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Racket a Vieste, davanti al giudice Pacilli fa scena muta

Si è avvalso della facoltà di non rispondere Giuseppe Pacilli, l’ex latitante della mafia del Gargano arrestato venerdì mattina in una masseria tra Monte Sant’Angelo e Manfredonia, in un blitz messo a segno dagli agenti della squadra mobile di Foggia, di Bari,del commissariato di Manfredonia e dai colleghi dello Sco, il Servizio centrale operativo. Pacilli, difeso dall’avvocato Raul Pellegrini, non ha risposto alle domande di Carlo Protano il giudice del tribunale di Foggia che lo ha interrogato su rogatorio del gip del tribunale di Bari a cui compete l’interrogatorio di garanzia poiché la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo regionale contesta a Pacilli gli aggravanti delle finalità mafiose: reato questo di competenza della Dda.
Quattro i reati contestati all’ex latitante del Gargano, il cui nome rientrava tra i 30 più pericolosi latitanti in Italia: evasione dai domiciliari, un cumulo pene di 11 anni per furto, estorsione – compresi anche gli 8 anni inflitti nel mari-processo -, minacce aggravate dalle finalità mafiose e l’arresto in flagranza per il possesso della pistola. Venerdì mattina, infatti, al momento dell’arresto Pacilli aveva una pistola calibro 9 e due caricatori.
Nel corso dell’interrogatorio, pur avvalendosi della facoltà di non rispondere al magistrato, Pacilli ha sottolineato di non essere il proprietario della pistola e di non sapere nulla di quella calibro 9 e dei due caricatori trovati, dai poliziotti, nella masseria. Giuseppe Pacilli – hanno sottolineato gli inquirenti nel commentare il suo arresto – nel corso della latitanza, durata due anni e tre mesi, e anche dopo la cattura del boss Franco Li Bergolis avrebbe «assunto un ruolo di leadership assurgendo ai vertici del clan, gestendo in particolare il settore delle estorsioni». Al gruppo a lui legato si tende ad attribuire da parte degli investigatori una lunga serie di attentati ai danni in particolare degli imprenditori turistici di Vieste e Peschici.