolgimento dei pro­prietari, fino ad allora piuttosto riottosi ad ogni proposta di accordo sulla cessione del bene monumentale o di parte di esso?

Fui io a contattare la famiglia Martucci e so­prattutto con Francescoriuscii ad instaurare un dialogo, fu ospite molto spesso a casa mia, poiché io ero convinta che prima di impegnare le istituzioni in una trattativa ufficiale era bene conoscere le esigenze dei proprietari del bene. E Francesco si dichiarò favorevole alla sottoscrizione di un programma di massima, che poi fu lo stesso che la Barbanente propose al tavo­lo alla presidenza della Regione.

Quali erano esattamente i termini di questo accordo che veniva proposto ai Martucci? La Regione avrebbe corrisposto ai proprietari 300mila euro e lasciato a loro la gestione della nuova chiesa, mentre la vecchia chiesa sareb­be stata trasferita al patrimonio del Comune che naturalmente ne conservava e ne ripristinava il culto e dunque la fruizione ai fedeli. Ai Martuc­ci restava in gestione anche la parte antistante la chiesa dove al centro c’è un pozzo, uno spa­zio che poteva essere utilizzato per eventi o at­tività culturali. Sempre secondo l’accordo il re­stauro sia della chiesa che di questo piazzale era tutto a carico della Regione che per fare ciò disponeva già di 1 milione di euro, ottenuti da un fondo europeo POIN. L’assessore Barbanente mi assicurò inoltre che dopo che si fosse dato avvio alla fase di restauro sarebbe stato più fa­cile reperire e destinare altre risorse all’opera già iniziata. In più ai proprietari era data possi­bilità di presentare un progetto per tutto quello che riguardava la messa in sicurezza e il ripri­stino del corpo del Convento che adesso pur­troppo è usato come deposito di utensili agri­coli. lo ebbi in quel momento la speranza che si fosse davvero giunti ad una svolta per Kalena e che il complesso sarebbe tornato a nuova vi­ta…

Par di capire che tutti gli aspetti furono af­frontati e inseriti in una progettazione ocu­lata che garantiva il valore della proprietà e apriva un nuovo corso al destino dell’Abba­zia. Perchè allora questo progetto non an­dò in porto?

Il giorno prestabilito, il marito di una compo­nente della famiglia proprietaria del bene si pre­sentò alla convocazione del tavolo istituziona­le cui erano stati invitati a partecipare tutti i sog­getti del territorio in compagnia di un avvocato, credo che fosse il legale di Bari che aveva se­guito la vicenda dell’incendio del Petruzzelli. Già questa scelta ci lasciò un pò interdetti, ed in effetti l’accordo che era stato accettato in via informale fu subito messo in discussione e ci venne comunicato che i proprietari avevano alzato il prezzo da 300mila a 500mila euro. La Barbanente naturalmente non potè fare altro che op­porre il suo rifiuto, cercando di chiarire che già quanto si era riusciti a mettere in campo era il massimo che si potesse fare. Invece i Martucci erano venuti a mercanteggiare il prezzo, total­mente disinteressati al bene che poteva esse­re salvato, d’altronde in questa vicenda si sono sempre mostrati piuttosto venali.

E da allora non ci sono più stati contatti con i Martucci?

Purtroppo noi speravamo in un loro ripensa­mento che però non arrivò mai e in tutta since­rità io credo che con il tempo forse si sono an­che pentiti di essersi lasciati sfuggire quell’oc­casione nel 2011. Quella trattativa, con quel progetto cosi costruito in ogni dettaglio non è stata solo l’ultima possibilità che si è creata per Kalena in ambito istituzionale ma io dico anche la sola che abbia avuto un contenuto di concre­tezza e reale fattibilità. Il progetto ed il denaro erano già pronti sul tavolo…

Cosa rappresenta oggi per lei Kalena?

Per me, ma non solo per me, quello è il luogo della memoria, non tutti lo capiscono, lo so, molti ci vedono solo delle pietre in agonia, e in­vece lì c’è la storia che è passata. Guardando Kalena si pensa ad un Gargano millenario, ai conventi che erano numerosi sul territorio e l’abbazia peschiciana era importantissima se­de monastica legata a Santa Maria delle Tre­miti, erano le due Abbazie di più grande presti­gio, tanto è vero che addirittura si favoleggiava che sotto il mare ci fosse un tunnel che le met­teva in collegamento. Ecco Kalena è anche mi­stero e simbolo di una terra che nel suo isolamento ha nascosto tanta parte di sè.

Le sue parole non celano la sua delusione…

Ma io sono delusa anche di come sono poi an­date le cose per il Parco Nazionale del Garga­no. Quelli della fondazione sono stati anni in­tensi di lavoro e slanci, portammo sul Gargano tutti i ministri dell’ambiente che si sono succe­duti negli anni e poi finalmente dopo tanto lavo­ro anche sul territorio, tra i sindaci, le comunità,. le categorie produttive, le associazioni riuscim­mo ad ottenere l’istituzione dell’area protetta e il riconoscimento di parco Nazionale. Se penso al Parco che sognavamo io e Sabino Acqua­vivaoggi ci trovo molto poco… Ricordo che quando fu istituito io andai a trovarlo, lui si tro­vava a Roma, negli studi della Rai dove stava registrando una trasmissione con Sergio Zavoli,io lo raggiunsi e gli dissi “Sabino ce l’ab­biamo fatta, c’è il Parco del Gargano!” e lui mi disse una frase bellissima che mi commuove ancora “sarà la nostra lapide, e non sarà di pietra”.

Che ricordo ha di Matteo Fusilli, primo pre­sidente del Parco?

Matteo Fusilli il Gargano lo sentiva, lo cono­sceva e ha inventato l’identità del Parco. Pur­troppo però molti non lo amavano, i montanari soprattutto, nonostante fosse uno di loro, ricor­derete i pessimi rapporti ad esempio con la Co­munità montana… ma perchè i garganici sono sempre in guerra fra di loro, l’aggregazione è quasi impossibile, sembra una popolazione to­talmente incapace di esprimere uno spirito co­munitario. Eppure è una delle terre più belle che abbiamo in Italia.

Lei ricorda quando Peppino Marateasi inven­tò l’idea di realizzare l’albergo diffuso a Vico del Gargano? Ebbene fu invitata l’architetto Gae Aulentie Peppino mi chiese di ospitarla a casa per una colazione cosa che io naturalmente fe­ci con immenso piacere. Era il mese di febbra­io, non ricordo più di quale anno, ma ricordo che io e Gae Aulenti stavamo guardando il mare dal mio terrazzo e lei rivolgendosi a me in quel mo­mento di contemplazione mi disse “fai bene a difendere questo posto perché è l’unico in Italia dove la campagna confina ancora col mare”. Non ho più scordato questa semplice, grande verità.

DANIELA CORFIATI

l’attacco