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Pinto-Maratea, dopo gli arresti, i sequestri

L'auto di Nicola Pinto, presidente della Comu­nità montana del Gargano, e la quota di un appartamento di Peppino Maratea, assessore dimissionario alla cultura dello stesso ente, sono state sequestrate dagli agenti della sezione di polizia giudiziaria del Tribunale di Foggia, nell'ambito dell'inchiesta che lo scorso 11 gennaio ha portato agli arresti do­miciliari i due noti amministratori gar­ganici con l'accusa di concussione.Il sequestro preventivo è stato fir­mato dal gip Salvatore Casiello su richiesta dei pm Enrico Infante e Giuseppe Gatti. Quando si procede per reati contro la pubblica ammini­strazione – quali concussione, corru­zione e/o peculato – la Procura può chiedere il sequestro di beni del valore equivalente al profitto del reato con­testato. In questo caso si parla di una tangente di 20mîla euro che i due politici avrebbero intascato tra l'estate 2006 e il maggio 2007; così i pm hanno chiesto il sequestro dell'auto di Pinto e della quota di un appartamento intestato a Maratea – beni per un valore com­plessivo di circa 20 mila euro – per tutelare la presunta vittima della con­cussione. Se al termine dei tre gradi di giudizio la colpevolezza di Pinto e Ma­ratea dovesse essere accertata, allora i beni sequestrati adesso andrebbero a risarcire l'ingegnere abruzzese che so­stiene d'essere stato costretto a pagare le tangenti pretese perchè la Comunità montana del Gargano non bloccase il progetto per la connessione a internet senza fili, del quale la presunta vittima sarebbe poi diventato direttore esecu­tivo. L'inchiesta è ormai chiusa e nelle prossime settimane i pm chiederanno il rinvio a giudizio di Pinto e Maratea che si dichiarano innocenti. Al momento la difesa dei due amministratori non sem­bra interessata ad un giudizio abbre­viato davanti al gup, per cui in tempi rapidi – considerato che si parla di persone detenute – si dovrebbe arrivare al processo in aula.
Tutto ruota sulle dichiarazioni dell'ingegnere Gino Verrocchi. Pre­sentò a proprie spese il progetto per il cablaggio di una zona del Gargano, bandito dalla Comunità Europea che lo approvò e finanziò. Ma perchè il pro­getto diventasse esecutivo (e Verrocchi venisse nominato direttore per portarlo a termine) era necessario che l'ente montano lo cofinanziasse e lo ponesse in esecuzione. Pinto e Maratea avrebbero subordinato questo passaggio – dice l'accusa – al pagamento di una tangente da parte di Verrocchi. La ri­chiesta – ha raccontato il professionista – fu avanzata a Foggia nel giugno 2006 presso un ufficio della Provincia da entrambi gli indagati; lui poi pagò in tre tranche, consegnando il denaro di­rettamente a Pinto a Rodi Garganico, Mosciano (in Abruzzo ad un casello autostradale) e Poggio Imperiale. I due amministratori respingono le accuse – ma lunedì scorso il Tribunale per la libertà di Bari ha rigettato il ricorso difensivo, lasciandoli ai domi­ciliari – e negano d'aver chiesto e in­cassato mazzette. La difesa sostiene che Verrocchi sarebbe stato strumentaliz­zato da dipendenti della Comunità montana entrati in contrasto con Pinto e Maratea.