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Inchiesta “rinascimento” due anni e 6 mesi a maresciallo dell’esercito

Estorsioni e «aiuti» al boss. 13 condanne.

 

La spartizione degli affari – leggi estorsioni – tra due esponenti del clan Libergolis; e la rete di fiancheggiatori, compreso un maresciallo dell’Esercito, di cui beneficiò per due anni e tre mesi l’ex latitante Giuseppe Pacilli: sono i due capisaldi della Direzione distrettuale antimafia di Bari e della Polizia nell’inchiesta «Ri­nascimento» contrassegnata da 19 arresti un anno fa, il 22 marzo del 2012, accuse che hanno ora retto al vaglio del giudizio di primo grado, il gup di Bari Annachiara Mastrorilli, al termine del processo abbreviato chiesto da 14 dei 19 imputati, ne ha infatti assolto soltanto uno solo, l’84enne Raffaele Ciociola, che, arrestato un anno fa, ha annunciato tramite il suo legale che chiederà il risarcimento danni, e condannato gli altri 13 a pene da 10 mesi a 8 anni, per complessivi 43 anni di reclusione per accuse che vanno dall’estorsione al favoreggia­mento. La sentenza accoglie in gran parte le ri­chieste del pm della Dda Giuseppe Gatti, che sol­lecitò 14 condanne per 71 anni di carcere. L’indagine di Dda, squadra mobile e agenti del commissariato manfredoniano ruota sulla figura di Giuseppe Pa­cilli, 40 anni, detto «Peppe u’ montanare», già condannato a 8 anni per mafia ed estorsione nel ma­xi-processo alla mafia garganica quale affiliato al clan Libergolis, e a sua volta in attesa di giudizio nell’inchiesta «Rinascimento» per due estorsioni e porto illegale d’armi davanti al Tribunale di Fog­gia, il mafioso – definito dagli investigatori al mo­mento della cattura il «Provenzano del Gargano» per la sua capacità di vivere in fuga dalla Giustizia tra anfratti e casolari – si diede alla latitanza il 20 febbraio 2009 quando era ai domiciliari per il ma­xi-processo alla mafia garganica, e rimase latitante per 2 anni e 3 mesi, venendo inserito nell’ elenco dei principali ricercati italiani, fu arrestato all’alba del 13 maggio 2011 quando 80 poliziotti circon­darono il casolare tra Manfredonia e Monte Sant’Angelo dove si nascondeva: al momento Pa­cilli sconta una dozzina d’anni per mafia, ester­sione ed altre vecchie pendenze con la Giustizia. L’inchiesta «Rinascimen­to» basata su numerosissime intercettazioni telefoniche e ambientali disposte dalla Dda per cat­turare Pacilli, riguarda sia la rete di fiancheggiatori di cui avrebbe beneficiato «Peppe u’ mon­tanare» trovando rifugio in masserie, casolari e avendo chi gli portava soldi, vestiti e mangiare; sia l’affare estorsione. A 6 imputati – ora tutti con­dannati – infatti Dda e investigatori contestavano di aver fatto parte delle due «cellule» del clan Libergolis che estorcevano soldi a imprenditori e commercianti di Monte Sant’Angelo: una cellula farebbe capo allo stesso ex latitante Giuseppe Pa­cilli, aiutato nei taglieggi anche dai fratelli Tom­maso e Concetta; l’altra a Enzino Miucci, che si è visto infliggere la pena più pesante (8 anni), già guardaspalle di un altro pezzo da novanta del clan Libergolis, l’ex ricercato numero uno di Capita­nata l’ergastolano Franco Libergolis (arrestato nel settembre 2010 dopo 18 mesi di latitanza è non coinvolto nel processo «Rinascimento»). Quanto alla rete di presunti fiancheggiatori di Pacilli, il pm, nel chiedere le condanne, aveva escluso comunque la sussistenza dell’ aggravante della mafiosità, con l’eccezione del maresciallo dell’Esercito Giuseppe La Torre, già in servizio a Foggia. Secondo il pm, il maresciallo oltre a portare da mangiare e vestiti al latitante, andò oltre la «semplice» attività di favoreggiamen­to: ecco perché ne chiedeva la condanna a 4 anni e mezzo con l’aggravante di «aver agito per age­volare la prosecuzione e la sopravvivenza del clan Libergolis di cui faceva parte Pacilli». Il gup ha condannato il militare a 2 anni, 6 mesi e 20 giorni ed ha riconosciuto sussistente l’aggravante della ma­fiosità.