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Digitale terrestre, le tv pugliesi pronte alla “guerra” dei canali

La data fatidica, benché ancora ufficiosa, è quella del primo luglio 2011. Per le televisioni, quello è il giorno dello «switch off»: anche in Puglia da quel momento sarà spento il sistema analogico e tutte le trasmissioni avverrano solo in digitale terrestre. Ogni emittente si dovrà frattanto essere dotata della strumentazione tecnologica adeguata, e in ogni casa ci si dovrà attrezzare con il decoder da applicare al vecchio televisore ovvero con un nuovo apparecchio. La rivoluzione tecnologica è stata già avviata in altre regioni e sarà completata a scaglioni. In Puglia il primo semestre del 2011 servirà per l’avvio della digitalizzazione: in pratica entrambi i sistemi potranno convivere, fatta eccezione per Rai2 e Rete4. Poi chi c’è, c’è. Il fatto è che il passaggio al digitale terrestre non comporta solo una riconversione tecnologica. Se così fosse, il problema riguarderebbe solo gli investimenti, pur cospicui, per gli impianti da rifare nelle aziende editoriali come nelle nostre case. Il problema è ben più complesso, e riguarda soprattutto la programmazione dettata dal ministero per l’assegnazione dei canali di frequenza alle singole emittenti e poi anche la numerazione dei canali assegnati. Esempio. Posto che i canali disponibili saranno ben 600 e che i primi tre vanno assegnati alla Rai, cioé al servizio pubblico, e che i tre successivi toccano a Mediaset per fetta di mercato occupata, a chi tocca la quota di canali successiva? Secondo l’opinione emergente in sede politico-ministeriale, i canali successivi toccano comunque a reti nazionali anche se ancora inesistenti. Le emittenti locali potranno comparire solo tra i canali 10 e 20 e poi di nuovo oltre il canale 60.

In pratica le emittenti già operative dovranno restituire le frequenze e accettare il passaggio ad altri canali che tuttavia sono soggetti a interferenze gravi e progressivamente destinati alla cessione alle compagnie telefoniche. Questo ovviamente a tutto danno dei rispettivi spazi di mercato in termini di ascolto e di raccolta pubblicitaria.

Secondo aspetto del problema è la canalizzazione automatica della frequenza: in pratica, come attribuire la numerazione delle singola emittente sul telecomando di casa. Luca Montrone, patron di Telenorba e leader dell’«Alpi» (Associazione per la libertà e il pluralismo dell’informazione) ne fa una questione di principio e ha ingaggiato una guerra di posizione, rivendicando il diritto per le emittenti locali di poter esistere sul telecomando già dal canale 7: «Avviene già ora e così deve restare per i nostri telespettatori», dice. A ruota si posiziona Fabrizio Lombardo Pijola, editore di Antenna Sud e presidente di RTP, consorzio di editori radiotv pugliesi: chiede che «ci sia comunque una regola: almeno dai canali 9 a 19 ci sia in automatico la canalizzazione per le prime dieci emittenti già sul mercato».

Il passaggio al digitale teoricamente lascia spazio a tutti, ma in realtà comporta gravi rischi di sopravvivenza per le tv locali e dunque per l’occupazione e il pluralismo nell’informazione. In Piemonte, nel Lazio o in Campania, dove lo «switch off» è già avvenuto, sono decine le emittenti che hanno chiuso.

Questo perché si moltiplicano i canali ma il mercato della pubblicità resta lo stesso e la dispersione degli ascolti fa calare le quote di raccolta pubblicitaria. In più la Finanziaria ha azzerato le provvidenze per l’editoria con effetto retroattivo, e dunque già sul bilancio 2009 le aziende editoriali non hanno più contribuzioni per le spese di luce, telefono, agenzie di stampa e satellite; sono diminuiti anche i contributi «Corecom» finora riconosciuti in base al fatturato e al numero dei dipendenti. Per tutti questi motivi le tv locali ora si mobilitano e vanno alla guerra dei canali.