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Vieste/ Aperta la Necropoli di S. Nicola di Myra

A Vieste, sabato 3 dicembre 2011, i partecipanti alla fiaccolata di preghiera (guidata da Don Tonino Baldi dalla Chiesa di Gesù Buon Pastore) alle Grotte di San Nicola, hanno ascoltato le preziose informazioni del Dott. Giuseppe Ruggieri sulla  “tardo-antica” o “alto-medievale” Necropoli di S. Nicola di Myra che  sorge sul costone Ovest del “Pantanello”,

l’Antico Porto Aviane. Il complesso del cenobio si presenta come una “Laura” (grotta, in greco) divisa in quattro ampie cripte scavate nel calcare naturale, affrescata con la figura di S. Nicola di Myra, presumibilmente, da monaci basiliani nell’VIII secolo d.C.. Sin dal VI sec. d.C., grotte naturali scavate nel tufo furono adibite a cenobio da monaci, soprattutto in Puglia e in Calabria. La cultura egea animava i “greco-ortodossi” monaci basiliani, nel periodo conosciuto come quello delle lotte iconoclaste. Per la religiosità popolare l’immagine stessa finiva per diventare taumaturgica fino a considerare le icone veri e propri oggetti animati da usare per assistere battezzandi o cresimandi in qualità di padrino. Si giunse a raschiare la vernice dei quadri e a mescolarla nel vino della messa, ricercando in tal modo una comunione con il santo raffigurato. Esisteva la superstizione che l’icona fosse, effettivamente, un luogo nel quale poteva agire il santo rappresentato. Nel 726 l’imperatore Leone III di Bisanzio promanò un editto imperiale che decretava l’eliminazione delle icone. L’iconoclastia serviva anche a contrastarere la popolarità dei monaci che, da un lato, facevano ampio mercato delle icone, arricchendosi e accrescendo la loro influenza politica all’interno dell’Impero. Per mezzo dell’iconoclastia, Leone III s’ impossessò delle ricchezze dei monaci. Gli italici insorsero a difesa dell’ortodossia occidentale contro i funzionari bizantini quando papa Gregorio III condannò i decreti di Leone.
Gli antecedenti del cenobitismo sono da ricercare nel monachesimo orientale che si costituì verso il 320 d.C. in Egitto, nell’alta Tebaide, intorno a grandi figure di santi eremiti, come S. Antonio Abate (dall’aramaico Abba: Padre) che aveva riunito un piccolo numero di “fratelli”. L’aramaico (parlato da Gesù, dagli apostoli e dai rabbini) era la lingua commerciale diffusa in tutto il Medio Oriente fino alla conquista dell’impero persiano da parte di Alessandro Magno, alla fine del IV sec., quando lingua ufficiale dello stato diventò il greco e l’aramaico si ramificò in dialetti.
Intorno alla persona dei santi eremiti iniziarono a formarsi così vere colonie di anacoreti che diedero inizio a una qualche forma di vita in comune nelle “Laure”: la grotta più grande veniva adibita ad oratorio per la celebrazione dei riti religiosi. Anche San Nicola di Myra (vissuto tra il 260 e il 352 d.C.) prese parte al Concilio di Nicea (325 d.C.) e negli ultimi anni della sua vita visitò il Santo Padre a Roma. Una delle vie possibili per arrivare a Roma avrebbe potuto essere quella della navigazione a vista da Meleda, Lagosta, Pelagosa, Diomedee, per l’approdo all’antico porto di Uria.
Nell’Europa occidentale il culto di San Nicola apparso attorno alla metà del secolo VII, ebbe massima diffusione nel secolo X a opera della principessa bizantina Teofana, moglie dell’imperatore Ottone II (967-983). Nel secolo XI  i naviganti normanni lo elessero loro patrono.
Matteo Petrone, proprietario del sito, nonché suo maggiore difensore dalla imperante cementificazione, si è dichiarato disponibile a far visitare le  Grotte di S. Nicola fino al 6 gennaio.

Maria Maggiano