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MALEDETTO RAFFREDDORE

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L’immancabile “compagno” invernale dell’uomo

 

Ogni inverno si presenta puntuale il malanno che costa di più in termini di giorni di lavoro e di scuola perduti.
Fin dall’antichità, con il raffreddore, le abbiamo tentate tutte.
Sappiamo da Ippocrate che una delle terapie più in uso al suo tempo era il salasso, mentre Plinio il Vecchio raccomandava di “baciare il muso peloso di un topo”.
Rimedi uno più strampalato dell’altro che, nel tempo, sono stati soppiantati da terapie palliative altrettanto fantasiose. Come quella che Richard L. Williams, in un condensato da Smithsonian (dicembre 1983), ci racconta essere stato inventato da un certo dottor William Osler dell’Università di Baltimora (negli States). Eccola: «Coricatevi. Appendete il cappello alla colonnina del letto. Cominciate a bere whisky e continuate finché non vedrete due cappelli. Il mattino seguente vi sentirete molto meglio».
Oggi sappiamo che quando abbiamo il raffreddore è tutta colpa di un virus (ovvero di un microrganismo costituito da semplice materiale genetico), largo circa 30 miliardesimi di metro. Quando il virus riesce a trapassare il nostro strato protettivo di muco, inietta nelle cellule sottostanti il proprio materiale genetico, costringendole a produrre altri microrganismi dello stesso tipo.
Una singola nostra cellula – pensate un po’ – può generare fino a 1000 nuovi virus, che partono all’attacco delle cellule circostanti.
Allo stato attuale, la scienza trova difficoltà a preparare un vaccino contro ogni tipo di raffreddore. Assai numerosi sono, infatti, i virus individuati e non. Solitamente un vaccino efficace contro un virus si rivela impotente nei confronti di un altro.
Nel frattempo, non ci rimane che evitare di essere contagiati.
Da una ricerca condotta anni fa presso l’Università della Virginia, è emerso che quasi sempre il raffreddore si propaga non – come siamo soliti credere – a causa di starnuti, colpi di tosse e baci ma – udite udite – per contatto manuale. In altri termini, il raffreddore si prende con le mani. Sembra che sia sufficiente stringere la mano ad una persona raffreddata o anche, semplicemente, toccare un oggetto precedentemente da questi maneggiato (i virus, su superfici di piccole dimensioni, restano in vita anche 72 ore) e poi strofinarsi gli occhi o toccarsi il naso.
Quindi, il solo modo per tentare di non essere contagiati dall’immancabile epidemia influenzale sembra essere quello di lavarsi spessissimo le mani, evitare – quanto più possibile – di toccarsi il viso e seguire la teoria del Premio Nobel Linus Pauling: tanta spremuta di arance. Può dirsi ormai pacifico che, se si aumentano le riserve di vitamina C, si rafforza il sistema immunitario dell’organismo e si distruggono le cellule infettate dai virus.
Se poi il raffreddore ce lo becchiamo lo stesso, non ci resta che armarci di santa pazienza ed aiutarci con sciroppi, spray nasali, pillole e quant’altro. Passerà anche questa volta. 

Alfonso Masselli


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