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Ah..quei briganti…“I briganti bevono, bisogna creare dei club per i briganti”

“Giovanni, come si chiamano quelle montagne?”

“Professore, si chiamano Gargano”

“E…ci sono paesi, città?”

“Certamente”

“E…ci sono i briganti?”

“..forse…”

“I briganti bevono, bisogna creare dei club per i briganti”

 

“I briganti” siamo noi, il nostro C.A.T., Club alcolisti in trattamento, operante da quasi un anno a Vico del Gargano. Abbiamo scelto questo nome in onore del frammento di conversazione appena riportato, svoltosi più di dieci anni fa tra il dr. Giovanni Aquilino, fondatore del primo club a Foggia, e il dr. Vladimir Hudolin, psichiatra di Zagabria, fondatore della metodologia dei club.

Si tratta di un approccio molto semplice, forse più semplice a farsi che a dirsi: la persona con problemi alcolcorrelati inizia a frequentare il club con un familiare, che lo supporta, e si impegna “soltanto” a smettere di bere. Ci si incontra una volta a settimana, si ascolta e si parla tutti e sempre uno per volta. Vi sembra poco?

Riusciamo nelle nostre famiglie, nei nostri ambienti di lavoro a parlarci per un’ora e mezza a settimana? A parlarci davvero, con la televisione spenta, la radio muta, il telefonino disattivato, occhi negli occhi, alla pari, senza gerarchie, prevenzioni e giudizi?

Smettere…si può. Lo ha dimostrato il Congresso regionale “Club, comunità locale e responsabilità sociale”, svoltosi a Bari il 27 gennaio 2007, la “festa” per i primi venti anni dei club in Puglia. Non li ho contati, erano un esercito, compatto e irriducibile dalle 9.00 del mattino alle 18.40. Tra una senatrice che tentava di giustificare le inadempienze della Legge quadro 2001 n.125, le ragioni di tanti compromessi prima (abuso e non uso di alcol) e dopo (dove sono le unità alcologiche all’interno degli ospedali? Dove le strutture di accoglienza? Le disposizioni a tutela del mondo del lavoro? E che dire di tutta quella pubblicità che ci fa sentire belli e realizzati solo se beviamo?), e un assessore alle politiche della salute che riproponeva una serie di obiettivi del piano “Guadagnare salute” (Ridurre la disponibilità di bevande alcoliche sulle arterie di lavoro e sulle autostrade – Ridurre il consumo vietandone la vendita nei luoghi di lavoro, nelle strutture sanitarie, negli impianti sportivi, nelle scuole – Aprire il confronto con i produttori per ridurre la quantità di alcol nelle bevande – Intervenire con una adeguata politica dei prezzi – Fare prevenzione primaria attraverso i medici e i pediatri di famiglia – Educare nel sistema scolastico a stili di vita efficaci), dicevo, tra una senatrice e un assessore, si alzava una persona con problemi alcol correlati e raccontava una storia. La sua, quella di un familiare o un aneddoto.

Non faceva domande, non sollecitava promesse, raccontava semplicemente una vita e il racconto si faceva proposta.

Allora ho capito le parole della d.ssa Mariantonia Papapietro, quando ci riuniva per condividere le ansie dell’organizzazione: “Verranno dei politici, dei direttori sanitari, ma non parleranno tanto, perché con noi la gente che viene da fuori non parla mai troppo”.

La festa è stata dei club, di tutte quelle persone che per anni, giorno dopo giorno aggiungono un altro giorno alla loro sobrietà: del ferroviere che ogni mattina alza il pollice e fa segno all’amico che passa in treno “nate uno”, di quello che fa il sindacalista perché a furia di frequentare i club, ha imparato a parlare in pubblico, a leggere con enfasi, della signora che si scusa per la voce metallica, perché ha avuto il cancro alla laringe, regalo dell’alcol e afferma: “Non mi importa, sono felice, perché se c’è il sole lo vedo, se piove me ne accorgo”.

I club sviluppano capitale sociale: chi aiuta se stesso aiutando gli altri diventa migliore sul piano sociale. Avere avuto un grande problema nella vita si può trasformare in un grande vantaggio sul piano umano.

Noi de “I Briganti” siamo fortunati. Abbiamo un patrimonio umano che sviluppa un forte capitale sociale, una persona con problemi alcol correlati che da venti anni propone uno stile di vita esemplare, che riesce a preoccuparsi dell’altro anche la sera prima di ricoverarsi all’ospedale, che riesce a mostrarsi felice anche quando ha un grosso peso sul cuore. Meritava di essere premiato, con la sua famiglia, uno dei primi frequentatori del club di Foggia, venti anni fa “vuoi vedere che questi quattro gatti o quattro matti che si incontrano tutte le settimane, vuoi vedere che fanno qualcosa anche per gli altri?”.

E’ uno dei quattro gatti, o uno dei quattro matti, anzi sono due, l’ing. Antonio Angelicchio e sua moglie Caterina. Hanno ricevuto una targa: ”La salute è una condizione in cui la persona ha la possibilità…di amare ed essere amata.”

A loro il grazie da parte nostra, di tutti quelli che hanno già smesso e di tutti coloro che smetteranno.

                                                                                             Lucia de Maio