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Sicurezza e immigrazione: un legame pericoloso

Tonnellate di immondizia, centinaia di morti bianche sul lavoro, pirati della strada che falciano pedoni e fuggono, rom che improvvisamente si mettono a rubare bambini, assalti e distruzioni di campi rom da parte di onesti cittadini in rivolta contro i “ladri di bambini”, ronde padane o democratiche a caccia di delinquenti, zingari, rom, rumeni, immigrati clandestini…
Ma, cosa sta capitando all’Italia e agli italiani? E’ la domanda che accompagna le immagini televisive, gli articoli di giornali, i dibattiti pubblici e privati, le scelte politiche degli ultimi mesi.
Il Presidente del Consiglio Berlusconi, presentando il “pacchetto sicurezza” – una serie di provvedimenti “d’urgenza” per rassicurare gli italiani vittime della paura dell’immigrato, clandestino e delinquente – ha sottolineato che “il tema della sicurezza e quello del diritto degli italiani a non avere paura è un diritto primario che lo Stato deve garantire”.
Sembra tutto così naturale ed evidente. E’ utile, però, ricordare altri due aspetti vitali per una sana convivenza umana. Innanzitutto la convinzione che un’efficace tutela del diritto alla sicurezza rientra nel novero dei diritti fondamentali e inalienabili della persona umana, di ogni persona, indipendentemente dal fatto che essa sia italiana o straniera. In secondo luogo, è pericoloso considerare la “sicurezza” come il nuovo idolo cui sacrificare tutto, dimenticando le garanzie democratiche, calpestando i diritti individuali, giustificando le ingiustizie e le violenze sommarie.
Non ci si può sentire sicuri solo per il fatto che cacciamo via o eliminiamo (anche con le molotov) il nemico, chiamandolo zingaro, rom, rumeno o immigrato clandestino… Voler difendere la “sicurezza” di alcuni riducendo o negando i “diritti” i altri non solo non sconfigge la paura, ma mina alle radici la reciproca fiducia necessaria per vivere insieme tra persone di diverse origini e appartenenze culturali.
Le principali misure del pacchetto sicurezza del governo Berlusconi
Il Governo, nel Consiglio dei Ministri di Napoli del 21 maggio 2008, ha approvato il seguente intervento normativo, costituito da un decreto legge e un disegno di legge sulla sicurezza, cui si aggiungono tre decreti legislativi correttivi sui ricongiungimenti familiari degli stranieri, sul riconoscimento dello status di rifugiato e in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari nonché un disegno di legge sulla banca dati nazionale del DNA.
Nel decreto-legge (immediatamente esecutivo con la firma del Presidente della Repubblica e la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale), le principali misure riguardano le norme per contrastare l’immigrazione:
–    vengono ampliati i casi di espulsione degli stranieri su ordine del giudice in caso di condanna penale; l’espulsione sarà possibile per i condannati a pene superiori a 2 anni (prima 10 anni);
–    viene prevista la confisca degli appartamenti affittati agli stranieri irregolari e la reclusione (da sei mesi a tre anni) per chi affitta case agli stranieri irregolari;

–    i “centri di permanenza temporanea” dovranno essere sostituiti dai “centri di identificazione ed espulsione”;
–    vengono assegnati ai sindaci nuovi poteri per garantire la sicurezza nelle città;
–    viene ampliata la casistica sui reati giudicabili per direttissima;
–    aumentano le situazioni per cui non può essere disposta la sospensione della pena;
–    è prevista una circostanza aggravante se le lesioni gravi alla guida di veicoli sono commesse da una persona illegalmente presente sul territorio nazionale.
Nel disegno di legge (soggetto a dibattito, modifiche ed approvazione parlamentare) troviamo le seguenti misure riguardanti gli immigrati:
–    il reato di immigrazione clandestina, per cui l’immigrato illegale che fa ingresso in Italia rischia la reclusione da sei a quattro anni;
–    la possibilità di prolungamento della permanenza degli immigrati nei Centri di permanenza temporanea (ora Centri di identificazione ed espulsione), di sessanta in sessanta giorni, fino ad un massimo di 18 mesi;
–    l’iscrizione anagrafica viene subordinata alla verifica da parte dei comuni delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile di residenza;
–    l’acquisizione della cittadinanza italiana, dopo il matrimonio, da parte del coniuge straniero di cittadino italiano avviene se risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero;
–    per contrastare l’uso illecito del denaro, viene disposto che i gestori autorizzati al trasferimento del denaro all’estero provvedano ad acquisire copia del documento di riconoscimento di chi richiede il servizio;
–    il reato di accattonaggio e la perdita della patria potestà dei genitori, con reclusione fino 3 anni per chi sfrutta per mendicare un minore di quattordici anni. Se tali reati sono commessi dai genitori, o dal tutore, si prevede la decadenza dall’esercizio della potestà del genitore;
–    si prevedono specifiche aggravanti per gli immigrati illegali che commettono violenze nei confronti di anziani o persone con menomazioni fisiche.

