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IL GIUDICE NON APPLICA SOLO LA LEGGE

E’ chiamato a fare molto di più
«Così deciso, l’udienza è tolta». Santi Licheri, il famoso giudice di Forum, la pronuncia sempre al termine della lettura di una sua sentenza.
Ma cosa significa «così deciso»? Che il giudice si è limitato ad applicare la legge?
Nella seconda metà del secolo scorso – ricorda Mauro Di Marzio (giudice del Tribunale di Roma) –, è stato dimostrato come la decisione di un giudice non segue – o segue solo apparentemente – il ragionamento sillogistico (modellato sul sillogismo aristotelico), secondo cui l’applicazione della stessa norma dovrebbe condurre sempre alla stessa soluzione. Se così fosse, al giudice potremmo sostituire un software. Evidentemente c’è dell’“altro”, che sfugge alla rigida elaborazione di un programma informatico.
Ma cos’è quest’“altro”?
Spesse volte, la realtà fenomenica (specie quella dell’innovazione tecnologica) fa emergere lacune legislative che non possono costituire una sorta di rinuncia allo svolgimento della funzione giudiziaria. Possono, ad esempio, ricordarsi i rilevanti problemi giuridici, anche di ordine internazionalistico, seguiti alla diffusione del telefono. Si rifletta anche sugli sviluppi “indotti” al tradizionale diritto della navigazione dalla nascita e dalla diffusione dell’aviazione. E, più di recente, sulle implicazioni giuridiche dell’informatica e di internet (che, in Italia, non sono ancora sufficientemente regolati, normati ed inclusi nell’ordinamento giuridico generale).
Vuole dirsi che il giudice – anche a fronte di innovazioni vissute dai contemporanei come rivoluzionarie – trova sempre nell’ordinamento giuridico i rimedi (in un certo senso, gli anticorpi), dando veste giuridica ai fenomeni nuovi. In un secondo momento, e non necessariamente, interviene il legislatore.
La decisone giurisprudenziale ha, infatti, la struttura di argomentazione, la quale – afferma il filosofo belga Chaïm Perelman – «non cerca di ottenere l’adesione ad una tesi soltanto perché è vera. Una tesi può essere preferita ad un’altra perché sembra più equa, più opportuna, più utile, più ragionevole, più adatta alla situazione».
Con le sue decisioni, il giudice emette, quindi, giudizi essenzialmente di valore sull’equità, opportunità, utilità, ragionevolezza di una soluzione a fronte di un’altra. Il che consente al diritto non soltanto di essere costantemente al passo con i tempi, ma anche di misurarsi – di volta in volta – col caso concreto.
Insegna sempre Perelman: «La superiorità del pensiero giuridico su quello filosofico sta nel fatto che, mentre quest’ultimo può contentarsi di formule generali ed astratte, il diritto è obbligato a prendere in considerazione la soluzione delle difficoltà che appaiono quando si tratta di applicare quelle formule generali per risolvere dei casi particolari».
Ma – e qui sta la vera difficoltà del lavoro del giudice – quei giudizi di valore non devono essere (ancora Perelman) «espressione dei propri impulsi, delle proprie emozioni, dei propri interessi e, dunque, soggettivi e del tutto irrazionali».
Come scrisse – nel 1971 – Giuseppe Borrè (insigne magistrato di Cassazione), il precetto costituzionale di cui all’art. 101 della Costituzione, secondo cui «i giudici sono soggetti soltanto alla legge», non significa “giudice bocca della legge”. Significa, piuttosto, disobbedienza a ciò che la legge non è e che non potrà mai essere (perché, per esempio, in contrasto con i precetti costituzionali).
Questo, in estrema sintesi, è il difficile lavoro che il giudice compie ogni volta nelle sue decisioni, le quali non necessariamente devono essere in sintonia con le aspettative della collettività.
Insegna il giurista Luigi Ferrajoli che l’essenza della funzione del giudice è quella di «intervenire a riparare i torti subiti e a tutelare il singolo anche se la maggior parte o persino la totalità degli altri si schierano contro di lui». E’, infatti, a tutti noto come le decisioni dei giudici di Forum prescindono dalla “bilancia” del suo pubblico. Non è infrequente che siano addirittura opposte.
Questo è l’“altro” di cui dicevo.

Alfonso Masselli