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Centro per l’impiego: in sette anni a Vieste per non fare assolutamente niente di niente

A fronte di tanti Italiani che non trovano lavoro e che restano tri­stemente disoccupati o inoccu­pati, ce ne sono alcuni che – bea­ti loro!, direbbe la piazza – un la­voro o, meglio, un impiego ce l'hanno. Ma che lamentano di non lavorare, di non essere affat­to impegnati. Sì, nel Belpaese accade anche questo. Che ci sia qualcuno "for­tunato", che ha un lavoro e che chiede, però, di guadagnarsi la pagnotta, come suol dirsi con linguaggio aduso e popolare; che chiede, insomma, di non "fare l'imboscato". E' il caso degli impiegati di Vie­ste.Attualmente 7 unità lavora­tive – responsabile è Matteo Del Duca – che presidiano i locali di quello che fu un centro per l'im­piego e che ora è – beato forma­lismo del mondo degli uffici e della burocrazia – uno Sportello Polifunzionale Potenziato di Vieste. E' il caso, principalmen­te, di Pasquale Pecorelli, opera­tore amministrativo in forza a quel presidio, che ci ha dichiara­to: "Personalmente e per tre vol­te ho fatto domanda di mobilità per passare ad altri enti perché non mi sento professionalmen­te realizzato in una struttura do­ve si consumano soltanto opera­zioni di registrazione". Dove, secondo le opinioni rac­colte da lAttacco, le lancette del­la storia sono rimaste ferme al tempo del "mitico" collocamen­to. Dove l'ente Provincia dimen­tica da anni di esercitare la sua funzione di gestione e di orga­nizzazione: in una parola, evade da tempo i ruoli ad essa conferiti dalle nuove leggi. Dove agli im­piegati la principale occupazio­ne affidata in sorte pare essere la noia amplificata dalla frustra­zione. Fattori importanti a cui si ag­giunge anche quello logistico. Appena giunti a Vieste, infatti, abbiamo faticato non poco per raggiungere la sede. Situata in periferia, nella zona 167, alla via Quasimodo e in locali presi infit­to, per la modica spesa di 25mi­la euro l'anno. Un ingresso senza neanche un avviso, locali per nulla disadorni e tavoli perfettamente in ordine, e "gli arredi per niente in linea con le esigenze degli uffici e con il lavoro che si dovrebbe fare", hanno osservato i diretti interes­sati. E poi alcuni telefoni predi­luviani, del buon tempo andato; solo 4 computer sgangherati e mal funzionanti – acquistati per altro dal Comune e su istanza dell'ufficio medesimo, una foto­copiatrice quasi mai funzionan­te ed il servizio internet garanti­to, anche questo, dall'ente co­munale. Su questo presidio, come spesso accade nella storia  d'Italia, si so­no abbattuti i fulmini della buro­crazia ma anche quelli della po­litica. Prima le vicende legislative. Nel 2001 arriva la nuova legge sul collocamento. Questo viene tol­to alle Regioni e demandato alle Province. D'ora in avanti agli en­ti provinciali competerà il com­pito – rivelatosi arduo, spesso per negligenza- di equiparare gli uffici del lavoro alle agenzie del lavoro. Nel caso viestano, però, subito dopo il debutto della legge, agli impiegati furono fatti espletare dei corsi professionali. Ma, an­che qui, le voci di dentro argo­mentano che burocrazia e poli­tica abbiano preso a marciare di comune accordo. Se è vero, che i dipendenti della sede viestana fecero in blocco il concorso a li­vello superiore organizzato dal­la Provincia. E che, contempora­neamente, l'allora assessore di Vico, Pierino Amicarelli, decise di portare il centro a Vico. I risultati: nessun impiegato su­però il concorso. Tutti imprepa­rati ed incapaci? E Vico diventò nuovo centro per l'impiego. Per la cronaca, Amicarelli vinse la corsa a sindaco, adducendo fra i suoi meriti appunto la fresca conquista del comune vichese. Il dado era stato tratto. A nulla servì la contromossa della deli­bera dell'ente comunale viesta­no per impedire la decisione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: Vico è stato preferito a Vie­ste, nonostante questa dispo­nesse già della sede e del ruolo burocratici e, cosa ancor più si­gnificativa, di più abitanti; Vico è ora centro per l'impiego di un vasto comprensorio che mette insieme ben otto comuni: oltre alla stessa Vico, Vieste, Rodi, Carpino, Cagnano, Sannicandro, Ischitella. Nel Centro per l’impiego di Vico, a partire dal 2001, furono acquisiti 9 formatori e 5 dipendenti, tuttora in pianta stabile. Normale vicende di casa nostra, si potrà obiettare. Anche perché gli abitanti del belpaese, dietro il moto di apparente dispregio per le cose della politica, son soliti provare, invece, una implicita e piacevole ammirazione per la capacità della politica a tessere trame della nostra storia. Nessuno perciò trovò e troverà da ridire sulla sfida vinta da Vico e sui silenzi – ovvero sull’implicito sostegno e/o – di palazzo Dogana. il resto è storia nota: Vieste è at­tualmente solo uno Sportello Polifunzionale Potenziato. Ma di tutto quanto è accaduto, ora si scontano le conseguenze. Quando, l'altro ieri, l’Attacco, ha visitato i locali di quell'ufficio erano 3 i presenti sui 7 attual­mente in dotazione. E’stato det­to che nello stesso giorno c'era­no le elezioni delle RSU. Ma non necessita molto sforzo e fantasia per immaginare la noia palpabi­le che può quotidianamente prendere chi è costretto a girare a vuoto in quell'ufficio. Spazi amplissimi e scartoffie po­chissime. Di servizi da svolgere, manco a parlarne. Tanto, l'ab­biamo già detto, lì si continuano a svolgere funzioni desuete del vecchio collocamento. Altro che andare al passo con i tempi, lavorare in sinergia con il mondo del lavoro e delle imprese, fare formazione e tant’altro.