Alcune considerazioni
Tra le norme indicate ve ne sono alcune condivisibili, come la confisca di beni dei mafiosi e loro destinazione a fini sociali; la stretta su omicidi colposi causati da guida in stato di ubriachezza; la lotta allo sfruttamento di minori per accattonaggio, ma queste proposte non devono servire da alibi per convincere l’opinione pubblica italiana della “bontà” di tutto il “pacchetto sicurezza”. E’ necessario, perciò, rilevare che molte delle norme contro l’immigrazione sono in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana ed inefficaci nella loro applicazione.
–    Circa il reato d’immigrazione clandestina
L’introduzione del reato di immigrazione clandestina è una misura sproporzionata che finirà per ingolfare il sistema giudiziario e carcerario e spingerà gli immigrati senza permessi a delinquere.
In una società civile, è normale che gli immigrati (come qualsiasi altra persona) che delinquono siano puniti in maniera proporzionale ai loro delitti, ma non si può, però, sostenere che il problema della sicurezza dipende solo dall’immigrazione. E’ soprattutto il degrado a causare l’insicurezza.
In Italia ci sono tanti immigrati irregolari che lavorano nelle famiglie come colf, badanti, baby-sitter, nell’agricoltura, nell’edilizia e nelle piccole e medie imprese che non possiamo chiamare delinquenti, ma che lo diventeranno con l’introduzione del reato di clandestinità. Considerando che sono state presentate 728.917 domande di permesso di soggiorno (411.776 di colf e badanti) e che i posti disponibili sono 170.000, rimangono fuori 558.917 persone che, con il nuovo reato, diventano “automaticamente” delinquenti.

Inoltre, se l’immigrazione clandestina diventasse reato, dovrebbero finire in carcere per favoreggiamento anche centinaia di migliaia di cittadini, italiani e non, che hanno badanti o lavoratori immigrati non regolari…
Il “generico” reato di immigrazione clandestina non è sostenibile giuridicamente. Infatti, con il reato di immigrazione clandestina si fa diventare reato la semplice condizione personale di essere straniero, in contrasto con quanto la Costituzione stabilisce in materia di eguaglianza. La Corte costituzionale ha già ribadito che solo una condotta che lede beni costituzionalmente garantiti può giustificare il ricorso alla sanzione penale. E’ reato, infatti, non la mera clandestinità dello straniero, ma una clandestinità accompagnata da elementi oggettivi, accertati dal giudice, da cui risulti una pericolosità sociale, senza dimenticare, però che la sola povertà non è sinonimo di criminalità.
Sono previste, inoltre, aggravanti per i reati commessi da stranieri, incrinando la parità di trattamento con riferimento alla responsabilità personale e in contrasto con quanto già stabilito dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2007, che ha messo in guardia il legislatore dal prendere provvedimenti che prescindano «da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili», introducendo sanzioni penali «tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi di eguaglianza e proporzionalità».
A giustificare l’introduzione del reato di immigrazione clandestina si allega che questo esiste anche in altri paesi europei, come la Francia e la Germania, senza nessun disprezzo del diritto.
E’ utile ricordare, però, che in Francia la legge sull’immigrazione del 16 maggio 2006 considera sì che uno straniero «in situazione irregolare» compia un «delitto», punibile con un anno di prigione o un’ammenda e l’espulsione, ma perché la sua «irregolarità» deriva da una serie di comportamenti che costituiscono illecito: l’essere restato in Francia oltre i termini della validità del visto, o con un visto che è stato ritirato, non aver chiesto il prolungamento del titolo di soggiorno, o averne uno ritirato o rifiutato, aver perso i documenti di identità senza farne denuncia. Non è la condizione in sé che viene sanzionata, ma i comportamenti specifici che l’hanno prodotta.
Se consideriamo, inoltre, la Aufenthaltgesetz (legge sul soggiorno) tedesca, ad essere puniti (1 anno di prigione o 3.750 euro di ammenda) sono tutti coloro (anche i tedeschi) che violano norme che tutti sono tenuti a rispettare, come essere entrati nel paese senza passaporto o con un passaporto non valido, non disporre del titolo di soggiorno, rifiutarsi di far accertare le proprie generalità, violare l’obbligo di residenza disposto per ragioni processuali, sottrarsi alle ingiunzioni a lasciare il territorio nazionale. E non si fa distinzione tra Herr Miller, che magari cerca di rientrare a casa eludendo i controlli di frontiera dopo aver perso il passaporto in Thailandia, e Mohammed che, senza documento, dà alla polizia un cognome falso e dice di venire dalla Tunisia mentre è libico.
Infine, sia in Francia che in Germania ci sono strutture, anche pubbliche, di tutela dei diritti e delle possibilità di ricorso; viene privilegiata la lotta al contrabbando di esseri umani, punito come reato specifico e con pene severe; e soprattutto non si individuano nazionalità, etnie o «razze» come particolarmente «pericolose» e non si crea un’entità giuridica che presume una condizione di illegalità per una categoria di persone, a prescindere da ogni atto illegale eventualmente compiuto.

–    L’estensione, da due a 18 mesi, della permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione tramuta una “temporanea” limitazione della libertà personale in una vera e propria carcerazione preventiva più lunga di quella prevista per reati gravissimi.

–    Le misure restrittive dei ricongiungimenti familiari contrastano con la Direttiva europea e non riconoscono (è lontano ormai il ricordo del family day) che la famiglia costituisce il cardine più importante del radicamento sul territorio.