Tutti i limiti della banchettistica locale, dove i tonni scottati nel cellophane e le aragoste vanno ancora alla grande.
Finora nessuna delle sale da ricevimenti frutto della diversificazione delle grandi famiglie del latifondo si contraddistingue per l’offerta enogastronomica. La qualità è ancora standardizzata. Nessuno chef di grido è stato assunto in Capitanata. Si è voluto riflettere su questi temi con alcuni protagonisti indiscussi, citati nelle più disparate guide, della ristorazione in provincia di Foggia. Gegè Mangano è scettico sulle grosse strutture come le vecchie o nascenti sale ricevimento. Polemico, come di consueto, il suo approccio. "Posso immaginare cosa muova queste famiglie: investono soldi per fare altri soldi, ma non ‘c’è una ricercatezza enogastronomica nel loro modo di fare. Il loro è un business: è banchettistica, non cucina. Questi posti cosa sono fuori dalla provincia di Foggia? Niente. Perché in loro non c’è un’idea di turismo. Possono fare i matrimoni e lì si fermano. Altro sono invece le tenute e le masserie del Nord Barese e del Salento come il Melograno o Torre Coccaro o Masseria San Domenico e Masseria San Lorenzo. Lì ‘c’è accoglienza, fanno anche banchetti, ma guardano fuori: Finché l’operatore guarda al suo vicino non c’è futuro per il turismo e per il territorio. La concorrenza oggi è l’Austria, la Croazia, il mondo. Se il fine è solo il matrimonio, non valorizziamo il territorio". Secondo lo chef di Monte Sant’Angelo serve una sinergia tra operatori e politica. "Per politica intendo quella provinciale, che non mi sembra abbia oggi la capacità di rendersi conto del valore del nostro territorio. La Provincia, il Parco, l’Università vanno ognuno per proprio conto. A questi si aggiungono i consorzi, Gargano Mare, i Five Festival: si alzano la mattina e creano l’evento, attivando un po’ di finanziamenti pubblici. Ma tutti questi personaggi senza risorse pubbliche sarebbero dei signori nessuno ". Tranciante sui piatti offerti ai matrimoni. Boccia in pieno uno dei secondi più diffusi delle nozze 2012: il cartoccio di pesce stufato nel cellophane. "Si cucinava così negli Anni Settanta. Le sale da ricevimento hanno stancato un po’ tutti con i loro tonni scottati. Quando mai abbiamo avuto i tonni nei nostri mari? Noi abbiamo anguille, canocchi, triglie. Chi ha il coraggio di proporre le triglie ad un matrimonio?", chiede retoricamente e aggiunge: "Eppure sarebbe un’idea geniale, ma purtroppo questa gente che gestisce tenute e altro non ha capito niente. Non sa valorizzare i nostri prodotti. Abbiamo una grande tradizione di legumi col pesce: cozze e fagioli, ceci e baccalà oppure fiori di zucca e baccalà. E invece continuano a preparare piatti di moda come tagliolini zucchine e scampi, contagiando anche le massaie con questi gusti". Gegè è un mare di creatività. "Secondo me manca la classica ciambotta di pesce al Manfredonia, ossia la zuppa di pesce povero, che non è solo un’ acqua sale di mare. Nessun ristorante che io conosca la propone perché c’è incompetenza. Chi prepara la zuppa di anguille? A maggio Uliassi ha proposto un recupero del cibo di strada e del pesce povero. Chi apre una sala di ricevimenti non deve andar per tentativi, ma sapersi affidare ad uno chef. Uno che secondo me, pur lavorando con i matrimoni, è riuscito a dare tanto al nostro territorio è Peppe Zullo, che io stimo tantissimo. È un imprenditore vero ed è riuscito a portare ad altissimi livelli il banchetto nuziale. Ecco, credo che Peppe Zullo dovrebbe essere il punto di riferimento per i tanti che hanno aperto nuove location matrimoniali". Dal suo canto, Peppe Zullo e le sue Villa Paradiso e Villa Jamele sono stati insigniti di recente di un riconoscimento nazionale dalla rivista specializzata Lady Sposa, la quale ha indicato Peppe Zullo e la sua filosofia "Dalla terra alla tavola" "il matrimonio del futuro". Il famoso chef orsarese, che ha unito il suo carisma al buono pulito e giusto di SlowFood, preferisce non esprimersi sul conto delle strutture ricettive nate dal latifondo, ma apprezza Maria Pina Capobianco e afferma: "E’ una professionista, è intelligente e sa quello che vuole. Sa vendere e ha molte competenze, non ci sono dubbi". Un altro rinomato chef della Capitanata, che decide di rimanere anonimo, rintraccia nelle nuove aperture un pericolo preoccupante. "Ogni masseria diventa un ristorante, il fenomeno è allarmante, perché questi signori utilizzano una legge buona, quella sull’ agriturismo, che nasce come complemento al reddito agricolo, per raggiungere miraggi che confondono l’utenza, Questi signori non sono neppure agricoltori, sono architetti, magistrati, notai e inquinano soltanto il mercato della ristorazione. Creano confusione". Lo chef usa l’immagine di un bambino a cui viene offerto del cibo che nulla ha a che vedere col territorio. Spacciare per pollo ruspante un cappone molle pieno di estrogeni vuol dire modificare per sempre la memoria enogastronomica, la sapienza del gusto. E conclude, amaro: "Stiamo distruggendo l’idea di qualità: molte di queste strutture non usano le materie prime del territorio, alcune nascondono anche storie poco chiare. Il 90% degli agriturismi sorti negli ultimi tempi sono falsi e usano prodotti industriali provenienti dall’Ungheria. Non riesco a vedere niente di positivo in queste diversificazioni. Sul cibo si sta scrivendo una storia triste, parliamo tanto di Puglia, ma nella ristorazione di cibo pugliese ne arriva ben poco. Si scaricano prodotti precotti ben fatti, ma industriali. Credo non si tratti neppure di marketing, ma di una grossa presa in giro, machi dovrebbe fare i controlli non siamo noi chef o ristoratori. Se ti va bene, fanno la spesa all’Ipercoop, non hanno competenze. Io credo che falliranno subito, qualcuno sta già fallendo: speriamo ci sia una giustizia divina. Anche se c’è l’altra faccia della medaglia. Sono per lo più strutture che hanno utilizzato fondi pubblici per aprire. Se fallissero, falliremmo anche noi come comunità, perché quei soldi erano anche nostri" .
Antonella Soccio
L’Attacco