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Dietro i fallimenti della scuola italiana

Un grido di dolore si alza dalla scuola italiana. Il 70% dei suoi frequentatori è insufficiente. Ciò vuol dire semplicemente che non ha imparato quello che doveva im­parare. La scuola che doveva dar loro l'istruzione, ha fallito.Nei sondaggi internazionali sugli apprendimenti dei diciassettenni, l'Italia sprofonda: i nostri studenti, ri­spetto agli stranieri, non sanno la ma­tematica, l'inglese, perfino l'italiano. La scuola che doveva insegnare tut­to ciò, ha fallito. Fenomeni di bullismo, di vandali­smo, di violenza, di maleducazione at­traversano sempre più di frequente la popolazione studentesca. La scuola che doveva educarli ha fallito. La classe docente è attraversata da fenomeni di massa di assenteismo, vecchiezza metodologica e culturale, de­motivazione, menefreghismo. La scuola che doveva valorizzarne le professionalità e avvalersene, ha fallito. I genitori hanno gettato la spugna come «primi edu­catori» e si limitano a giustificare, permettere, foraggiare di denaro la loro prole, sottrarla alle lezioni con mille scuse. La scuola che doveva collaborare con la famiglia, dovrebbe sostituirsi ad essa e non ce la fa; ha fallito anche qui. Gli edifici scolastici sono quasi tutti insicuri, cadenti, sporchi o perché vecchi e privi di manutenzione si­stematica, o perché nuovi ma costruiti durante il cra­xismo, era di corruttela trionfante nelle opere pubbliche. La scuola che vi doveva – alloggiare come in una reg­gia e invece vi alloggia come in una spelonca, ha fallito. L'università, afflitta da au­toritarismo baronale e con­seguente disorganizzazione, autoimplode con piani di studio elefantiaci e inutili, buoni solo per creare cat­tedre clientelari. Per esser così vasto, il pro­blema non è di questo o quel soggetto, non è di questa o quella scuola, non è di que­sta o quella regione. È un problema politico. Ma in politica nessuno se ne preoccupa. Nei tanti pro­grammi elettorali che in questi giorni si sentono strombazzare nelle piazze vere e in quelle virtuali dei salotti televisivi, nessuno se ne preoccupa: non ve n'è traccia. Né la destra né la sinistra, né il centro né gli estremi hanno lontanamente pensato a mettere nei loro piani di conquista del potere e di salvezza di questa Italia «in ginocchio-arretrata-indebitata-ecc.ecc» quello che gli economisti chiamano gli «investimenti nel fattore umano Lo dice perfino il direttore del «Sole ventiquattrore-. che non è un politico ma che se ne intende. Il fattore umano sono i cervelli degli italiani. Specie dei più giovani, quelli che escono dalla scuola ignoranti e vanno a ingrossare il pressappocchismo, il malfunzio­namento, la rozzezza e la volgarità del vivere sociale; o ne escono colti e preparati ma non trovano un futuro degno né nel lavoro né nella ricerca. E allora o languono nei call center e nei lavoretti precari; o fuggono all'estero dove trovano impieghi degni delle loro capacità. Già l'estero… Se ci vai e vedi le scuole degli altri, il confronto è sempre in perdita per noi. Lo sanno bene i ragazzi che fanno l'«Erasmus», lo sanno bene i professori e i presidi che fanno progetti internazionali, europei e non. Qualche anno fa ho partecipato a Pau, nel Sud della Francia, a un Festival della gioventù dove era strabiliante non solo la partecipazione massiccia e creativa di migliaia e migliaia di studenti medi in strutture megagalattiche efficientissime e modernissime create per la scuola; ma soprattutto la presenza dei politici locali di più alto livello, dai sindaci ai parlamentari ai ministri, che motivavano la loro presenza con «la necessità di conoscere cosa passa per la testa dei nostri giovani, per sapere cosa ci riserva il futuro, perché essi sono il futuro della Francia». E nella testa dei ragazzi c'era di tutto, dal funambolismo sugli skate-board alla creazione dell'automobile senza motore. In Germania è strabiliante (ma solo per noi) la va­lutazione periodica e sistematica dei docenti che vengono premiati sullo stipendio, se fanno bene il loro dovere e se lo fanno con eccellenza. Anche in Inghilterra il sistema scolastico prevede il controllo, la verifica, la valutazione del lavoro scolastico; e nessuno starnazza contro «l'attentato alla libertà d'in­segnamento», divenuto in Italia un alibi per consen­tire a chiunque di percepire uno stipendio senza fare in­segnamento. Tony Blair, il mitico «labour» che fece una politica «tory», nella tradi­zione del pragmatismo in­glese, mise mano subito al sistema scolastico. Ed ebbe il coraggio di mandare in giro i poliziotti a recuperare gli studentelli che marina­vano le lezioni. Noi no, sia­mo troppo garantisti… Eppure, in questo mara­sma generale della scuola italiana, vera nave che af­fonda senza che nessuno in­dividui e ripari le falle, ci sono ancora quelli che si sforzano di fare bene il loro dovere pur tra sacrifici e perfino dileggi. Onore a loro, dolore a noi tutti. Sono loro che salveranno l'Italia: perché «questo paese non si salverà se non nascerà una nuova stagione dei doveri» (Aldo Moro)

Bianca Tragni