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A VOLTE RITORNANO

 Alberto Negrin, regista di fiction tivù come Perlasca – Un eroe italiano (2001) o Gino Bartali – L’intramontabile (2006), L’ultimo dei Corleonesi (2007) oppure del recentissimo Pane e libertà (2009), sta preparando in questi giorni per RaiUno un altro sceneggiato (un tempo si chiamavano così) sulla dolorosa storia di Anna Frank, la ragazza ebrea divenuta simbolo della Shoah per i suoi diari scritti nel periodo in cui la famiglia si nascondeva dai nazisti, e la sua tragica morte nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Eppure, in tutta probabilità, martedì 3 agosto alle 22, nel Largo San Nicola della garganica Carpino, il regista nato a Casablanca e tornato in Italia a fine Seconda Guerra Mondiale, sarà presente al prestigioso appuntamento fissato dalla 14.ma edizione del “Carpino Folk Festival” (festival della musica popolare e delle sue contaminazioni), per la proiezione inedita dello spettacolo intitolato “Sentite buona gente”, da lui girato 42 anni fa.

Per l’Associazione Culturale “Carpino Folk Festival” e l’Archivio Sonoro della Puglia sarà l’occasione di riportare in vita gli strepitosi gruppi di musicisti tradizionali che nell’inverno del 1967 al Teatro Lirico di Milano dimostrarono con straordinaria capacità di fascinazione l’esistenza, anche in Italia, di “modi diversi di fare musica, non scritta, ma non per questo meno valida". E per Negrin la possibilità di assistere alla proiezione di un filmato di cui non conosceva neanche l’esistenza. Ce lo rivela lui stesso nell’intervista che ci ha concesso.

DOMANDA – Siamo nel 1967. Lei ha 27 anni. Giovane regista che si sta affacciando su un difficile palcoscenico – e non mi riferisco solo al Lirico – al quale chiedono di girare (a meno che non sia stata un’idea Sua) “Sentite buona gente”. Come e cosa accadde?
RISPOSTA – Ricordo di aver registrato lo spettacolo con registratore audio e di aver effettuato alcune riprese ma non ho memoria di chi possa aver filmato tutto lo spettacolo. A quell’epoca erano già quasi cinque anni che facevo l’assistente di Strehler.

D. – Quali le Sue sensazioni nel trovarsi davanti a un “patrimonio intangibile” (attualmente vengono così definite la musica popolare e le sue contaminazioni) che al tempo non era “protetto”, a differenza di oggi?
R.- Confesso che è stata una sensazione bellissima leggere che esisteva un documento filmato di quello spettacolo. In effetti all’epoca non immaginavo assolutamente di stare facendo qualche cosa che sarebbe diventato ‘patrimonio intangibile’. Ho molte fotografie dello spettacolo, foto realizzate da un fraterno amico e fotografo, Luigi Ciminaghi, purtroppo deceduto alcuni mesi fa. Ciminaghi era il preziosissimo fotografo del Piccolo Teatro di Milano, colui che ha immortalato tutto il lavoro di Giorgio Strehler.

D. – Prevede quale emozione potrà vivere la sera del 3 agosto rivedendo una sua creatura nata 42 anni fa?
R. – Sarà un’emozione enorme e indicibile. è fantastico rivedersi 42 anni dopo. E’ come conoscere un nuovo amico o riscoprire un se stesso di cui si è perduta traccia.

D. – Con quale stato d’animo attenderà questo momento.
R. – Paura di aver fatto uno spettacolo ingenuo dal punto di vista professionale e nello stesso tempo felicità per qualcosa che in ogni caso ha lasciato traccia di sé e che a distanza di così tanti anni ha ancora la possibilità di essere condiviso dal pubblico che assisterà alla proiezione.

D. – Di recente ha vissuto in Puglia un’esperienza che abbiamo seguito sui media: le riprese e l’anteprima a Cerignola del suo “Pane e libertà”, ritratto delle vicende umane e politiche del grande sindacalista Giuseppe Di Vittorio. Quale rapporto ha con la nostra regione.
R. – Girando “Pane e libertà” ho scoperto giorno dopo giorno la bellezza di una regione che conoscevo pochissimo. Avevo già realizzato un lungometraggio nel 1972, “Volontari per destinazione ignota”, un film con Michele Placido protagonista che raccontava la Guerra civile spagnola vista dai braccianti pugliesi che si arruolavano volontari credendo di dover andare in Africa a lavorare la terra e invece ingannati dal regime fascista che li mandava a combattere in Spagna dopo essere state utilizzate come comparse per un film kolossal dell’epoca, “Scipione l’Africano”.

D. – Scorrendo il suo palmares si nota una certa affezione professionale per i "grossi" personaggi: oltre Di Vittorio – facciamo alcuni nomi a caso – Perlasca (lo Schindler italiano), Nanà (eroina di Zola), Majakovskij (poeta e drammaturgo), Sonzogno (editore e giornalista, massacrato a coltellate il 1874 nella Roma umbertina), per non parlare di Gino Bartali (nostro personale mito, dopo Coppi) e i protagonisti del fenomeno mafioso. Ce la può spiegare?
R. – E’ vero, ho speso la maggior parte della mia professione raccontando personaggi e fatti realmente vissuti e accaduti. Ne sono rimasto affascinato perché quasi sempre la realtà nasconde molte più “avventure” e “storie da film” che l’invenzione pura e semplice. La verità è talmente sorprendente che nessuna immaginazione potrà mai eguagliare, anche perché sapendo di assistere alla ricostruzione di fatti realmente accaduti il pubblico ne resta coinvolto moltissimo perché sa che sta vedendo una storia vera. Le emozioni hanno delle radici molto profonde e riescono a coinvolgere molto di più lo spettatore. La verità vince sempre sulla finzione.

D. – A cosa si sta dedicando in questo periodo?
R. – Sto ultimando un film per RaiUno dal titolo “Mi ricordo Anne Frank”. Come vede si tratta di un altro film su un personaggio realmente vissuto.

D. – Allora, la vedremo a Carpino il 3 agosto?
R. – Farò di tutto per essere presente alla manifestazione… Anna Frank permettendo!

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