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Bacchelli e il viaggio alla scoperta di “Strade e paesi” garganici

I volti, il mare e il vento nel reportage dello scrittore bolognese.

 

Nella primavera del 1929, sulle pagine della”Stampa”vedono la luce alcuni interessanti articoli che Riccardo Bacchelli scrive dal Gargano, raccolti poi nel libro “Italia per terra e per mare” (1952). Il futuro autore del “Mulino del Po” è ospite a San Marco in Lamis dell’amico Giustiniano Serrilli che non vede dai tempi dell’Università a Bologna. Mirabile è la descrizione che Bacchelli farà della cittadina garganica nel racconto “Il brigante di Tacca del lupo”, legato alla cruenta fase del brigantaggio post-unitario: “Come uno spaccato verde tra aridi colli, s’apriva, fresco d’alba, il vallone dove si stipa San Marco in Lamis, paese singolare per la
distribuzione regolare delle strade ai lati della via maestra, onde le rosse, vivide file di tetti a due spioventi uguali, uguali anch’ esse le case d’ altezza e dimensione, si allineano e si spartiscono come un ammattonato a spina…”. Partendo da questa “rusticale e civile cittadina”, Bacchelli va alla scoperta di quegli aspetti del Promontorio ancora oggi di forte valenza ambientale. Impressioni di viaggio che conservano “intatte vibrazioni di sentimento e forte caratura poetica”. Nel reportage “Strade e paesi”, ripubblicato da Filippo Fiorentino nei volume “Nel Gargano dei grandi viaggiatori” (edizione Grenzi), lo scrittore bolognese percorre una bella strada che da Jacotenente, cuore della Foresta Umbra, porta a Vieste passando per Mattinata. Costruita per esigenze belliche dagli ingegneri della Regia Marina, ora i pochi automobilisti che vi transitano potrebbero sbizzarrirsi in corse spericolate, se i muli dei carbonai e i cavalli riottosi’dei carrettieri, poco abituati al moderno traffico, non si parassero improvvisamente davanti in qualche tornante. “Nel qual caso – commenta – il severo e chiuso volto del montanaro garganico esprimerà, con disdegno d’ogni parola, tutte le maledizioni e i malauguri contro la polverosa e spetezzante civiltà meccanica”.
La strada, ricca di mandorleti, boschi di querce e lecci, “erma, solenne, accompagnata dalla vista del mare, si inoltra fra selve, selvette e prati”. Termina a Vieste, che appare adagiata “sopra il declino d’uno scoglio nel mare, bianca, moresca e marina, simile nell’indolenza a una bella creatura spossata voluttuosamente dal bagno, che si sia sdraiata sul letto dello scoglio per prendere il sole facendosi baciar i piedi dal mare”. Vieste “dal nome leggiero e gentile come un primo bacio socchiuso”, è illuminata da un sole vivo, da una luce già estiva. Due grandi golfi e “due spiagge fuggenti, lunate”, si aprono a levante e ponente. Nella Marina Piccola si tirano a secco le paranze; su uno scoglio vicino si erge il faro. Dietro, sonnecchia il Castello: i suoi cannoni non rimbombano più dagli spalti. Il piroscafo bisettimanale delle Tremiti anima “la gentilezza deserta” delle onde primaverili. Sulle scogliere del golfo volano stormi di gabbiani. Alcune massaie versano in mare cestelli di immondizia, e i “rauchi volatori vi s’avventano, facendo godere la più bella giostra e schermaglia e ronda di voli che si possa desiderare”.
Trabucchi e torri puntellano la litoranea tra Vieste a Peschici: “Fremono al vento fresco le lunghe braccia, le gracili impalcature e i cordami delle gran reti a bilancia, che si sporgono sull’Adriatico pescoso dalle rupi nelle vicinanze d’ogni paese della riviera — commenta. – Dappertutto vi sono gabbiani, come, dappertutto, la storia racconta terremoti e rovine di saraceni, di pirati dalmati, di turchi bestiali in questi paesetti, ai quali oggi il mare dà tanta pace quanta già diede guerra nei tempi andati”. E continua: “La maggior dolcezza della costiera è da Peschici a Rodi, che si guardano di lontano, candide sulle loro due rupi alte al capo della spiaggia piena d’amenità. Peschici era un paese poverissimo, senz’acqua, affastellato sullo scoglio. La gente viveva in parte in caverne scavate dentro la roccia tenera. Veramente a Peschici la miseria stringeva il cuore, e vi si conosceva la mancanza di molte cose di prima necessità. Ebbene, Peschici ha nome d’essere il paese che dà le più belle ragazze del Gargano. E devon esser belle assai, giudicando da quel che ho potuto scorgere passando. Ornate di collane e orecchini maiuscoli di vecchia filigrana, velate col fazzoletto o collo scialle, laboriose e riposate, salde donne sono le garganiche; contente dei loro uomini, contenti questi di loro: gran principio di ordine e di civiltà” .
Passato Pèschici, Bacchelli attraversa l’ultimo lembo della grande pineta (Marzini) che riveste quel tratto di costa, prima di lasciare il posto agli aranceti di Rodi Garganico.
Inoltrandosi verso l’interno, prende la strada che conduce a Vico, “entratura alla regione dei grandi boschi interni”. Da Vico si reca a Ischitella, “aprica e ben murata”, dove un Francesco Emanuele Pinto, principe d’Ischitella, elevò ai primi del ‘700 “un palazzo di castigata grazia mirabile”. Approfitta poi di un lento tramonto “aureo ed argentino” per recarsi a Carpino, “bianca sul gran piano verde” e a Cagnano. Osserva il Monte d’Elio incupirsi contro il cielo crepuscolare, e la vasta, immota palude del lago di Varano trascolorare pian piano al tramonto. “Questo lago, e l’altro di Lesina – spiega – diffondono la malaria in questa parte del Gargano, fertile e pur bellissima. Nei prati e nei seminati, più cupi, nelle rocce e nei monti, nel color del mare e degli uliveti pallidi, c’è una gravità, una melanconia, che ben si sposa e Si rivela con il tramonto”.
Sul Varano, che durante la prima guerra mondiale fu un’importante base d’idrovolanti “e che potrebbe esser porto superbo”, sono state aperte due foci “per renderlo salino, risanarlo e impedir la malaria”. I tentativi di bonifica sono una storia troppo lunga e ardua da raccontare, ma quando era palude d’acqua dolce, il Varano era pescoso, e i suoi gustosi capitoni erano “celebratissimi”. Ora anche i capitoni lo stanno abbandonando.

Teresa M. Rauzino
L’Attacco