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Il Giallo di Vieste/ I killer hanno torturato i due fratelli

Sarebbero stati ammanettati e torturati, Giovanni e Martino Piscopo. I loro carnefici li avrebbero sottoposti a un interrogatorio sommario prima di decretarne la condanna a morte con colpi di pistola e fucile.

Questa, almeno, la convinzione degli investigatori, che ieri pomeriggio si sono riuniti nella sede barese della Procura antimafia. Nell’Alfa Romeo 156 nella quale sono stati scoperti i due corpi carbonizzati sono infatti state trovate tracce di nastro adesivo per imballaggi (oltre ad un paio di manette). Circostanza che potrebbe avvalorare l’ipotesi secondo cui i killer hanno sequestrato i due
fratelli per interrogarli Altrimenti — sono gli stessi investigatori a riferirlo — avrebbero potuto uccidere i fratelli con colpi di armi da fuoco mentre erano sul furgone con il quale si stavano recando in campagna per raccogliere le olive Negli ambienti investigativi si sussurra il nome del clan Notarangelo, potente e presente a Vieste. E qualcuno ipotizza che all’origine del duplice omicidio possa esserci stato il rifiuto di dare ospitalità ad un boss.
I componenti del gruppo armato che ha ammazzato e bruciato Giovanni e Martino, in ogni caso, erano informatissimi. La mattina del 18 novembre, due auto, probabilmente la Audi3 e la l56 Alfa Romeo (poi trovate bruciate domenica mattina insieme ai corpi carbonizzati), hanno aspettato i fratelli in un tratturo fra l’Holliday Village e il residence Crovatico, proprio di fronte a Sfinalicchio, lungo la litoranea Peschici-Vieste. La posizione era studiata per evitare le telecamere dell’Holliday puntate sulla strada. I carabinieri hanno le immagini registrate del viavai di Giuseppe, il più piccolo della famiglia, con il trattore, e i due fratelli che partono insieme con il furgoncino, ma non degli inseguitori. Maria Piscopo non si dà pace. Anche lei, quel giorno, è uscita dal villaggio di buon mattino. Alle 8.05-8.10, è stata la prima a percorrere il tratto della litoranea, fino all’incrocio con la provinciale del Mandrione. A quell’ora, tutti i giorni, portava i figli di Giovanni e Ivon a scuola. Portava, per-ché dopo la scomparsa del papà, i due bambini restano a casa per evitare le domande
dei compagni di classe. Un’immagine è rimasta negli occhi di Maria: quella di due persone ferme, appoggiate a un’auto, lungo la strada di servizio di Spiaggia Lunga, un centro turistico a un chilometro dalla chiesa di Santa Maria del Merino. E la terza auto che compare sulla scena dell’agguato ai fratelli Piscopo. “Non era gente di Vieste” ha detto ai carabinieri.
I Piscopo continuano a sperare in attesa dell’esame del Dna. Ieri, all’improvviso, è venuto allo scoperto il fratello Bartolomeo, 59 anni, il maggiore. «Sono stato io—ha rivelato – a dare il via libera a Giovanni come rappresentante legale della società che gestisce il patrimonio di Sfinalicchio. Lui ha la licenza media. io la quarta elementare Finché era vivo papà, il comando era nelle sue mani, e tutti noi dovevamo ubbidirgli. Nella mia famiglia è la stessa cosa, i miei quattro figli devono rispettarmi e accettare le mie decisioni».
Bartolomeo, descritto da alcuni come gran lavoratore e basta, dimostra invece di avere il cervello fino. Ha anche voluto chiarire la questione dell’eredità: «E vero, ho impugnato il testamento di nostro padre a causa della clausola dei cinque anni sulla proprietà indivisa, poi però ho lasciato perdere perché ha prevalso l’unità della nostra famiglia». Il maggiore dei Piscopo ha detto di non credere ancora alla morte dei fratelli. «Tutti noi, solo dopo l’analisi del Dna—ha detto- potremo dire se si tratta dei nostri fratelli oppure, come io credo, dei corpi di altre persone. E inconcepibile che nessuno si sia accorto dell’auto bruciata sulla collina. Sicuramente era lì da molti giorni, infatti l’auto è arrugginita. Quel luogo è molto frequentato: ci vanno legnaioli, raccoglitori di
funghi, cacciatori e poi di fronte ci stanno anche i militari dell’aeronautica. Impossibile che nessuno abbia visto». Bartolomeo ieri si è presentato con il suo legale di fiducia, Biase Mafrolla, che lo ha assistito nella causa civile sul testamento. «Mi ha affidato l’incarico a coadiuvarlo nella vicenda sulla scomparsa dei fratelli», ha detto Mafrolla. Il resto della famiglia, invece, si è affidata a Berardino Masanotti. La controversia sull’eredità, questa in sostanza la posizione di Bartolomeo, non ha ovviamente nessuna relazione con la scomparsa dei fratelli. «Noi — aggiunge — continuiamo a vivere tutti a Sfinalicchio. Siamo uniti,mangiamo insieme, discutiamo, qualche
piccolo litigio, ma lo risolviamo sempre. Poi io e la mia famiglia, siamo in sei, lavoriamo per conto nostro: abbiamo l’allevamento, la campagna nostra, lavoriamo anche in altre aziende, mio figlio porta il trattore. Stiamo bene, non ci lamentiamo proprio se pensiamo alla povertà del passato».
Le donne di casa Piscopo, Maria, Lucia e Gina, tutte e tre nubili, sono quelle che forse soffrono di più. Insieme alle mogli di Giovanni e Martino, Ivon e Greta, devono accudire i bambini ed evitare che possano subire in modo rovinoso il trauma della perdita dei papà. A Sfinalicchio, forse arriverà qualche psicologo. Il figlio più grande di Martino, 13 anni, avuto dalla prima compagna,
una ceca, telefona continuamente ‘dalla Germania: «Dove è papà? Perché non vuole parlare con me?». E’ drammatica la situazione nel villaggio. Ma il pensiero torna continuamente al 18 novembre. Dove è avvenuto l’agguato? Forse lungo il tornante nei pressi del villaggio
Gabbiano beach, a 4-5 minuti da Sfinalicchio, dove sono state trovatele schegge della gemma della freccia sinistra del furgoncino. Forse il motocarro Piaggio è stato spostato a Montincelo per depistare. Sono tanti i forse. Resta il carattere mafioso dell’agguato e delle modalità di soppressione di Giovanni e Martino. Chi ha agito lo ha fatto in modo spietato. Il mandante ha voluto dire: attenti, a Vieste comando io, il mio è un potere di vita o di morte. Una sfida alla alla comunità, ma soprattutto allo Stato.

TONIOTONDO