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“I luoghi della memoria” Filippo Fiorentino 20 Febbraio 2005-20 febbraio 2009

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Pietro Giannone, Michelangelo Manicone e Pasquale Soccio

 

L’IRRE Puglia nel 2002 testò un percorso nei “luoghi della memoria” di Pietro Giannone, Michelangelo Manicone e Pasquale Soccio. Target: i corsisti del Laboratorio ”Lo sguardo del viandante” dell’IRRE Puglia. Guida d’eccezione: il prof. Filippo Fiorentino, che vogliamo ricordare così, nel quarto anniversario della sua morte (20 febbraio 2005).Il viandante s’inerpica lassù, per strade tortuose di bosco. S’inerpica per strade di paesi. Lungo le strade che portano a Ischitella, a Vico del Gargano, alla Dolina Pozzatina, a San Marco in Lamis. Il suo sguardo si posa sulle sagome annerite delle case, delle chiese e dei palazzi di borghi antichi ancora intatti, su mura scandite da torri scrostate. Si attarda su scorci di borghi antichi unici per la loro singolarità. Furono questi i luoghi amati, dimenticati, rimossi e di nuovo amati, nel recupero memoriale o storiografico, da tre grandi intellettuali garganici: Pietro Giannone, Michelangelo Manicone e Pasquale Soccio.
Proprio qui ci ritrovammo noi, moderni viaggiatori, in una sorta di itinerario a tappe nei luoghi abitati, in un tempo lontano e recente, da coloro che resero grande il Gargano. Amato da Dio, ma dimenticato dagli uomini. Questo itinerario, inusuale per il turista dirottato dai tour operator lungo le spiagge assolate e le scenografiche scogliere del Gargano, fu snodato e vidimato nel mese di aprile del 2002 in un laboratorio didattico di grande valenza culturale (“lo sguardo del viandante” dell’IRRE Puglia) animato dal prof. Filippo Fiorentino.
Dei tre illustri personaggi che, con le loro idee innovative, incresparono di fulminanti bagliori il quadro piatto e statico del Gargano del Settecento/primo Ottocento e fine Novecento, egli tracciò il percorso esistenziale/valoriale. Con singolari intrecci/agganci con la cultura europea ed extra-europea coeva.

