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L’ex Belpaese perde lo scettro del turismo

Manzionna: “ viviamo alla giornata perché non siamo più competitivi”.

 

La crisi del turismo nel Belpaese non è un’invenzione giornalistica. Non piacciamo più come una volta. Nel 1970 eravamo il primo Paese ai mondo per numero di turisti stranieri. Da molti anni siamo ormai scivolati al quinto posto, dietro Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina. E nel 2020, secondo le previsioni dell’Organizzazione
mondiale del turismo, perderemo altre due posizioni, finendo dietro anche a Gran Bretagna e Hong Kong. Un declino che sembra inarrestabile per un settore che da
noivale il 10 per cento del Pii, dà lavoro a due milioni di persone e muove ogni anno 90 miliardi di euro. I nostri difetti peggiori — secondo il rapporto del World Economic Foruin — sono le infrastrutture non sempre all’altezza della situazione (alberghi ma non solo), la mancanza di un cervello pensante che possa organizzare l’offerta nazionale, e anche uno scarso utilizzo di Internet, che ormai è l’agenzia di viaggio più utilizzata al mondo. Forse è una caratteristica che si intona bene con l’immagine dell’Italia nel mondo, ma l’Organizzazione mondiale del turismo la sottolinea quasi con orrore. Nel nostro Paese solo il due per cento degli alberghi è affiliato ad una catena internazionale. Una fetta minuscola se paragonata non solo al 7O per cento degli hotel americani, ma anche al 12 per cento della Spagna, al 18 della Francia o al 20 della Gran Bretagna. Certo, lo straniero che sceglie l’Italia per le sue vacanze preferisce la gestione familiare della pensione Maria al super hotel con mille stanze arredate nello stesso modo a Buenos Aires come a Vienna. Ma se Maria e i suoi figli accolgono (magari al meglio) chi ha già deciso dipartire, solo le grandi catene riescono a «creare» turisti, offrendo tariffe speciali a chi è già stato cliente dei propri hotel in altri Paesi, oppure puntando sui grandi numeri di chi viaggia per congressi e fiere. A parlare sono i soldi: la produttività del personale che lavora negli hotel italiani è bassa. Secondo uno studio della commissione europea siamo al dodicesimo posto tra i 27 Paesi dell’Unione Europea con poco più di 25 mila euro l’anno per addetto.
Quasi la metà del Belgio, e ancora una volta dietro ai nostri rivali europei Francia, Spagna e Gran Bretagna. Altra mancanza — secondo lo studio realizzato dai professori di un master della Sapienza è la scarsa attenzione a settori specifici che in tempo di crisi possono garantire la sopravvivenza, come il low cost e i giovani. In Italia- praticamente non esistono i cosiddetti budget hotel, le catene con servizi spartani e tariffe contenute, che vanno forte in Francia e Spagna. Così come sono una rarità gli ostelli della gioventù, che magari non porteranno soldi a palate ma formano i viaggiatori di domani quei ragazzotti che oggi girano con lo zaino in spalla e tra qualche anno potrebbero tornare con moglie, figli, e un portafoglio pieno di carte di credito. Siamo indietro, dunque. E siamo indietro- non solo quando un inglese o un americano atterrano a Fiumicinoalla Malpensa ma già prima. Ormai in Europa il 34 per cento delle prenotazioni alberghiere viene fatto direttamente via Internet dai siti degli hotel, saltando l’intermediazione delle agenzie. Un modo per risparmiare qualche euro che – con la crisi economica e la filosofia del risparmio che conquista anche i ricchi — è destinato a diffondersi sempre di più. Ecco, in Italia le prenotazioni via Internet sono al 24 per cento, dieci punti sotto la media europea. Per la semplice ragione che sono pochi gli hotel che offrono questo servizio: il 60 per cento contro una media europea del 72 per cento. Le bacchettate non finiscono qui. Lo studio sottolinea come l’Italia spenda per la promozione più o meno la stessa cifra degli altri Paesi del Vecchio continente: 160 milioni di euro l’anno contro i 180 della Francia e 170 della Spagna. Solo che più della metà di questa somma viene assorbita dagli stipendi e dalle consulenze delle strutture che di questo si occupano. Così come manca, sempre secondo la ricerca, un coordinamento reale che promuova il marchio Italia, magari unendo gli sforzi di città d’arte, mare e montagna che oggi corrono ognuno per conto proprio e invece potrebbero finire facilmente nelle stesse campagne e negli stessi pacchetti. E questo trend negativo nazionale si rispecchia pari pari anche à livello locale. “E’ l’esatta fotografia del nostro sistema turistico-afferma a l’Attacco Gigi Manzionna presidente del Cotup e storico operatore turistico di Vieste-. E’da anni che denuncio questa situazione. Purtroppo non siamo competitivi per motivi di costi a danno degli imprenditori. L’Iva in Italia è elevatissima rispetto alla concorrenza, e al turista, fatti due conti in tasca non conviene venire da noi, ma andare in Turchia ed Egitto dove un all-inclusive costa meno che un soggiorno da noi (anche per l’abolizione del cambio di moneta) -aggiunge-. Lo studio presentato in questi giorni, quindi, non ha scoperto l’uovo di Colombo. Ci mancano i grandi tour operator che ci sostengano, un ruolo che doveva svolgere il CIT, che è stata smembrato in Parmalat. Si dice di un prossimo ripristino del Ministero del turismo, e io lo spero vivamente, anche se in soldoni si parla sempre e si fa poco. Ormai noi imprenditori turistici viviamo alla giornata (né è la dimostrazione la sparizione delle catene di alberghi made in Italy), e ora siamo alle prese con i problemi di credito con le banche e le scatenate Inps ed Agenzia delle Entrate- conclude-. Qggigiorno ogni singolo operatore turistico, in queste condizioni, si arrangia come può (pubblicità su internet). Per questo, mancando il grande tour operator di raccordo(per non parlare dei rincari del 40% fatti dagli agenti), i contatti con l’estero ormai sono ridottissimi. Ora, con questi butti risultati stanno venendo tutti i nodi al pettine. Sul Gargano dove sono le infrastrutture promesse da anni (porti, strade, snellimento della burocrazia)?”.
Matteo Palombo
L’Attacco