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Zeman: «Foggia, arrivo solo con Casillo. In serie A nessuno ha fatto meglio di me»

Il boemo riscalda i tifosi rossoneri: «Il grande calcio non mi vuole? Il pallone è uguale anche in Lega Pro».

 

«Sono contento di tornare, Foggia non l’ho mai dimenticata». La voce è più squillante del solito, il telefono annulla le distanze, così la sua prima impressione arriva nitida e definitiva. L’esternazione del suo stato d’animo spazza via tutti i dubbi, dissolve i sospetti della boutade, del colpo di teatro buono solo a gettare fumo negli occhi: Zdenek Zeman è pronto a sedersi nuovamente sulla panchina dello Zaccheria, pronto a rinverdire i fasti di zemanlandia, anche se il palcoscenico è quello della Prima Divisione: «Ma il campo di calcio è lo stesso – sussurra, lanciando una di quelle affermazioni lapalissiane che lo hanno reso famoso – le dimensioni, l’erba, le porte, non cambiano, sono uguali in A come in Prima divisione». Logica inappuntabile, che cerca di nascondere, però, una realtà amara: il calcio italiano non lo vuole più, o almeno, i dirigenti del calcio italiano non lo vogliono più. L’ultima gara di Zeman in Italia? Era il 22 dicembre 2006 Lecce-Vicenza 1-2. Da allora solo una fugace apparizione sulla panchina della Stella Rossa di Belgrado. Dieci campionati di serie A – Roma, Lazio, Napoli, Lecce, oltre naturalmente al Foggia – 9 di B.

Da tre anni, però, niente panchina: «Certo che sono dispiaciuto, è logico – riflette amaramente – anche perché nel panorama degli allenatori di serie A attuale nessuno ha fatto meglio di me. Controllate, io sono arrivato secondo con la Roma. Tra quelli che sono in A non c’è chi ha fatto meglio». Controllare? Inutile, ha ragione lui. Si ferma un attimo, poi, quasi a prevenire il dubbio che accetti con poco entusiasmo, aggiunge subito: «Sono pronto, però, a tornare in campo. Non importa la categoria, Foggia, poi, è la piazza ideale». La pausa è lunga, la domanda del cronista è inevitabile: Foggia piazza ideale per fare cosa? «Niente», risponde. Ma è chiaro che medita una rivincita. È chiaro che vuol dimostrare che a sbagliare sono gli altri. Non sarà facile, però. I ritorni sono sempre pericolosi. Minestre riscaldate li chiamano.

Il rischio di offuscare la memoria è un pericolo reale. Anche perché i nomi di Zeman, Casillo, Pavone hanno subito infiammato una piazza vogliosa di tornare nel calcio che conta: «È giusto che la gente di Foggia sia ambiziosa. Quei tifosi non meritano di stare in Prima divisione. Io so solo che farò il calcio che ho sempre fatto. Calcio pulito, senza inganni, cercando sempre la vittoria, anche se saranno in 18 a cercare di vincere». Poi si informa: «Ma la situazione dei campi com’è?». Sa già la risposta. Il campo di San Ciro, un campo parrocchiale e sterrato dove faceva allenare Baiano, Signori, Kolyvanov per preservare lo Zaccheria, è sempre lì. «Allora è rimasto tutto come allora…». Beh non proprio. Il Foggia, infatti non è più in mano a Pasquale Casillo.

La voglia dell’ex re del grano di tornare alla guida della società rossonera è acclarata: «Torno solo se c’è lui» sussurra Zeman per mettere le cose in chiaro. Eventualità, ancora in alto mare. Con gli attuali proprietari è in atto un braccio di ferro e c’è ancora l’iscrizione da perfezionare. All’appello mancano ancora 70 mila euro per ottenere la fideiussione. L’aiuto degli imprenditori foggiani non è bastato. Saranno, probabilmente, gli stessi soci a coprire la restante cifra. E poi ad iscrizione avvenuta si potrà tornare a trattare, con una certezza: si partirà con una penalizzazione, come 24 anni fa, quando Zeman sbarcò per la prima volta a Foggia: «Visto che ho ragione? – è la sua battuta prima di congedarsi – Non è cambiato nulla».

Lino Zingarelli