TAPPA DI ISCHITELLA: PIETRO GIANNONE, “ISTORIA CIVILE DE REGNO DI NAPOLI”, 1723; “VITA SCRITTA DA LUI MEDESIMO”’, 1737

Il luogo della memoria ritrovato è la piccola Ischitella del tempo in cui Giannone vi nacque, nel 1676. Trent’anni prima, questo piccolo paese dell’entroterra garganico era stato quasi cancellato da un distruttivo terremoto. Sarnelli, nella sua “Cronologia dei vescovi et arcivescovi sipontini” del 1680, attesta che in quel drammatico evento si registrarono 92 vittime. Solo 26 case rimasero in piedi. Il borgo, allora, era abitato da 1235 anime. Giannone vi nacque da “buoni e onesti parenti”. Ad Ischitella visse per ben diciotto anni, ma le dedicò soltanto poche righe nella “Vita, scritta da lui medesimo”. Non sappiamo il perché dell’omissione. Questo “poco attaccamento alla sua terra d’origine” gli verrà rimproverato da Michelangelo Manicone che all’amato Gargano dedicò i cinque libri della “Fisica Appula”. Un fatto che marcherà la differenza fra i due intellettuali.
Ma Giannone ha segnato la storiografia: smascherò il potere religioso, mostrando la sua invasività in quindici lunghi secoli di potere. Filippo Fiorentino, nel suo “Laboratorio”, ci ha narrato come, di fatto, lo destrutturò. E come Giannone, a causa di questo suo imperdonabile peccato, fu imprigionato e lasciato morire nelle fredde carceri sabaude, in un lontano giorno del 1748, dopo aver segnato il ristabilimento, nella Storia, delle “regole del gioco”. La sua “historia tutta civile, senza strepiti di battaglie, tutta nuova”, di documentazione che sostiene una visione laica, fu espressione delle tesi dei ceti più avanzati del tempo. Il clima culturale della Napoli del 1714-48, lungi dall’essere stantio, espresse una vivacità intellettuale elitaria fra le più forti a livello europeo, non fu affatto la cultura angustiante cui gli stereotipi l’hanno confinata. Nel Settecento vi fu un vero e proprio movimento di unificazione della cultura e quella pugliese appare come complementare alla cultura della capitale e dei centri maggiori d’Europa.
Un vivace movimento di idee, al passo con l’Europa più avvertita, attraversò il regno di Napoli. Giannone ne fu il capofila. Dal suo pensiero trarranno leva metodologica tutti coloro che vorranno combattere i poteri che non incarnano la volontà popolare. Dalla sua analisi emergerà la tesi giurisdizionalista che farà scoppiare la grande contraddizione della Chiesa/Istituzione, “potere umano non legittimato né da Dio né dagli uomini, che gestiva i 4/5 del reddito dello Stato”.
Il pensiero del Giannone rispose ad una precisa esigenza storica: fornì le armi giuridiche sia al governo vicereale sia ai futuri principi riformatori, creatori dello stato moderno. Per abbattere definitivamente le prerogative dei ceti privilegiati e le concessioni d’origine feudale. Ecco perché, se da una parte venne esaltato come apostolo della libertà dello Stato, dall’altra suscitò odi feroci, e fu costretto a lasciare l’Italia. Ingiustamente, venne arrestato come un ladrone e incarcerato.
Nel 1734 il Regno di Napoli passò sotto l’illuminato governo di Carlo III di Borbone, che non riuscì nell’intento di farlo liberare dalle prigioni sabaude. Nel 1769 Bernardo Tanucci assegnò una cospicua pensione al figlio di Pietro Giannone. Postuma. Fu il riconoscimento fattivo «al figlio dell’uomo più grande, più utile allo Stato, più ingiustamente perseguitato che il reame di Napoli abbia prodotto in questo secolo».

