Pasquetta, il profano irrompe nel sacro. Ricordati di desacralizzare le feste, potrebbe essere questo il terzo comandamento della nostra Italia pasquale e godereccia. Dopo quaranta giorni di Quaresima si approssima la Pasquetta, nel calendario segnata in rosso come Lunedì dell’Angelo. Ma chi se ne ricorda? Come per Ferragosto, come per l’Epifania (non a caso i genovesi chiamano Pasquéta proprio il giorno della Befana), il valore sacro delle feste è rimasto un richiamo opaco e confuso: ne è rimasta la superficie di feste civili, laiche, mondane, spesso spendaccione.Il primo imperativo di questi appuntamenti è partire. Fare gite fuori porta, allontanarsi da casa, e magari prendere un volo a basso prezzo all’ultimo momento. L’italiano parte sempre low cost e last minute, a basso costo e all’ultimo minuto: improvvisa il viaggio, senza spendere troppo. Gli altri, che non si possono permettere l’aereo, preferiscono l’auto. Infinite code si creano lungo le autostrade, trasformando l’Esodo biblico in un esodo di macchine e turisti.
Ma la Pasquetta segna anche un ritorno pagano agli elementi della natura. Soprattutto al Sud, il lunedì dopo Pasqua si festeggia infatti nel pagus, cioè in campagna. U' louc, come si dice dalle nostre parti. In tempi di campagna elettorale, non è una cattiva idea cercare ristoro in una campagna vera. Tenute contadine e piccoli appezzamenti di terreno si trasformano così per un giorno in isole di bagordi. Il diktat di questi pic-nic rustici è il fai da te. Ogni invitato deve portare una pietanza, dalla teglia di pasta al forno, alla pizza rustica, all’immancabile dolce fatto in casa (i più furbi se la cavano con una ruota di focaccia, costa meno ed è sempre gradita). L’importante è che si porti più roba di quella che si possa mangiare: l’abbondanza deve essere sinonimo di spreco. Le attenzioni dei convitati si concentrano soprattutto attorno al barbecue.
A gestire il via vai di affamati ci pensa l’addetto alla brace: si sente arrogato di un’onnipotenza quasi divina, quando stabilisce se la carne è cotta e a chi destinare il pezzo. Col forcone da cuoco, designa la sorte di sazi e digiuni. Tutti condannati nel girone dei golosi.
Questa festa mondano-contadina capovolge così le astinenze fatte durante la Settimana Santa. È lo sperpero che segue la privazione, lo sfogo che mette fine alla rinuncia. Per dirla con l’antropologo Girard, se la Quaresima è l’antifesta, ossia un periodo di austerità e di rigore, la Pasquetta è la festa che torna ad essere delirio e baccanale, oltrepassamento dei limiti.
Dal vino come sangue sacrificale di Cristo si passa al vino di Bacco, strumento di euforia e ubriachezza. Dalla rinuncia quaresimale alla carne si passa alla profusione di carni alla brace. Se a Pasqua resuscita il corpo di Cristo, si può dire che a Pasquetta rinasca il corpo dell’uomo, con le sue pulsioni e i suoi eccessi.
In questo modo la Pasquetta smaschera l’opportunismo religioso all’italiana, le nostre vocazioni pro-tempore. Siamo disposti a privarci di qualcosa, ma sempre in vista di una soddisfazione che ci ripaghi della perdita. Non c'è Quaresima senza Pasquetta, non c'è sacrificio senza ricompensa. Vogliamo essere santi, casti e puri, ma per non più di quaranta giorni. Anche l’ascesi stanca: presto torna l’esigenza di godere.
Gianluca Veneziani