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Vieste – LA SANTA MARIA RIGOGLIO DI FEDE IMMUTATA E SPECCHIO DEL TEMPO

 

Il mese di maggio porta ogni anno a noi viestani, insieme con le rose, la festa di Santa Maria con le sue cerimonie e le collaterali fastose esternazioni profane di piazza. Passano gli anni e le generazioni, ma quelle tradizioni non passano. Tuttavia non sono cristallizzate. Esse avvertono, talora restandone coinvolte, i cambiamenti anche piccoli e rendono testimonianza di particolari momenti della nostra vita civile.

In uno di tali momenti mi ritrovai un giorno di tanto tempo fa. Correva l’anno 1944. In Europa e in altre parti del mondo infuriava ancora la guerra, la Seconda Guerra Mondiale. Data la dolorosa situazione in atto, le bombe, le distruzioni, i morti e quant’altro ad essa tristemente connesso, erano stati cancellati dalle celebrazioni della S. Maria tutti gli ingredienti profani della ricorrenza, quelli che in tempo di pace ne costituivano la straordinaria scenografia: le luminarie sul Corso Lorenzo Fazzini, le giostre, i fuochi d’artificio, le bancarelle, le bande musicali in giro la mattina per le strade del paese e nel pomeriggio e la sera in concerto nella Piazza del Fosso. Si faceva luogo solo alle funzioni religiose in chiesa e alla processione.
La mattina del 30 aprile ero andato in cattedrale per assistere alla cosiddetta intronizzazione della Madonna, cioè al trasferimento della statua dalla sua cappella al trono eretto per lei sull’altare maggiore. Non avevo mai visto quella cerimonia, essendo vissuto dalla fanciullezza all’adolescenza in un’altra città. La chiesa era gremitissima. Allora non c’erano i banchi come adesso ma le sedie, non stabili, che venivano sistemate in occasione delle funzioni religiose, e solo nella navata centrale, dal sagrestano, il quale prendeva per ciascuna sedia 10 centesimi (di lira), il cui valore corrispondeva pressappoco ai 10 centesimi di euro odierni. Di fatto si potevano comprare due caramelle. Tra le file di sedie, al centro, un corridoio largo un paio di metri consentiva di arrivare all’altare. La maggior parte dei fedeli si assiepava in piedi in fondo alla chiesa e nelle navate laterali. Quella mattina molte donne mostravano il viso rigato di lacrime. Ne ero sorpreso.
Quando la statua della Madonna venne prelevata dalla nicchia nella quale è esposta alla venerazione dei fedeli durante tutto l’anno, eccetto i giorni della sua festa, e poi che venne issata dai confratelli portatori sulla folla dei devoti e prese ad attraversare la navata centrale per giungere al trono predisposto sull’altare maggiore, da ogni parte della chiesa, si levarono alte le voci di tante donne, quasi un coro di implorazioni: «Madonna, grazia! Madonna, grazia!», gridavano. Invocavano la grazia di far tornare a casa sani e salvi i figli, i mariti, i fratelli militari sparsi lontano, di molti di loro non sapendo neppure in quale luogo. Furono momenti di fortissima commozione, che coinvolsero tutto il popolo della chiesa. Non avevo mai assistito ad una scena simile, che destò in me un turbamento mai provato prima, forse per la giovane età, che da allora si è fissato nella mia mente, indimenticato.
Finita la guerra, si tornò alle cose più liete. Ritornarono le luminarie, le bande musicali e tutto il resto, e comparve pure, qualche anno dopo, una novità: insieme con la banda venne, la sera del 10 maggio, un’orchestra lirica con i cantanti d’opera. Le belle romanze che in passato, non essendoci a Vieste un teatro, si erano ascoltate dagli strumenti a fiato, ora venivano cantate da tenori, soprani, baritoni e via dicendo. La prima orchestra di questo genere che si esibì nella nostra Piazza del Fosso venne da Bari ed era diretta dal maestro Vitale. Come si può immaginare fu un successo. Poi, per alcuni anni, ascoltammo altre orchestre.
Passò un decennio, l’interesse per la lirica via via si affievolì, sia per la mancanza di nuove opere e sia per l’affermarsi dei complessi di musica leggera che portavano nelle piazze le belle canzoni vecchie e nuove. Da allora, dagli Anni Sessanta in poi, si è stabilita una certa convivenza tra i due generi musicali, che a Vieste si alternano, seppure non rigorosamente, la sera del 10 maggio. E sebbene i concerti di musica leggera siano assordanti, diffusi come sono da potenti altoparlanti, quei concerti continuano a godere del maggiore favore popolare.
 Ha perduto la sua unica prova uno sport un tempo popolare a Vieste, la corsa ciclistica del 10 maggio a cui partecipavano ragazzi del posto e qualcuno dei vicini comuni garganici. L’asso locale, vincitore preconizzato di ogni gara, fu per parecchi anni un meccanico della bicicletta, Masella (non ricordo il nome) soprannominato Panzone, il quale faceva il paio con il vincitore preconizzato nella corsa dei cavalli a San Giorgio, un campagnolo, Leonardo Pagc, sport in declino in ogni dimensione, al posto della gara paesana di un tempo, qui ha luogo, da alcuni anni una manifestazione amatoriale di grande respiro e partecipazione, della quale è meritorio animatore e factotum il prof. Michele Notarangelo. Un contributo di nuovo genere venuto ad arricchire negli ultimi vent’anni i giorni delle novene è quello fornito dalle iniziative religiose e di svago culturale, di limitata portata ma pur tanto gradite, alle quali ha dato animazione e spazio l’infaticabile parroco della cattedrale don Gioacchino Strizzi.
Un’ultima noticina, riguarda il canto mariano «Mira il tuo popolo», cantato da sempre in coppia con il «Salve Regina» durante le novene. Da due o tre decenni non lo si canta più. E’ stato messo in pensione. Eppure è tanto bello e solenne. Se non ci sono ragioni ostative, se è stato messo da parte tanto per cambiare, che senso ha? Suvvia, rimettiamolo in servizio, ossia in onore, poiché la «Regina di clemenza», la «Tenera Madre Pia» è tanto cara al cuore di tanta gente.
Ludovico Ragno