TAPPA DI VICO DEL GARGANO: MICHELANGELO MANICONE, “LA FISICA APPULA”, 1806

Arroccato sul monte Tabor con le sue dodici chiese e con la sua cinta medioevale, con le ventidue torri che lo circondano, con il labirinto di stradine, spiazzi e casette bianche, il borgo antico di Vico del Gargano conserva un omogeneo impianto medioevale. E’ il bene culturale più interessante della città. Vi nacque un genio: Michelangelo Manicone. Ma egli non fu affatto il parto eccezionale di un paese racchiuso nelle mura arroccate attorno ai due luoghi simbolici della chiesa matrice e del palazzo marchionale.
Anche nelle periferie avviene un’elaborazione autonoma. Frutto di ricerca intellettuale profusa dal mondo ecclesiastico più propenso alle nuove idee, che cerca di ‘tracciare la via’ del progresso a un mondo pago degli odori dei centimoli. Come quelli respirati dalla sofferta umanità di Vico del Gargano nel “Trappeto Maratea”, un antico frantoio ipogeo adibito alla spremitura delle olive fin dal lontano 1317. Un’umanità che conduceva una dura lotta quotidiana contro l’indigenza imperante.
La chiesa di Santa Maria del Suffragio, detta del Purgatorio, nel Borgo Nuovo a Fuoriporta, sede della Confraternita della Morte ed Orazione, nel 1759 aprì la sua sacrestia all’Accademia degli Eccitati Viciensi.
Il respiro filosofico, scientifico e religioso che animò il cenacolo, aleggia ancora nel tempio, in cui ebbe sepoltura mons. Domenico Arcaroli, accademico e ultimo vescovo di Vieste, ed uno dei più insigni Eccitati. Il laboratorio storico è proprio qui, in questa chiesa di Vico del Gargano: la rievocazione di Filippo Fiorentino torna a farci rivivere le atmosfere settecentesche del piccolo ritrovo.
La cappella dell’Addolorata della Chiesa del Purgatorio ospitò, negli scranni di legno del coro, gli illuministi vichesi ante litteram. Erano sacerdoti, padri cappuccini, dottori, fisici. Si incontravano a cadenza settimanale, per dissertare contro i ritmi dimezzati della vita quotidiana, in questa chiesa fuoriporta alla piccola città racchiusa nelle mura, singolare miscuglio di tappeti sotterranei e di dimore palaziate.
L’intellighénzia vichese pensò di poter introdurre una proiezione sulla ricerca della felicità degli uomini del Settecento. In che modo? Eccitandoli. Tirandoli fuori, svegliandoli dal sonno dell’incultura. Simbolo dell’Accademia è Pallade che sveglia gli uomini, presentando loro un libro.
Gli Eccitati si pongono sotto la custodia della Madonna dei Sette Dolori, ma l’intendimento è laico; un’approfondita ricerca della ragione. Discutono, con grande competenza, di questioni sociali ed economiche. Credono fermamente che la rinascita degli studi sia l’unico elemento di incivilimento umano per contrastare i nuovi barbari. L’impegno è rivolto ai giovani, per affinarli alla ricerca ed alla crescita civile. Il dinamismo intellettuale è testimoniato dalla varietà dei temi dibattuti: la moneta, la legislazione, ma anche i culti di altri popoli, come il confucianesimo.
Lo trattò un socio dal singolare nome di “Serpillo amante”. Ma il tema esotico non nasce dalla “stravaganza eccitata” di Serpillo. E’ in atto, nel mondo cattolico, un acceso dibattito sul modo più opportuno in cui i missionari devono rapportarsi con le popolazioni orientali da convertire: le forme ibride, le contaminazioni non sono ben accette alla Chiesa ufficiale. A Napoli viene istituito un Collegio dei Cinesi (oggi Istituto Orientale di Lingue Straniere) per educare dei giovani provenienti dalla Cina affinché, nel loro linguaggio, imparino i principi del vero Cristianesimo.
Per divulgarlo in modo genuino e convinto. Il fatto singolare è che questo fermento sia stato prontamente recepito dagli utopisti Eccitati di Vico del Gargano. Protesi verso il futuro… che vogliono ‘convincere ed avvincere’ un’umanità avvolta nell’oscurità di barbari rituali. Alcuni soci avevano già avuto esperienze arcadiche. Dell’Accademia, sorta nel 1759, Michelangelo Manicone non farà parte, ha appena 14 anni, ma il sodalizio costituirà l’humus di cui si nutriranno le sue “illuminazioni”.
A lui va il merito di aver dilatato queste sollecitazioni in una curvatura di spessore europeo. L’opera di Manicone è un’elaborazione interna, un prodotto autonomo, non è un tributo al mondo francese, i savant francesi non insegnano nulla al Regno di Napoli.
Un luogo- simbolo della vicenda familiare del Giannone, per la presenza delle spoglie materne, era stato il convento francescano di Ischitella. E’ nei suoi ovattati silenzi, interrotti di tanto in tanto dalle preghiere e dai canti dei fraticelli minori, che trova ispirazione anche Michelangelo Manicone. Dopo essersi laureato nelle varie Scienze mediche, fisiche e naturali, rispettivamente nelle università di Vienna, Berlino, Bruxelles, Parigi e Londra, ed aver corrisposto con il grande Linneo, nel 1806 scrive “La Fisica Appula”.
Nelle bianche celle dei monaci francescani echeggia un’eco di scrittura… che determina emozioni produttrici di scrittura. Manicone ama la solitudine del cenobio ischitellano, in quegli anni è prostrato da una grave malattia, è costretto a rinunciare al piacere insito nel viaggio. Scriverà, a questo proposito, una sorta di vademecum per i viaggiatori del suo tempo: esalterà gli antichi, i cui libri additano la vera strada, riconoscerà il valore della tradizione storica, dirà che sono importanti gli “informi”, le informazioni altrui.
Ma è soprattutto viaggiando ed osservando che si formò la sua cultura di fraticello cittadino del mondo. Una cultura estremamente aperta alle innovazioni, una cultura senza frontiere, universale.
Michelangelo Manicone sistematizza in modo scientifico le teorie/dottrine scientifiche più avanzate del suo tempo. E la sua opera diventa una specie di summa, l’ecologia ante litteram del Settecento. Nel periodo in cui si opera per comparti stagni, organizzando il sapere in vari settori, egli impianta una dottrina che mette insieme ambiti ecosistemici globali, da mantenere da parte degli uomini civili. In una realtà di massicci interventi di cesinazione, in un mondo agricolo sacrificato dalle leggi a favore della pastorizia, in cui il taglio degli alberi produce reddito liberando, nel contempo, il terreno da destinare alla pastura, egli sostiene che questa politica non è affatto ecosostenibile.
«I pastori – come dirà poi il Galanti – sono l’immagine della conservazione della barbarie, gli agricoltori finiscono per essere perenni civilizzatori».
Nella “Fisica Appula” troviamo notazioni interessanti per ricostruire l’ambiente di tutta la Capitanata, com’era nello scorcio di fine Settecento. Con un’attenzione particolare, che suscita il vivo interesse del lettore, a tante piccole curiosità. Come quelle gastronomiche; ed ecco le ricette de il porco alla pampanella, profumato con erbe particolari ed aromatiche; e del ‘caffè del rusco’ o pungitopo seccato; dei “funghi di zappino al petrisinolo e alle acciughe”.
Ricette da provare in un gustoso percorso di slow food … alla ricerca dei sapori perduti del Gargano Segreto.

