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Boss del Gargano la latitanza dorata tra donne e ordini

Nascosto nel furgone di una lavanderia per spostarsi da un nascondiglio all’altro, protetto dalla complicità dell’amante e di uomini fidati pronto a “chiudere la bocca con una patata” a chi lo aveva tradito, emulo dei rituali della mafia siciliana. Sopravviveva così, già un anno fa, tra casolari e appartamenti sul mare di Vieste, nella sua latitanza dorata, Giuseppe Pacilli, uno dei due più ricercati protagonisti della mafia del Gargano (assieme al capoclan Francesco Libergolìs).

 Storie di donne e denaro, di barattoli di lampascioni preparati apposta per lui, biancheria
sempre pulita, minacce,violenza ed estorsioni emergono dalle intercettazioni telefoniche, registrate durante le indagini sui suoi fiancheggiatori. Proprio martedì mattina, sei di questi sono stati arrestati con l’accusa di favoreggiamento, per averlo aiutato a nascondersi anche quando, condannato con sentenza definitiva, dai suoi rifugi prendeva decisioni, dava consegne di segretezza e omertà, e convocava la sua donna: geloso di lei, delle sue impreviste assenze (si incontrava segretamente con un altro uomo), la faceva accompagnare nel suo nascondigli dai suoi fedelissimi. Utilizzavano schede telefoniche “usa e getta” e progettavano attentati per eliminare i poliziotti che gli davano la caccia. Ma lo sai che devi fare? Prendi una patata e mettigliela in bocca, e digli “chiuditi quella bocca”». E’ fuori di sé Giuseppe Pacilli, “Peppe”, quando l’amico Gianni Padovano (per lui “Combà Giovanni”) al telefono, dopo avergli raccontato delle perquisizioni messe in atto dalle forze di polizia nelle abitazioni dei sodali al clan, gli dice che uno dei fiancheggiatori ha spifferato agli agenti del progetto di attentato dinamitardo nei loro confronti. Un modo come un altro, nelle intenzioni di Pacilli, per fermare la caccia al suo nascondiglio. “Peppe” interviene, dà ordini telefonici, e il confidente nel successivo interrogatorio ritratta tutto. Intanto si sposta, nelle campagne del Gargano, tra Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Vieste, dove viene puntualmente seguito dai suoi uomini, che fanno bene attenzione a non essere controllati. Sono sempre loro che gli portano il telefono, accompagnano dal boss la sua donna, gli recapitano biancheria pulita, giubbotto più caldo e barattoli di conserve.
Una latitanza agevolata da vedette e proprietari di rifugi, che ancora oggi dopo 16 mesi, gli consente di sfuggire alle ricerche sempre più pressanti delle forze dell’ordine. Sulle sue tracce e su quelle di Franco Libergolis ci sono tutti, ne hanno discusso anche nell’ultimo vertice alla presenza del ministro Maroni e oggi, dinanzi ai giudici della Corte d’assise d’appello, l’intero clan comparirà per la sentenza di secondo grado del processo Iscaro-Saburo. Mancano tra gli imputati i morti degli ultimi mesi, quelli finiti sotto i colpi della guerra fra famiglie mafiose del Gargano che finora ha provocato 171 morti.

MARA CHIARELLI