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Reporter della Tua Città// I Comitati delle feste cittadine vanno amati e rispettati

Vieste ha una tradizione antica in fatto di feste patronali e delle relative questue. Molti ricorderanno che  i Comitati fino agli anni ‘70 erano chiamati “Commissione”, degni di massimo rispetto, i cui componenti – soprattutto quello di Santa Maria di Merino -erano per lo più medici, imprenditori e professori.

Le cose sono cambiate. Non è necessario avere una laurea. Chi – compatibilmente alle forze umane già presenti – chiede di far parte del Comitato e abbia le capacità e una condotta morale degna  può  essere accolto, ma nessuno è  uno sfaccendato o addirittura un mendicante.
Per realizzare la festa vengono messi da parte impegni  e affetti personali, spesso rimettendoci in salute nelle giornate fredde, o in carburante per gli spostamenti con le macchine. Ma tutti lo fanno volentieri in spirito di dedizione e credendo nelle tradizioni locali. Per questo le umiliazioni gratuite che a volte si subiscono, fanno crescere il nervosismo  e la domanda spontanea: “ma chi me lo fa fare”?
Non citerò ovviamente né il tipo di esercizio  e né la via. Ma quello che è accaduto ieri sera non so proprio come definirlo. Spero che chiunque legga,soprattutto l’autore del disgustoso evento, rifletta  e chieda scusa perché i Membri dei Comitati feste patronali  meritano rispetto e non atti simili  a schizofrenie.
Ma veniamo ai fatti. Una di queste sere in un esercizio chiedevamo educatamente un contributo. Il cassiere, figlio del titolare, riferiva che il padre era assente e non poteva dunque accontentarci. Abbiamo insistito, solo per evitare di dover ritornare,  chiedendo se fosse possibile contattarlo telefonicamente. Il pimpante giovanotto rispondeva  che non poteva farlo.” Va bene, torniamo un altro giorno”. Chiediamo  però la cortesia di farsi dire quanto intendesse dare per evitare un eventuale ritorno inutile. Ieri sera, un po’ stanchi  per aver già percorso  alcuni chilometri a piedi, eravamo nello stesso esercizio. La risposta del giovanotto però è stata uguale a quella precedente: “mio padre non c’è e non posso accontentarvi”. Abbiamo fatto notare allora –delicatamente –  che non eravamo lì per chiedere  elemosine e che, qualora  non intendessero  contribuire,  ce ne saremmo andati con buona pace di tutti, Ma era meglio dirlo.
Il titolare “assente” in realtà era  presente in un angolo  del locale, inizialmente senza farsi notare, ma  proferendo successivamente ad alta voce che non voleva dare nulla ed inveendo  contro quello che – secondo lui – erano state  minacce. Nel tentativo  di far capire  che chiedevamo   rispetto e non certamente minacciavamo, le cose si inasprivano tanto da innescare  sceneggiate di pessimo gusto anche alla presenza di clienti.
Spero che il Presidente non me ne voglia per questo articolo scritto senza il suo consenso. Non chiedo compassione sull’accaduto che, è un episodio che lascia l’amaro in bocca ma, per fortuna, è isolato. Chiedo che il viestano capisca che la festa non si fa solo con i soldi e la disponibilità degli altri ma mettendoci anche qualcosa di proprio. Hanno infatti più valore gli spiccioli dati con amore e non tanti soldi dati con rabbia. E se per qualche mese all’anno abbiamo scelto di essere servi è solo perché amiamo profondamente le nostre radici e la nostra fede  e non certo perché non abbiamo altro da fare. Ma vorremmo anche rimanere lontano dagli scoraggiamenti perché non hanno mai portato nulla di buono.  

Bartolo Baldi

 

 

 

 

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