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Fratelli scomparsi, il racket non c’entra

L’associazione antiestorsioni: non erano nel mirino. L’angoscia della sorella Lucia.

 

Lucia Piscopo, l’unica cosa che non si aspettava è dover vivere nel dolore e nella paura insieme. Lei, la più grande delle sorelle, il dolore, improvviso, lo ha provato 32 anni fa, quando morì la mamma, morsa da una vipera nel vigneto di famiglia. La mamma aveva 42 anni, Lucia poco più di 20 e capì subito che toccava a lei farsi avanti e che il suo destino era quello di sostituire la madre: così è diventata il riferimento di famiglia degli undici fratelli e sorelle ed anche del padre Carmine, morto nel giugno del 2006.
Ma ora Lucia ha anche paura. Al dolore si sono uniti lo smarrimento e il terrore. Giovanni e Martino scomparsi ormai da dieci giorni sembrano inghiottiti dalla foresta del Gargano, impenetrabile e luogo di misteri. Senza di loro Sfinalicchio e i luoghi delle vacanze costruiti dai Piscopo, albergo, camping, l’oliveto con i camper e la spiaggia, rischiano di finire male. Di sfaldarsi dopo tanti anni di fatica da parte di tutti. Non è stato semplice farne un paradiso. Terra dura, lavorata dai genitori, nel tentativo di ricavare un reddito. Poi l’arrivo del turismo di massa e la riconversione, anzi l’integrazione tra vacanze e agricoltura.
Giovanni, in particolare, rappresenta la continuità degli affari della famiglia. Alla guida della società lo ha voluto il padre, poco prima di morire. Descritto come pragmatico, riflessivo, il più dotato della famiglia, Giovanni è il garante degli equilibri. Come rappresentante legale dell’azienda solo lui è abilitato a decidere spese, a firmare assegni, a proporre progetti e chiedere prestiti alle banche. Finora a Sfinalicchio la vita è stata scandita dall’asse fra Lucia e Giovanni: la prima sovrana autorevole dei rapporti familiari dentro i recinti di casa e ammortizzatore delle tensioni, il secondo regolatore dei rapporti economici e di gestione del patrimonio, superiore ai 15 milioni, una sorta di primus inter pares tra fratelli e sorelle. La proprietà, infatti, fino a giugno 2011, per volontà del padre, resta indivisa, poi dovrà essere ripartita in 11 quote se dovesse saltare l’unità. Giovanni ha sempre sperato che l’insegnamento del padre avrebbe continuato a farsi sentire nel tempo.
Da dove viene la minaccia all’ordine umano ed economico di Sfinalicchio costruito in decenni di lavoro duro e orgoglio? Dall’interno o dall’esterno? «Si tratta di rapimento» hanno sempre detto i Piscopo. Quindi, chi vuole male alla famiglia viene da fuori, malintenzionati, gente che forse sperano di ottenere soldi. Maria, la seconda delle donne, anche lei nubile come Lucia e la sorella più piccola, Gina (altre due sono sposate con due fratelli di Vieste negli Stati Uniti), nel suo appello ha chiesto ai sequestratori di lasciare liberi i fratelli, anche perché la famiglia non è ricca e neanche benestante. Ogni guadagno è stato speso nel corso degli anni nelle strutture turistiche.
Ma i Piscopo non hanno mai avuto richieste di denaro. Lo ha detto l’avvocato della famiglia, Berardino Masanotti: «Da vent’anni sono il legale di Giovanni — osserva il legale -, di lui penso di sapere molto, sicuramente posso testimoniare che si è mosso sempre nel rispetto della legge, che non ha mai avuto rapporti equivoci e che non ha subito ricatti o estorsioni». Qualche giorno fa si era sparsa la voce di una vendetta della criminalità a causa di una testimonianza in un processo. Voci infondate: Giovanni non avrebbe mai avuto a che fare con le aule dei tribunali; Martino sembra che sia rimasto coinvolto in qualche processo presso il giudice di pace per questioni futili, querele per liti e ingiurie. Anche all’associazione antiracket sono convinti che i Piscopo non sono mai stati nel mirino della criminalità. Dice Vittoria Vescera, avvocato e componente del direttivo dell’associazione: «Conosco Giovanni e Martino. Fra gli operatori le notizie circolano facilmente. Se i Piscopo avessero avuto problemi di ricatti o di richieste di soldi l’avremmo saputo. L’esperienza ci dice che le estorsioni hanno una sorta di procedura: una bomba carta alla casa o alle strutture, un’auto incendiata, minacce alla famiglia; cose che in questo caso non ci sono state».
Gli operatori economici di Vieste non hanno avuto timore di organizzarsi contro il crimine. Nel 2008, dopo aver subito attentati e ricatti, hanno deciso di scendere in piazza e di metterci la faccia, insieme alle istituzioni e all’associazione antiracket nazionale, Tano Grasso. Venti giorni fa, il 6 novembre, 250 persone si sono presentate al convegno sulla legalità. C’era anche il sottosegretario
dell’interno, Alfredo Mantovano. Gli imprenditori sanno che la ricchezza e la vita delle loro famiglie dipendono dal turismo e dalla sicurezza. Non c’è alternativa alla scelta di difendersi dagli attacchi della malavita. Ma c’è anche chi sostiene che molti segreti si nascondono dietro molte ricchezze e che non mancano gli affari alimentati da soldi sporchi, provenienti dalla droga e dal malaffare. A Sfinalicchio le porte si sono chiuse. E la paura, dal villaggio si è estesa alla cittadina. Dice don Tonino Baldi, parroco del Buon Pastore: «Solo con la verità si potrà allentare la tensione. Per questo speriamo tanto che le indagini procedano rapidamente. Il nostro augurio è che Giovanni e Martino tornino alle loro famiglie. Dopo la fiaccolata la gente ha preso coscienza della gravità di quanto è accaduto. E una violenza contro tutti. Per questo, come ha detto il vescovo, tutti noi abbiamo il dovere di collaborare con le forze dell’ordine».

Tonio Tondo
Gazzetta del Maezzogiorno