“L’ho già detto – ha dichiarato Pecorelli – non mi sento professionalmente realizzato è c’è di che impazzire. Voglio andarmene da questo ufficio”.
Ancore e sempre aria di resa e frustrazione. E vediamole le operazioni svolte in quell’ufficio. “Noi facciamo le registrazioni delle assunzioni e dei licenziamenti, le iscrizioni – ha spiegato Pecorelli – operazioni per cui potrebbero bastare 2 persone”. E dire che il nuovo ufficio, secondo la legge di riforma dei servizi pubblici per l’impiego doveva sollecitare e realizzare l’incontro tra domanda ed offerta lavoro; doveva servire al collocamento mirato dei disabili, e praticare l’accoglienza, la formazione e l’orientamento e, infine, fare consulenza per le aziende. “Non facciamo niente di tutto questo – ha ancora spiegato pecorelli – e se le oce non si fanno o non funzionano, le colpe non sono certo dei dipendenti ma dell’Ente provincia e di quanti avevano il compito di tradurre le nuove normative stabilite da un’apposita delibera provinciale”. E sulle responsabilità di Palazzo Dogana, parole chiare vengono proprio dalla normativa, dal decreto legislativo 469/77 e dalla legge regionale 19/99 su norme in materia di politica regionale del lavoro e dei servizi al­l'impiego" che individua i com­piti che i nuovi CL.P istituiti dal­la Provincia sono tenuti ad eser­citare. Alla Provincia è affidata l'orga­nizzazione e la gestione della re­te territoriale dei servizi per l'im­piego e il compito di garantire l'integrazione con le funzioni già esercitate in materia di orientamento, formazione pro­fessionale ed istruzione. "Per quanto riguarda la formazione, l'ente Provincia non ci ha mai in­terpellati" ci hanno detto gli im­piegati". Per legge, erano previ­ste chiamate di lavoratori disoc­cupati di lunga durata, disabili e scuole: "mai fatte" è stata anche qui la risposta. Quadro leggermente migliore a Vico, ovviamente perché si trat­ta di un centro per l'impiego. Però a sentire alcuni impiegati – nessuno ha voluto rendere nome e cognome: “abbiamo paura di eventuali rappresaglie, alcuni di noi già hanno cause in corso” ci hanno spiegato – c’è la stessa noia, ben 9 formatori e 5 impegnati a fronte di un’utenza di 9-10 persone al giorno e, so­prattutto, ancora tante le accuse sui servizi attualmente svolti. "Siamo in una fase di transizione che dura ormai da molto" ci ha detto la solita gola profonda. "Tutto dovrebbe essere incenti­vato" e soltanto una piccola am­missione: qualche servizio di­verso dagli sportelli polifunzio­nali lo si fa: oggi c'erano due se­minari per i disoccupati e le im­prese". Per il resto, la frustrazio­ne si taglia a fette. E il lavoro si misura con lo stesso metro di Vieste. E la Provincia che fa? " Beh, il di­rigente è Pietro Liberatore, è lui che ha i rapporti con Palazzo Do­gana e l'assessore Giuseppe Ca­lamita (responsabile del settore, ndr). Abbiamo più volte manifestato la situazione, qualche mese fa venne anche il dirigente di allora Francesco D’Attoli (attualmente all’ambiente ndr). Ma non se ne è fatto niente…” E a Vieste? “No, qui manco a parlarne di visite e di rapporti con la Provincia” ha spiegato Pecorelli. Che sui dati dell’utenza ha dato gli stessi numeri di Vico: 10 cittadini al giorno. Numeri che sono appena più affievoliti nelle altre sedi di Pescihci, con un solo impiegato, di Rodi, Ischitella, Carpino e Cagnano con due impiegati e San Nicandro, con tre. La qual cosa evidenzia ancor più la mancata regia della Provincia. Perché, secondo i soliti ben informati “non si è mai provveduto a monitorizzare le utenze territoriali a valutare l'effettiva necessità di forze sul campo". Soprattutto, il dato più grave è che l'ente provinciale si è dimo­strato sin qui fallimentare ri­spetto agli obiettivi della riforma del lavoro. Si puntava al passaggio da un si­stema di gestione del mercato del lavoro di carattere mera­mente amministrativo alla co­struzione di una rete di servizi per il lavoro, dove i cittadini tro­vassero adeguate risposte ai loro bisogni di informazione consu­lenza e orientamento al lavoro. E si puntava, nel caso specifico del Gargano, a vincere oltre che la sfida dell'occupazione, quella dello sviluppo e della formazione più appropriati di un territorio che attende da anni di valorizzare il suo immenso patrimonio di risorse umane e territoriali. Il trasferimento dal ministero del Lavoro all’amministrazione provinciale delle competenze in materia di servizi all’impiego, doveva servire appunto a questo scopo: così non è stato. I lavoratori che chiedono di lasciare il proprio ufficio o cosiddetto Sportello Polifunzionale potenziato dicono che il loro gesto, ed anche con la loro frustrazione, che i nuovi centri per l’impiego. Almeno in territoriogarganico, non sono decollati. Anzi, non sarebbero nemmeno da preferire ai vecchi uffici di collocamento. Due domande sorgono spontanee, direbbe il buon Lubrano: sul problema ci sono o non ci sono colpe enormi dell'ente Provincia in generale e dell'assessore al settore in parti­colare? Fin quando si può regge­re, questa situazione?

Luigi Inglese
l'Attacco