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Puglia, già «assolta» la baby-Calciopoli – Un viaggio tra i «trucchi» del pallone (6)

Il campo è quello di sempre, con la brecciolina al posto dell’erba. Se cadi, l’ef fetto grattuggia è assicurato. Ieri come oggi il risultato non cambia. I ragazzini sono in coda, uno dietro l’altro. Il mister lo riconosci subito. Ha la tuta di un colore diverso, azzurro chiaro, rispetto al blu scuro delle magliette dei calciatori in erba. E dispensa palloni come un jukebox fa con i dis chi. Il meccanismo è quasi monotono. Tre i tocchi in movimento: calciatore-mister-calciatore. Quindi, il tiro finale. Che in realtà è una specie di pedata scordinata, vista l’età dei ragazzi, classe ‘96. Tecnica, poca. Entusiasmo, tanto. Il messaggio è educativo. Per la serie. «Coraggio significa provarci, anche dopo un errore». Qui si impara a vivere correndo dietro la palla. Si sogna un calcio leale, pulito, dove alla fine vince chi gioca meglio. A 5 anni sei un «piccolo amico», a 8 diventi «pulcino », cresci e a 10 anni entri nelle fila degli «esordienti», a 12 debutti tra i «giovanissimi» per passare a 14 tra gli «allievi ». È l’età dei progetti con la palla sotto il braccio. Sembra un gioco. Deve rimanere un gioco. Di campetti così, la regione è piena. Centouno le società che si occupano di giovanissimi, sparse su tutta la Puglia. Pubblico e privato si stringono la mano. Soprattutto nelle periferie bistrattate. Chi tira un calcio alla palla, lo tira anche al disagio.

La mission – termine alla moda – è socio-pedagogica. Ottavio De Gregorio, a 67 anni, ha ripreso a divertirsi: «Alla mia età non mi avrebbe salutato nessuno. Ora mi cercano, mi chiamano: mister di qua, mister di là». Ottavio ha creato una polisportiva col suo cognome («Così quando non ci sarò più, continuerò a dare fastidio») e si è messo al lavoro a Japigia, tra il Bellavista e il «Giustino Rocca». Si dedica solo ai più piccoli, 90 baby atleti, e partecipa a tutti i campionati di categoria. A dargli una mano, il figlio e un paio di amici.

Spiega: «Oggi è tutto più difficile. Fino a una certa età dovrebbero giocare, divertirsi, abituarsi a rispettare le regole e l’avversario».
Invece? «I genitori sono terribili. Vogliono gli schemi, pressano sul risultato, se perdi una partita, allora il tecnico non è buono. L’altra volta un ragazzino è arrivato tardi all’allenamento. E io l’ho messo fuori squadra. Volevo che capisse l’importanza di rispettare gli impegni. Lui, cosa ha fatto? Ha chiamato col telefono cellulare il padre, si è fatto venire a prendere ed è andato via».

La Calciopoli dei giovanissimi? «Mi lascia sconcertato. Io conservo ancora intatto il gusto di perdere. Non pensavo che si finisse così. Chi cerca di difendere i valori rappresenta oramai una minoranza».
La degenerazione del calcio è sotto gli occhi tutti. C’è modo e modo di perdere. Come c’è modo e modo di vincere.

Marco è uno scricciolo tutto pepe. Un concentrato di energia. Partecipa al campionato «allievi». Lo hanno iscritto ad una scuola calcio. Lui si è trovato bene, ed è rimasto. La sua specialità sono le finte. Riesce ad ingannare l’avversario con eleganza. Poi, si mette d’accordo col pallone e fugge. Il mister lo reputa un po’ indisciplinato. Così lui preferisce la fascia destra del campo, in modo da stare il più lontano possibile dalla panchina. Ha conservato intatta l’ingenuità dell’età (14 anni). Racconta: «L’anno scorso, in una partita del campionato giovanissimi ho mandato a quel paese l’arbitro. Risultato? Inevitabile cartellino rosso e due giornate di espulsione. Ma la partita dopo era di nuovo in campo. Come mai? La squalifica l’ha beccata mio cugino. Sai, lui è più scarso di me, io faccio la differenza in una squadra».
Miracoli di chi studia inganni a tavolino perché vuole vincere a tutti i costi. L’eroe è chi arriva primo, il secondo è come l’ultimo: non conta niente. Allora, che senso ha parlare di sogni, contro i calcoli?

Mario, ha 18 anni. Ora si dedica al calcio a cinque. Carriera promettente fino ad un certo punto. Poi il bivio, giochi o studi. Ha scelto la seconda strada. Una vita sportiva da mediano, per cantarla alla Ligabue. Inesauribile portatore di palla. Polmoni d’acciaio e piedi buoni. Ha scalato tutte le tappe del circo: esordienti, giovanissimi, allievi. E conosce bene le regole del sistema: «C’è la prassi dei cartellini falsi. La squadra partecipa al campionato dei giovanissimi e tu tesseri un paio di allievi, cioè più grandi. La differenza tecnica in campo si nota, quella anagrafica no. Cambi la data di nascita, attacchi la foto dell’anno prima e il gioco è fatto. L’arbitro non è tenuto a richiedere un documento d’identità e i cartellini vengono spediti direttamente a Roma. Insomma, non controlla nessuno». Il calcio non fa distinzioni. Mette tutti insieme, grassi e magri, piccoli e grandi, furbi e onesti. Si gioca come si vive. Siamo come giochiamo.

GAETANO CAMPIONE