Menu Chiudi

Pianosa, il gioiello delle Tremiti discarica di ordigni

L’isola di Pianosa doveva essere il santuario della riserva marina delle isole Tremiti, la zona «A» di protezione integrale dove non è possibile alcuna attività umana, la navigazione, la pesca e neppure l’accesso e ciò per garantire un’area di ripopolamento ittico. Questo polmone naturale è in realtà una discarica di ordigni bellici che risalgono per gran parte al primo e al secondo conflitto mondiale, i fondali sono tappezzati di bombe che, corrodendosi, pian piano rilasciano il tritolo e i suoi pericolosi derivati capaci di provocare danni all’ambiente marino e ai pesci come è stato documentato da diversi studi scientifici dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).

 

Pianosa è piatta e rocciosa e si trova quasi al centro dell’Adriatico, 11 miglia nautiche a Nord Est delle più note San Nicola, San Domino e Caprara, la vegetazione è brulla, assente a Nord dove il maestrale batte forte e le onde durante le mareggiate sommergono gran parte della costa. Basta una passeggiata lungo la scogliera per rinvenire diversi bossoli, le pareti degli unici locali presenti sull’isola sono crivellati, e sulle rocce esposte al mare come un macabro monumento si nota un proiettile di artiglieria inesploso.

Un esame più attento mostra sul suolo tracce dell’impatto di bombe costituite da metallo fuso sulla roccia. La preziosa riserva naturale nella quale, come si legge nel decreto istitutivo del 1982: «E’ assolutamente vietata l’introduzione di armi, esplosivi e di qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura nonché di sostanze tossiche o inquinanti » era in realtà già stata più volte adoperata come poligono o discarica di residuati bellici. Come è possibile che gli studi di fattibilità i quali di solito precedono la creazione di una riserva non lo avessero rilevato? Perchè non è stata predisposta una successiva bonifica?

Il problema è noto da tempo, in merito all’inquinamento bellico e ai rischi derivanti per la navigazione vi è anche una ordinanza della Capitaneria di Porto di Manfredonia (n.16 del 3 giugno 1991). Le conseguenze più serie sono in fondo al mare dove i ricercatori dell’Ispra coordinati dal pugliese Ezio Amato hanno censito già nei bassi fondali bassi ben ventinove bombe di aeromobile, armi convenzionali e non chimiche come quelle all’iprite disperse sui fondali antistanti Molfetta, ma ugualmente dannose per l’ambiente marino.

Dopo anni passati in fondo al mare le bombe iniziano a sgretolarsi e disperdere le sostanze nocive. Gli ordigni contengono, infatti, il Tnt che è un composto solido, giallo e inodore prodotto dalla combinazione di acido nitrico e solforico. Ed è altamente nocivo per tutti gli esseri viventi. Numerosi studi scientifici condotti su operai delle fabbriche di armi hanno dimostrato la tossicità di questa sostanza sull’org anismo umano che si manifesta a vari livelli provocando epatite e anemia emolitica, danni all’ap p a r at o respiratorio eritemi e dermatiti. Effetti nocivi sono stati rilevati anche su animali di laboratorio, ratti e cani nutriti con cibo contenente Tnt hanno evidenziato tremori e convulsioni. Il Tnt è stato qualificato anche come un potenziale agente cancerogeno. E’ ovvio che anche la sua diffusione in mare costituisce un pericolo concreto per le comunità biolog iche. I ricercatori dell’Ispra hanno scelto proprio Pianosa per approfondire le ricerche e lo hanno fatto analizzando, mitili, ricci e un pesce stanziale che vive a contatto con il fondo: il grongo.

«Le indagini – riferisce Luigi Alcaro ricercatore dell’Ispra che ha soggiornato per qualche tempo sull’isola – hanno evidenziato un notevole stress per gli animali marini campionati, segni di sofferenza e alterazioni a livello biochimico e istologico che possono essere diretta conseguenza del Tnt disperso dalle bombe». La situazione ambientale non può che peggiorare con il tempo, se non ci sono fondi per la bonifica, di solito viene effettuata con grande professionalità da nuclei specializzati (Sdai) della Marina, si prendano dei provvedimenti. O quantomeno si smetta di definirla riserva marina, perché i divieti paiono attrarre ancora di più i pescatori di frodo sia professionali che sportivi e i controlli a Pianosa, vista la posizione geografica sono difficili. Sull’isola poi oltre a bossoli e residuati bellici, ci sono rifiuti solidi di ogni genere, sulla costa persistono grosse chiazze di bitume e sulla costa orientale dal 1986 si stanno disfacendo i resti di un mercantile greco il «Panaiota» incagliatosi sugli scogli con il suo carico di semi di soia.

Altro che santuario per il ripopolamento ittico! Se vicino la costa vi sono già 29 bombe quante altre ve ne possono essere nei fondali più profondi? A quelle dei due conflitti mondiali si devono aggiungere anche gli ordigni dell’ultimo conflitto nei Balcani. Il mare ne è pieno, oltre agli ordigni convenzionali nell’Adriatico Meridionale ci sono quelli caricati con armi chimiche. Nel rapporto dell’ISPRA «Residuati bellici affondati in Adriatico» sono più di duecento i casi documentati di pescatori ustionati da esalazioni prodotte da armi chimiche portate a galla con le reti. L’ISPRA ha redatto le mappe di quattro aree del basso Adriatico dove si ritiene che siano presenti almeno 20.000 residuati bellici a carica chimica in particolare al largo di Molfetta sono stati individutati 11 ordigni all’iprite corrosi che derivano dalle stive della «John Harvey» la nave liberty americana affondata nel dicembre del 1943 e il cui carico mortale venne sparso nelle nostre acque. Le immagini riprese con un robot comandato a distanza e i campioni d’acqua sedimento e pesce analizzati hanno rivelato tenori di arsenico significativi e conseguenze evidenti ai pesci di fondale che presentavano grosse vesciche e danni al fegato e alla milza. Numerosi ordigni sono anche nei porti pugliesi dove con un finanziamento di 5 milioni di euro grazie ad una convenzione tra l’ISPRA, il Ministero dell’ambiente, la Regione e l’Arpa Puglia è stata avviata una attività di ricerca e bonifica nei porti porti pugliesi tra cui quelli di Bari, Molfetta, Manfredonia e nella località Torre Gavetone (tra Giovinazzo e Molfetta). Il segnale è positivo ma i fondi come riferito da Luigi Alcaro potrebbero essere sufficiente per completare solo questi siti.E l’isola di Pianosa? Vorremmo poterla chiamare davvero riserva marina.

Nicolò Carnimeo