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Chiudono i Centri Servizi Educativi e Culturali della Regione Puglia?

A farne le spese in Capitanata sono Gargano e Subappennino. Ridotti e forse “male” accorpati i Crsec della Puglia: due per ogni provincia. La Giunta Regionale si appresta a deliberare (forse il 19 c.m.). Il personale dei Crsec è in subbuglio. Lo è perché tra qualche giorno ( forse il 19 c.m.) la Giunta Regionale, dopo anni e anni di indecisione e tentennamenti, è chiamata finalmente a deliberare sul loro definitivo destino, cioè sulla chiusura di quasi tutti i Centri, attualmente distribuiti in rete su tutto il territorio regionale.

La proposta di delibera è bella e pronta e pare che su di essa ci sarebbe, a quanto c’è scritto, non solo il parere positivo del Comitato tecnico di monitoraggio (o cabina di regia), istituito qualche anno addietro, ma addirittura anche quello del sindacato, ostile da sempre contro siffatta soluzione, che prevede l’accorpamento dei Centri in due maxi – strutture provinciali, compresi i capoluoghi. Per esempio per quanto riguarda la Capitanata, restano fuori Gargano e Subappennino, nonostante la specificità ed appetibilità dei piccoli Comuni, depositari di storia e tradizioni antiche, nonché di significativi beni culturali ed ambientali, in attesa di essere non solo riscoperti ma anche valorizzati sul piano turistico, con una ricaduta economica e occupazionale sul territorio. Tutto questo è quanto mai indispensabile per costruire un nuovo modello di sviluppo e un rapporto più equo ed equilibrato tra Centro e periferia, tra città e campagna, tra Nord e Sud e via discorrendo. Temi questi ultimi assai cari ai meridionalisti di un tempo ed ancora attuali, dopo il fallimento dei modelli consumistici susseguitisi negli ultimi decenni, che hanno solo distrutto e impoverito il Meridione. E’ in questa ottica che sono nati e vissuti finora i Centri di Servizi Educativi e Culturali della Regione Puglia. Il provvedimento regionale in parola si preannuncia gravido di conseguenze sul piano professionale e vitale dei dipendenti, che, a cinquant’anni d’età media, sarebbero costretti a rinunciare alla loro professionalità e a diventare lavoratori pendolari da impegnare non si sa in quale struttura o servizio del Capoluogo. impegnati gli operatori impegnati, costretti a diventare pendolarisia sul piano professionale che vitale. Si tratta di circa 220 unità. Molti di essi sono irritati, anzi indignati, non solo perché su la loro testa sta per cadere l’ennesima tegola, ma soprattutto perché si fraintende il loro operato. Di loro spesso si parla non come operatori impegnati da circa trent’anni in uno dei settori portanti della struttura regionale, come per esempio la valorizzazione dei BB.CC., la riscoperta delle tradizioni popolari e della storia locale, attraverso il contatto diretto e il coinvolgimento delle popolazioni e delle istituzioni, con la produzione e la diffusione puntuale di pubblicazioni al riguardo, offrendo spesso al mondo accademico spunti e punti di approfondimento. Al contrario oggi si vedono trattati come una sorta di ‘servi della gleba’, destinati in ogni momento a cambiare padrone e servizio, senza un minimo coinvolgimento nelle gravi decisioni che stanno per essere assunte nei loro confronti. L’ultimo atto che si sta per compiere li sconvolge , comunque, soprattutto perché si continua ad ignorare e a sottovalutare il loro bagaglio di esperienze acquisite, i cui contenuti hanno arricchito il patrimonio culturale della Regione, per destinarli a funzioni prettamente burocratiche. In passato gli operatori avevano fatto sapere che non ci stavano ad essere vilipesi e maltrattati a ogni pie’ sospinto con considerazioni fuori luogo e talvolta offensive della dignità personale, ma avrebbero voluto essere considerati alla stessa tregua del restante personale, specie in termini di carriera. Lamentavano qualche anno fa, infatti, che le ambite posizioni organizzative, solo per colpa del ritardo di qualche dirigente ed assessore, sarebbero state attribuite a iosa ad altri settori e concentrate esclusivamente tutte in una sola provincia, dimenticando che la Puglia va da Otranto a Chieuti. Risparmio? Macché! I Centri da decapitare in Capitanata ( Forse Lucera, Accadia, San Marco in Lamis e Cerignola) sono ospitati in strutture comunali, ed alcune di esse addirittura senza oneri di spesa di mantenimento (acqua, elettrica e termica). Inoltre, si sarebbe potuto risparmiare, semmai riducendo il numero delle posizioni organizzative, dei missionari e utilizzando a pieno regime con qualche ritocco le strutture di proprietà regionali. Infine, altri operatori, anziché questo tipo di mobilità forzata avrebbero ‘sognato’ invece che , dopo anni e anni di ‘magra’ e di personale impegno, la ‘voce’ per le attività in bilancio fosse finalmente adeguata alla bisogna. Insomma, si direbbe che anche questa volta la cultura è stata considerata la “Cenerentola” di turno e suoi nemici sarebbero sempre gli stessi, cioè quelli che, non potendo prendersela con i cannoni, se la prendono troppo spesso con le baionette.