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Emiliano, atto d’accusa ai dalemiani: basta attacchi, qui è come Hiroshima

Il sindaco: mi accusano per i rapporti con l’imprenditore Degennaro? Il suo hotel è il quartier generale di D’Alema.

 

«Anche dopo Hiroshima noi saremo qui. E se le tre figure più rappresentative della Puglia, D’Alema, Vendola e io, non trovano la quadratu­ra, per il centrosinistra sarà un disa­stro ». Michele Emiliano, sindaco di Ba­ri, magistrato, candidato alla segrete­ria del Pd regionale in opposizione al­l’area dalemiana che sostiene Sergio Blasi, non nasconde la sua figura impo­nente dietro un dito. Ora che il tam tam dei boatos giudiziari annuncia co­me imminenti provvedimenti che squasseranno l’assetto politico del cen­trosinistra barese, reagisce come di consueto: guarda in faccia la bufera, gonfia il petto e reagisce colpo su col­po agli attacchi interni. Ieri l’ultimo: il dalemiano Ugo Malagnino, coordinato­re della mozione Bersani in Puglia, gli rinfacciava di aver scelto come asses­sore la nipote dell’imprenditore appal­tatore del Comune Degennaro e lo ac­cusava di mirare segretamente al po­sto di Vendola. Lui, tra un’inaugurazio­ne di un circolo pd a Carbonara e un pranzo con il senatore Giovanni Pelle­grino a Lecce (in un hotel diverso da quello prenotato per evitare una conti­guità gastronomica con il dalemiano nei guai giudiziari Sandro Frisullo, ca­sualmente già lì), sbotta: «Manca solo che mi si dica cornuto. Adesso davve­ro si sta esagerando».
Perché?
«Rimproverano me di aver rapporti con Degennaro? Ma se l’hotel Shera­ton è il quartier generale dei dalemia­ni da dieci anni in tutte le campagne elettorali più importanti. E anche lui ci va. Ma è tutto trasparente. Tutti i De­gennaro sono del Pd. Lo zio dell’asses­sore che ho in giunta è stato candida­to, per volere di D’Alema, alle Euro­pee. Non stiamo parlando di chissà quale bandito».
Ma è un imprenditore che ha ap­palti con il Comune.
«Sono tutti business precedenti. E poi Degennaro ha finanziato una sua lista civica che mi ha sostenuto, che ha espresso come assessore sua nipote Annabella che parla 4 lingue e lavora­va a Washington. Punto. È un legame che loro hanno coltivato nel tempo. Ma perché il padre di Colaninno non è un imprenditore?».
Davvero punta ad approfittarsi di un eventuale indebolimento politico di Vendola?
«Sputatemi in un occhio se farò mai il presidente della Puglia. Promet­to solennemente: non mi candiderò mai a quel posto. E poi secondo me Ni­chi non è debole».
E se dovessero scattare provvedi­menti contro esponenti della sua pas­sata giunta come l’ex assessore alla Sanità Tedesco, o l’ex vicepresidente Frisullo?
«Vendola li ha già sostituiti. Ma ca­pisco la domanda e vado oltre. Io non potrei mai credere che Vendola ha fat­to qualcosa di male. Ma dico che an­che se per motivi tecnici dovesse arri­vargli un avviso di garanzia non deve dimettersi».
Perché Tedesco sì e lui no?
«Tedesco si dimette per tutelare il presidente. Ma un soggetto che non può essere sostituito non può dimet­tersi e buttare all’aria la sua responsa­bilità ».
Vendola fa anche un rimpasto in nome della trasparenza.
«Sì, invece di sostituire solo Frisul­lo azzera la giunta. Ma lì gli erano salta­ti i nervi perché D’Alema gli aveva pro­posto di fare solo il capolista Pd. È un passaggio che lo ha fatto impazzire. Ma D’Alema è fatto così».
Un male o un bene?
«D’Alema è stato e rimarrà ancora a lungo l’unico riferimento politico del­la Puglia. E siccome io non ho intenzio­ne di andarmene, anche mio».
Però i suoi fedelissimi?
«Non sono tutti uguali. In gran par­te sono persone delle quali abbiamo un gran bisogno degli altri preferisco non parlare. Il mio auspicio è che D’Alema tratti in modo paritario con le figure più rappresentative della Pu­glia ».
C’è chi pensa che sia stato lei a sug­gerire a Vendola la lettera contro il pm Digeronimo in cui si evocano i servizi segreti deviati.
«Io sono riuscito a fargliela spegne­re dell’80 per cento».
Lei per primo ha indagato su Ta­rantini nel 2001. Perché non è stato fermato?
«Sì, emerse già tutto lì. Il sistema Ta­rantini. Il ruolo di Tedesco e delle sue aziende di famiglia. Finite le indagini sono andato via dalla procura. E credo che il pm Rossi fosse sovraccarico di lavoro».
E allora, perché andò alla famosa cena di Tarantini?
«Fu proprio Malagnino a farmi anda­re dicendo che D’Alema era in ritardo. Volevano portare anche me. Non rico­nobbi Tarantini, ma quando mi venne presentato aspettai D’Alema e gli dissi che dovevamo andare via subito».
In mezzo al giro di escort c’è finito anche Frisullo. Lei non lo ha difeso.
«Ma che dobbiamo scattare con il moschetto in mano ad ogni ordine? Anch’io forse tra 20 anni difenderei uno dei miei se finisse nei guai. Ma ora voglio valutare caso per caso non per appartenenza di partito. Anche per­ché non vengo da lì».
La accusano di occhieggiare a de­stra.
«Sono nato in un quartiere popola­re e vengo da una famiglia che ha do­vuto emigrare. Ma so per esperienza che sono milioni le persone per bene che votano centrodestra e non inten­do regalarle a Berlusconi».
Virginia Piccolillo