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22 NOVEMBRE/ LE ULTIME PAROLE DI CECILIA

I soldati che circondavano la santa e molti altri si lamentavano che una così bella fanciulla volesse affrontare la morte. Disse allora Cecilia: «Cari giova­ni, morire non è perdere la propria gioventù ma cambiarla in una migliore: è come dare fango e ricevere in cambio oro, abbandonare una vile dimora ed entrare in una preziosa e ornata. Il mio Signore rende il centuplo di quanto sii si dona».

JACOPO DA VARAGINE

Ad abbellire il martìrio di santa Cecilia – la giovane aristocratica romana che nel III secolo s’avvia serena alla morte pur di non tradire la sua fede e la cui memoria è segnata oggi dal calendario – con que­ste parole così intense è la Leggenda aurea, composta dal vescovo di Genova Jacopo da Varagine (Varazze), morto nel 1298, e diventata un classico della spiritualità per secoli. Quella di Cecilia è una lettura della morte come ingresso in un nuovo orizzonte di vita per celebra­re un incontro col Dio tanto amato. Non è una caduta precipite nel nulla, ma il varcare la soglia di una dimora «preziosa e ornata», come diceva già san Paolo: «Quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani d’uomo, nei cieli» (2 Corinzi 5,1).

Ma, al di là di questo tema, c’è un altro aspetto che merita conside­razione nelle ultime parole di Cecilia. È quello della coerenza radica­le e assoluta con la scelta di vita e di fede che si è fatta: non si deve ca­librare la scala dei valori solo sull’utile immediato, sul vantaggio e sull’egoismo che ci legano alle cose materiali. Si deve talvolta avere il coraggio di sacrificare tutto, anche l’interesse personale, per un idea­le e per un valore più alto. E questo «perdere» – come insegna il Van­gelo – è in realtà un «trovare» fino al centuplo.

Gianfranco Ravasi