TAPPA DI SAN MARCO IN LAMIS: PASQUALE SOCCIO, “GARGANO SEGRETO”, 1965: “MATERNA TERRA”;1992: “PENSO DUNQUE INVENTO. DEL MITO, DI VICO E OLTRE”, 2000

Ultima tappa del viaggio del viandante, i luoghi narrati da Pasquale Soccio in “Gargano Segreto”. Alla Dolina Pozzatina, il cuore ritrovato è quello del Gargano "inquieta zolla vagabonda, impregnata nel vento della vita". Un cuore antico, quello del promontorio, che ha ispirato a Soccio pagine ricche di vissuto lirismo: «Ora più non so dove il suo cuore smarrito palpiti ancora. In un tempo più felice, o meno triste, io lo pensavo occulto nel profondo di una dolina, disteso nel verde riposo di una foresta o nell’inquieto rifugio di un antro dove il risonante mare gli donava lingua e parola…».
L’emotività davanti agli spettacoli della natura, carichi di tempo e di fremiti è testimoniata dal sofferto “Commiato”: «Già declina il mio giorno/ e colgo ombre e memorie… solo mi rimane/ questa dolcezza di saper morire/ tacitamente alle cose che amavo». La “Materna Terra” è San Marco in Lamis, luogo di silenzi, di intimo contatto con la spiritualità racchiusa nel convento francescano di San Matteo.
Filippo Fiorentino, a chiusura del lungo itinerario della mente all’interno del cuore del “Gargano segreto”. sottolineò come Pasquale Soccio, cantore di segni che vivono nella latitudine del poetico, si alimentasse degli umori stillanti all’interno del guscio calcareo del promontorio e si compenetrasse sommessamente in esso, senza mai rimanere prigioniero dei limiti provinciali e arcigni che quella Montagna imponeva a chi aveva deciso di radicarvisi.

Ci rendemmo conto che l’Infinito era proprio lì, nel cuore pulsante del Gargano assolato.

Teresa Maria Rauzino
 


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