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INSEGNARE AI GIOVANI A FAR PREVALERE SEMPRE L’INTERESSE DI TUTTI SU QUELLO PRIVATO

 

La manifestazione tenutasi sabato scorso 21 gennaio alla presenza di eminenti personalità all’auditorium «L.Fazzini» di Vieste aveva come tema la mafia. La mafia è definita una brutta bestia, che aggredisce tutti, fa male e lascia i segni; è definita anche una radice maligna che riempie il terreno e lo avvelena. Parlare ai giovani di mafia è sempre una iniziativa lodevole, apre gli occhi alla comprensione. Se la conosci, la mafia, volendolo, la eviti. Strangola te e la società con i suoi lunghi e malefici tentacoli.

Questi obiettivi sono stati brillantemente raggiunti nell’incontro svoltosi all’auditorium «L Fazzini» con interventi appassionati, appropriati ed efficaci e con il pubblico attento ed interessato. Riflettendo su quanto è accaduto in quel contesto, ho realizzato nella mia testa qualcosa che manca a quella comunicazione.
Si è parlato del fenomeno mafia in sé come triste realtà che spacca nella crudeltà e nella ferocia lo Stato e la società, che intristisce la persona e la rende capace solo di produrre odio, di partorire crimini.
Se mi fosse stata data la possibilità di intervenire, avrei detto due cose importanti, ponendomi dal versante opposto: come contrastare in modo radicale la mafia.
In primo luogo, i grandi criminali prima di giungere ad organizzarsi in cosche, sono i manovali della delinquenza del paese. Percorrono una sorta di carriera che li porta ai vertici della malavita e alla organizzazione gerarchica ed estesa sul territorio, grazie a noi.
Dal paese al territorio, dalla manovalanza ai vertici, dai piccoli furti alla massa di capitale attraverso la nostra decisiva collaborazione. Strano, ma vero.

 

Di fronte a questo percorso, che noi abbiamo avuto modo di verificare a Vieste, la domanda è chi dà a questi personaggi la possibilità di percorrere una simile, iniqua carriera? La risposta non è difficile. Siamo noi. In che modo?
Di fronte ai tanti piccoli furti, alle piccole estorsioni, noi non denunciamo e se lo facciamo è per mera convenienza sociale. Preferiamo invece rivolgerci ai delinquenti di turno nel quartiere, perché ci risolvano i problemi.
Non possiamo, non dobbiamo. Il guaio è che il più delle volte i nostri problemi li risolviamo con pochi soldi e in barba alla Legge.
Non abbiamo fatto altro che aiutare il piccolo delinquente a scalare un piccolo gradino verso il vertice e farlo crescere nella prevaricazione.
E lo Stato latita? No, siamo noi che lo cancelliamo a favore della malavita.
Seconda questione. Nelle nostre analisi sul fenomeno ci fermiamo sempre un momento prima di individuare la causa scatenante del fenomeno. Al massimo si arriva a parlare di legalità, quasi che la legge da sé potesse scongiurare il terribile fenomeno della mafia e in genere della malavita. E’ come avere la pretesa di far crescere un frutto senza radici, tronco e rami. Il rimedio è a monte e si chiama senso morale, educazione morale. La morale ci fornisce i principi profondi e universali, che devono improntare il comportamento umano. Quando questo è sopraffatto dall’interesse privato (il particulare), dal relativismo, ogni terreno diventa adatto a produrre quella pianta maligna che avvelena l’uomo e il suo ambiente naturale.
Legge (=legalità) e senso etico (=moralità) potranno salvarci dal male più nefasto che oggi tocca la nostra società. Questo esige una educazione attenta e costante da parte di tutte le agenzie educative: famiglia, scuola, parrocchia, associazioni, gruppi. Bisogna insegnare ai giovani a far prevalere sempre l’interesse di tutti all’interesse personale o privato.
La mafia non troverà più posto per crescere e prosperare.
sac.Giorgio Trotta

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INTERVISTA A DOMENICO SECCIA, PROCURATORE CAPO DI LUCERA