Il leader dell’Udc a pranzo con Cesa, Sanza, Cera e Ria. «Ma non andremo da soli», ammette l’ex presidente della Camera.
Occhio all’evoluzione del quadro politico nazionale. Questo l’imperativo che Pierferdinando Casini ha trasmesso ai vertici dell’Udc, convocati con i deputati pugliesi. Quindi oltre a Lorenzo Cesa, Rocco Buttiglione e Angelo Sanza da «Nino», ristorante vicino alla sede del partito, c’erano anche Angelo Cera e Lorenzo Ria. Sanza, dopo il lungo pranzo di lavoro, ha detto soltanto: «Ci siamo consegnati al silenzio ». Cera qualcosa in più racconta. Il deputato foggiano parte da una premessa, che è «una certezza»: «Abbiamo confermato il no alla candidatura di Nichi Vendola, che non è un veto personale, ma è un no a ciò che rappresenta. L’altra certezza è che se salta l’accordo con il centrosinistra non correremo per le elezioni regionali da soli.
Per decidere, comunque, c’è tempo». Appunto: «Occhio a ciò che si muove a livello nazionale». Il quadro politico è costantemente monitorato perché lo scontro all’interno del Pdl ha raggiunto livelli altissimi e se il ministro Claudio Scajola è arrivato ad affermare che Gianfranco Fini è praticamente fuori dal partito vuol dire che la situaizone può precipitare da un momento all’altro. Ma lo scossone – ribadiscono coloro che sono a più stretto contatto con il presidente della Camera – non lo darà mai Fini, il quale aspetta sulla sponda del fiume che tutto accada. E cosa accadrà domani, giorno fissato per l’interrogatorio del pentito di mafia Gaspare Spatuzza, che ha chiamato in ballo Dell’Utri e Berlusconi? Tutto è possibile, anche che ci si avvii velocemente verso un governo di solidarietà nazionale – è stata l’analisi fatta da Casini con i suoi. E dunque il quadro regionale, le alleanze che si vanno a chiudere non possono non tener conto di tutto ciò. In Puglia la partita è forse più difficile che altrove ma, confessa Cera, «confidiamo nel lavoro di D’Alema», impegnato a costruire un’alleanza vasta che vada dall’Idv a Io sud, passando, ovviamente per l’Udc.
Durante il pranzo di lavoro si è ragionato molto e si è anche ipotizzato uno spostamento all’indietro delle lancette, cioè a due, tre mesi fa, quando iniziarono i colloqui tra Udc, Pd e Vendola, con i centristi che spiegavano al presidente della Regione che «noi non possiamo appoggiarti, ma dicci tu il nome del candidato presidente, detta tu il percorso da compiere». Una posizione non accettata da Vendola e quindi saltata con la sua autocandidatura, con l’appoggio ricevuto e poi ritirato dal Pd, e con tutto il resto che ne è seguito. L’Udc, dunque, sta ancora alla finestra, mentre il Pd si sta dilaniando, perché l’intervento di D’Alema nella riunione dello scorso fine settimana solo apparentemente ha chiarito la situazione. Ormai anche i più dalemiani non nascondono che «è stato un errore per Massimo arrivare a Bari e dettare la linea, commissariando di fatto Blasi che si è rivelato un segretario che non è stato in grado di far votare l’assemblea sul ritiro o meno dell’appoggio a Vendola. Dove è finita la democrazia?», si chiedevano ieri alcuni deputati. Ma sconti non vengono fatti nemmeno a Vendola: «Ha avvelenato i pozzi della politica, l’ha fatto mettendo in giro la voce che il no dell’Udc sul suo nome dipenda dalle scelte sull’Aqp, sapendo che la linea del Pd non esclude affatto che la gestione della rete idrica possa essere privata ». E c’è poi chi dice – citando l’aneddoto del contadino che, dopo aver tastato i fioroni per verificarne la maturità, si siede sotto l’albero aspettando che i frutti gli cadano in bocca – «alla fine vedrete, si tornerà a Vendola ». Ma senza l’Udc.
Rosanna Lampugnani