Menu Chiudi

Vico/ In un Corto tutta la storia della Paposcia

Quale l’origine della celebre pizza di Vico del Gargano? C’è chi l’associa ad Annibale.

 

 Una coppia di anziani coniugi di Vico del Gargano chiacchiera animatamente. Oggetto del contendere di questo dialogo serrato, che spesso sfocia in un vero e proprio battibecco, il nome esatto della «paposcia»: lui, ferreo tradizionalista, lamenta le contaminazioni che inquinano la genuina nomenclatura di questa prelibatezza del comune garganico; lei, più curiosa e aperta alle novità, ‘ accetta di buon grado le innovazioni, purché non vadano a cambiare la sostanza delle cose. «L’importante è che rimanga sempre la paposcia!» afferma con verve la frizzante Maria Rosaria Vera, attrice garganica doc. Ha inizio così la docufiction girata dagli studenti di Vico del Gargano, nata da un’idea dell’ex dirigente scolastico Michele Afferrante, interamente dedicata alla paposcia, ovvero’ a quella sorta di pizza allungata, alimento base dei contadini vichesi per secoli, nata dall’esigenza di verificare se la temperatura del forno per la cottura del pane fosse adeguata. Trenta minuti, proiettati in versione ridotta anche durante lo scorso Foggia Film Festival nella sezione «Educational Movie», in cui gli studenti hanno provato a descrivere questo «pasto primordiale», come lo ha chiamato Afferrante. «Abbiamo studiato e approfondito tutti gli aspetti relativi alla paposcia – racconta il preside in pensione – a cominciare dal nome, per cercare di capirne a fondo anche la provenienza e le origini che si perdono nella notte dei tempi. Non è stato facile, anche perché nei secoli addietro infrequenti erano gli scambi e le penetrazioni tra una comunità e l’altra, viste le difficoltà  di spostamenti, nonostante le distanze minime». Farina, olio e formaggio sono alla base di questo piatto che oggi soddisfa le più sfrenate fantasie gastronomiche. La celebre pizza schietta (schiacciata) o pizza a la vampa potrebbe vantare nobili ascendenze arabe, secondo la ricostruzione compiuta dai ragazzi che hanno rimestato fra antichi materiali e raccolto testimonianze e interviste in giro, data la somiglianza alla calzatura usate nell’antichità da quelle popolazioni (babouche in francese). Ipotesi più ardite la assimilano a protuberanze inguinali o alla proboscide, richiamandosi al passaggio degli elefanti in Puglia con l’arrivo del condottiero Annibale. «L’obiettivo didattico e culturale è stato raggiunto dai nostri ragazzi – prosegue Afferrante – e presto porteremo in giro questo nostro lavoro per far conoscere la nostra città anche attraverso le tradizioni gastronomiche». «È stato un piacere lavorare con questi ragazzi – commenta Maria Rosaria Vera – come sempre ci metto il cuore e in questo caso mi sono particolarmente divertita. È stato un omaggio sentito alla mia terra che merita di essere conosciuta e apprezzata».

Enza Moscaritolo