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Ass. Sentimento Meridiano/ I Re del Regno – Ferdinando II dopo i moti del 1848

Ferdinando II in seguito ai fatti del 15 maggio del 1848 decise di intraprendere una risoluta restaurazione assolutistica.

 Nel settembre 1848, dopo aver richiamato in patria l’armata napoletana schierata in Lombardia dal governo costituzionale ed aver sospeso le attività parlamentari, il re decise di reprimere con la forza anche il separatismo siciliano. Già con il cosiddetto decreto di Gaeta Ferdinando II di Borbone riconquistò il possesso della Sicilia grazie alle azioni militari guidate del Generale Carlo Filangieri, sciogliendo l’assise e bombardando le piazzeforti della città di Messina (azione che fece guadagnare a Ferdinando II l’appellativo di "re bomba"). La dura repressione borbonica dell’estate del 1849 contro un governo provvisorio ormai instabile, decretava la fine dell’esperienza rivoluzionaria del 1848-1849 e l’ulteriore allargamento del preesistente
divario tra la classe politica siciliana e quella napoletana. Anche se non vi fu una formale revoca della Costituzione, ma una sua "sospensione" a tempo indeterminato, dopo l’insurrezione siciliana e
quella napoletana Ferdinando II decise di non intraprendere più alcuna riforma politica nel regno. Anche in questo caso vi fu un seguito di processi e condanne, tra cui quelle di Luigi Settembrini [5] (illustre figura di filosofo ed educatore, già autore dalla _Protesta del popolo delle Due Sicilie), Filippo Agresti e Silvio Spaventa. Al ristabilimento dell’assolutismo seguì una decisa repressione del movimento liberale e dei tentativi insurrezionali. Domate le fiamme divampate nel 1848, per far ritornare all’ombra della corona le amministrazioni locali, in tutto il regno furono sottoscritte delle
petizioni con le quali i cittadini, rappresentati dai sindaci, richiedevano l’abolizione dello Statuto. Gli esponenti del mondo liberale sostennero che, per riconciliare la borghesia alla corona, fosse stato l’allora ministro segretario di stato Giustino Fortunato a concepire l’ingegnoso espediente legislativo della petizione. L’iniziativa della petizione, che suscitò polemiche da parte della
stampa liberale, ebbe riscontri positivi sia al di qua, sia al di là del Faro, dove fu fondamentale l’opera persuasiva compiuta dal generale
Filangieri nei confronti della classe politica siciliana. Solo una
piccola minoranza di sindaci rifiutò di firmare, subendo via via la
destituzione dalle cariche e la sorveglianza della polizia. Grandissima
parte dei proprietari e della popolazione, invece, aderì spontaneamente
all’iniziativa, in quanto stanca dei disordini provocati dagli
avvenimenti di quegli anni. D’altronde le masse si sentivano estranee
alle rivoluzioni volute dalle élite ed anelavano a vivere pacificamente.

Con gli eventi del biennio ’48-’49 le idee progressiste e
l’atteggiamento tollerante di Ferdinando II vennero meno: il sovrano
assunse una condotta inflessibile che, da un lato, gli consentì di
riprendere il controllo del suo regno ma, dall’altro, fece sì che egli
fosse dipinto come un "_mostro_" dalla stampa liberale europea. A tal
proposito fecero grande impressione a Napoli gli scritti di Antonio
Scialoja [11], tanto da indurre Ferdinando II a costituire un’apposita
commissione atta a confutare pubblicamente le tesi dell’economista esule
a Torino. Risonanza internazionale invece ebbero le lettere del politico
britannico William EwartGladstone [12]pubblicate nel 1851, il quale,
descrivendo le condizioni delle carceri borboniche, arrivò a definire il
governo napoletano "negazione di Dio". Quest’ultimo episodio irritò
molto Ferdinando II, che intravedeva dietro la penna di Gladstone (il
quale probabilmente non entrò mai in un carcere del Regno delle Due
Sicilie) la mano dei liberali napoletani e, soprattutto, il ricatto del
governo britannico. Infatti, prima della pubblicazione delle missive di
Gladstone, il primo ministro ingleseLord Aberdeen [13] sollecitò più
volte l’ambasciatore napoletano a Londra [14], il principe Ruffo di
Castelcicala, a fare pressioni sul governo borbonico affinché adottasse
una linea politica più liberale, pena la pubblicazione delle lettere.
Tuttavia il primo ministro delle Due Sicilie, Giustino Fortunato [15],
non si rese conto della gravità della minaccia e trascurò gli
avvertimenti di Lord Aberdeen. In seguito allo scandalo suscitato dalla
pubblicazione delle lettere, Ferdinando II costrinse il marchese
Giustino Fortunato a dare le dimissioni dalla carica di primo ministro.

A cura di:

Michele Lopriore

Ass. Sentimento Meridiano

 

 

 

 

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