Ieri c’è stata un’altra udienza del Processo Medioevo, proprio due giorni dopo l’atto intimidatorio ai danni di Vittoria Vescera, uno dei membri più attivi dell’associazione Antiracket Vieste. L’auto in fiamme della donna hanno subito fatto pensare proprio al procedimento che si sta tenendo al Tribunale di Foggia, che vede imputati 8 persone per ricettazione ed estorsione aggravata dalle modalità mafiose.
Ci si poteva aspettate un movimento ed un’ atmosfera diversa in Tribunale e invece non c’era nessuno. Complice, probabilmente, la debolezza dei teste di ieri. Accuse nate dopo il blitz "Medioevo" condotto dai carabinieri nell’ aprile del 2011. Blitz partito dopo le molte denunce presentate dagli imprenditori turistici di Vieste, che hanno deciso di reagire, di farla finita col silenzio e passare la patata bollente nelle mani della giustizia. Ieri in aula è stato il giorno di un giovane operaio che lavorava, all’epoca dei fatti, per una delle società di Natale De Nittis, teste nella scorsa udienza ed uno degli imprenditori che ha denunciato gli attuali incriminati. Utile la sua testimonianza solo a comprendere meglio la posizione di uno degli imputati, ossia Domenico Colangelo. De Nittis durante la sua testimonianza aveva raccontato che "alcuni giorni dopo aver subito un furto di mezzi e altro, dal valore ci circa 28mila euro – aveva dichiarato l’imprenditore socio dei residence "Delfino" e "Agrirnare" di Vieste – un mio operaio mi raccontò di aver incontrato Domenico Colangelo il quale voleva che mi facesse recapitare un messaggio, sottolineando il fatto che lui fosse solo un messaggero. Disse che se volevo rivedere i miei mezzi dovevo pagare 13.500 euro". L’operaio è stato ascoltato ieri e ha raccontato l’episodio in maniera leggermente diversa, "incontrai Colangelo – ha raccontato l’operaio – e mi disse che era stato avvicinato da persone che lui non conosceva le quali pensavano lavorasse per De Nittis. A lui dissero che per riavere i mezzi ci volevano dei soldi e lui lo riferì a me". Poche domande sia da parte del pm che dei legali della difesa considerato il teste, decisamente poco informato sui fatti. E’ il processo antiracket, nato dal blitz messo a segno il14 aprile dello scorso anno. Quel giorno i carabinieri, coordinati dalla procura antimafia di Bari arrestarono sette persone accusate di obbligare gli imprenditori turistici a pagare il pizzo alla fine della stagione estiva e ad assumere guardiani a loro affiliati per il servizio di sorveglianza. Sotto processo, oltre ad Angelo. Notarangelo e Marco Raduano che sono in carcere, ci sono: Giambattista Notarangelo, anche lui in carcere, Domenico Colangelo, Giuseppe Germinelli, Giambattista Notarangelo, Giampiero Vescerae Liberantonio Azzarone, a cui invece sono stati cocessi gli arresti domiciliari e Pietro Papagni per cui il processo si sta celebrando in contumacia. Molti degli imputati ieri non c’erano. Cosi come Tano Grasso dell’ associazione antiracket nazionale e Giuseppe Mascia, presidente dell’associazione antiracket di Vieste e tutti gli imprenditori che solitamente partecipano alle udienze. Più che la testimonianza dell’operaio, durata appena venti minuti, a richiamare poteva essere il nuovo attentato di domenica .Cosi non è stato. “E’ del tutto evidente – aveva dichiarato lo stesso Grasso all’indomani dell’atto intimidatorio ai danni di Vittoria Vescera – che l’incendio dell’auto della nostra sostenitrice Vittoria Vescera, è un grave atto intimidatorio rivolto ali ‘intera Associazione Antiracket di Vieste proprio nel delicato momento in cui i soci dell’Associazione sfilano dinanzi al tribunale di Foggia per rendere la loro testimonianza al processo Medioevo. Nori ci piegheremo alle loro logiche, né ci intimidiscono, anzi questi atti ci rafforzano. Confidiamo in una risposta ferma e decisa da parte delle forze dell’ordine e delle istituzioni tutte". Il giorno dopo Tano Grasso era già a Vieste per incontrare gli imprenditori turistici nella sede del Consorzio Gargano Mare. "La prima cosa che bisogna avere presente è questa. Questo non è un attentato rivolto a un cittadino di Vieste o a un imprenditore di Vieste. Non si fa quest’ attentato per intimidire ai fini di un’estorsione, come siamo abituati o per rappresaglia. Questo è attentato che colpisce e prova a intimidire l’associazione Antiracket di Vieste. Capite bene, dunque – ha detto Grasso rivolgendosi agli imprenditori e associati che hanno partecipato alla riunione convocata con urgenza la differenza che passa. Una cosa è intimidire un singolo imprenditore, un conto intimidire una struttura come la nostra, paraistituzionale". Nell’incontro di lunedì mattina c’erano tutti i testimoni del processo che "non è come tutti gli altri processi – ha tenuto a sottolineare Tano Grasso -.Si tratta di un processo non facile, basato quasi del tutto su testimonianze dirette, sulla parola degli imprenditori che vanno a testimoniare. La prova è la testimonianza. Non ci sono intercettazioni telefoniche e ambientali, né pedinamenti. Questo fatto inevitabilmente amplifica il ruolo dell’associazione -, Si colpisce l’associazione perché la macchina appartiene a un dirigente della nostra associazione. C’erano più macchine li collocate quella notte. Chi è responsabile dell’ attentato ha scelto proprio la macchina di un dirigente della nostra associazione. Il significato è inequivocabile, purtroppo".
Luca Preziusi