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L’ULTIMO SCEMPIO: LA PASSERELLA SUL FARO DI VIESTE

 

Il serpente dell’abbruttimento estetico, architettonico, paesaggistico che da decenni ha cosparso morsi velenosi sulla terraferma, fuori e dentro l’abitato, da qualche giorno, con inaspettate movenze anfibie, ha aggredito l’ultimo baluardo della bellezza di Vieste, quel tipo di bellezza che per restare tale deve mantenersi incontaminato: Il Faro di Vieste.

Tutti i viestani stanno assistendo increduli all’inerpicarsi sulle rocce dell’isolotto di una orripilante passerella che lo sta facendo sembrare avvolto dalle spire di un rettile che -in tutta la sua velenosità – romperà l’incantesimo dell’ incontaminazione che ha resistito nei secoli dei secoli e che lo ha mantenuto intatto fino ai nostri giorni. Bisnonni, nonni, nipoti e nipotini il Faro l’hanno visto sempre così, senza alcun disturbo alla vista. L’hanno amato e lo amano così, e -c’è da scommetterci!- lo amerebbero sempre così, senza che alcuno o  alcunchè ci metta le mani addosso.  
A che pro, quella passerella? E soprattutto, perché quando si toccano quelli che la città percepisce come i suoi simboli, le intenzioni non vengono rese pubblicamente già quando sono tali senza che si materializzino, quale fatto compiuto, cartografie e scartoffie paraburocratiche se non addirittura ruspe e pale?   Di sicuro ci daranno la solita spiegazione tecnico-burocratica sedicente plausibile. Ci diranno che tutto è in regola con le procedure, che la Soprintendenza ha detto la Sua ed ha anche assentito l’intervento. Si sa, la strada dell’inferno è lastricata sempre di buone intenzioni. Ma all’inferno porta.
Ed il risultato è lì. Finisce un epoca. Cade un tabù. Anche il Faro si è dovuto piegare al dogma delle valutazioni di impatto ambientale che, a furia di valutare, hanno dato parvenza metodologica ad ogni devastazione, facendosi un baffo dei commi e degli articoli di qualsivoglia Legge Galasso.
Ogni luogo ha i suoi simboli eterni che si mantengono immuni da aggressioni urbanistiche, nei quali tutti i cittadini si riconoscono senza distinzione di cultura e di censo: Roma ha il Colosseo, Pisa ha la Torre, Milano ha il Duomo. E si parva licet componere magnis Vieste ha il suo Faro.
Il Presidente del Consiglio comunale, quale presidente della massima assise comunale si faccia promotore di iniziative opportune nelle quali si rispecchi il sentimento univoco della città sulla vicenda; e la politica dismetta per un attimo sciabola e fioretto delle sue divisioni e si riconosca unita in una speciale mobilitazione. Se questa città vuole dimostrare di avere le palle, faccia sentire la sua voce e batta il suo pugno.
Ci confidiamo ancora, seppure gementi e piangenti.  
Carmine AZZARONE