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Papà Ciccio e Tore ai «domiciliari»

«Immeritevole della scarcerazione» E' stato il presidente della sezione gip del tribunale di Bari Giovanni Leonardi a comunicare ai giornalisti la decisione del gip Giulia Romanazzi che ha disposto la scarcerazione di Filippo Pappalardi, attualmente recluso presso il carcere di Velletri, ordinanandone il trasferimento ai domiciliari nella sua abitazione a Gravina. L'accusa è stata cambiata e Filippo Pappalardi viene posto ai domiciliari per il reato di abbandono seguito da morte (art.591 comma 3 del codice penale) Filippo Pappalardi per la tragica fine dei suoi due bambini.

Filippo Pappalardi può inquinare le prove e reiterare il reato (di abbandono): per questo motivo nei suoi confronti il gip Giulia Romanazzi ha disposto gli arresti domiciliari ritenendo l’uomo «immeritevole del beneficio della scarcerazione».
Esaminando i comportamenti tenuti dall’indagato, la cui personalità viene definita estremamente negativa, il giudice scrive che Pappalardi continua ad avere «la pervicace ed ostinata volontà», manifestata anche nel corso dell’ultimo interrogatorio, di «gelosa custodia della propria colpa». Inoltre in lui è assente «qualunque segnale di ravvedimento operoso, persino all’esito di un accadimento così terrificante, qual è stato quello del ritrovamento cadaverico dei propri figli; per cui neppure “il senso di colpa” è riuscito ad avere la meglio sull'esigenza di tutela della propria linea difensiva (ovviamente finalizzata a scagionare se stesso)».
Il giudice ritiene che Pappalardi possa inquinare le prove sia perchè sono in corso indagini sia perchè sta per essere compiuto un incidente probatorio per raccogliere il racconto del teste-chiave; «poichè Pappalardi – ragiona il gip – ha offerto pessima prova in ordine alla capacità di astenersi da comportamenti “contaminanti ed adulteranti”, anche per questa ragione appare immeritevole del beneficio della scarcerazione».
«E' pur vero – conclude – che l’ambiente familiare è stato “istigatore”; tuttavia, la presenza di due ragazze non figlie naturali dell’indagato e protette dalla Ricupero, e di una bambina in età ancora precoce per provocare reazioni aggressive, inducono a ritenere che la detenzione domiciliare non sia del tutto inconfacente».

«TARDO' A DARE L'ALLARME»
«Non valeva la pena “per una bravata da ragazzini” mettere a repentaglio la propria reputazione di “buon padre di famiglia”, e dunque rischiare la perdita dell’agognata potestà genitoriale in via esclusiva»: per questo Filippo Pappalardi, la sera del 5 giugno 2006, tardò nel dare l’allarme alla polizia dopo la scomparsa di Ciccio e Tore e successivamente fornì dichiarazioni false agli investigatori. Lo sostiene il gip Giulia Romanazzi nel provvedimento con cui ha concesso gli arresti domiciliari all’indagato.
«In questa prospettiva – argomenta il giudice – occorreva altresì eclissare la figura di Maria Ricupero, da cui aveva ottenuto il presupposto (la convivenza) per l’affidamento esclusivo dei figli; in questa prospettiva trova idonea collocazione la “causale” del “Buon Padre di Famiglia” che diventa elemento catalizzatore delle altre circostanze indizianti e chiave di lettura delle stesse; in questa prospettiva si inserisce anche il fatto di essersi mostrato disposto a correre il rischio di una deviazione delle indagini».
Solo col passare dei giorni – prosegue il giudice – quando «aveva cominciato a prendere corpo e spessore l’ipotesi di un accadimento ben più serio, il Pappalardi si era adoperato, ormai tardivamente, per fornire proficui spunti investigativi, non attribuendosene comunque mai la paternità della conoscenza».
«L'impostazione sin qui seguita – aggiunge – trova anche una maggiore ed adeguata confacenza al contenuto delle conversazioni telefoniche ed ambientali captate. A prescindere dall’idioma utilizzato, criptico nella sua stessa semantica, si ritiene che le “captazioni incriminanti” si spiegano tutte nell’ottica del tentativo maldestro di occultare il mendacio e le reticenze profuse, e nella esigenza di non esporsi al rischio di essere colpevolizzati».