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Più sobrietà a messa. Basta “segni di pace” con baci e sorrisetti

Giusto l’invito a evitare effusioni esagerate tra i fedeli. Vale la stretta di mano, che è legata al senso della liturgia."Il Signore ha tanti modi ci comunicare con te, ma di sicuro non vi chiamerà mai al cellulare, quindi spegnilo".

 

Chi ama la ragione e il suo buon uso non può che essere contento della disposizione della Chiesa a limitare le effusioni, durante la messa, soprattutto al momento dello scambio del segno della pace. A tutti voi sarà capitato di assistere almeno una volta alla messa negli ultimi cinquant’anni.

Se siete di Milano e diocesi, il gesto avviene prima dell’Offertorio, se invece appartenete al resto dell’Italia, esso ha luogo prima dell’Eucarestia. Il valore di quel gesto è simbolico e sta unicamente nel posto che occupa all’interno della liturgia, ed è perciò insensato lasciarsi andare alle effusioni, percorrere mezza chiesa per abbracciare questo o quello, addirittura baciarsi come ho visto fare parecchie volte.

Già Benedetto XVI aveva detto che il gesto consiste in una stretta di mano con i vicini di panca, quindi due al massimo, uno se vi trovate all’estremità della panca. C’è chi si è indignato, dichiarando che la buona educazione non può sostituire la passione (come se la passione vera fosse maleducata, e l’educazione fredda e apatica: scherziamo?). Io, invece, plaudo al richiamo e lo trovo molto pertinente. Da anni desidero fondare un Gruppo su Facebook contro il segno della pace. Non che non mi piaccia stringere la mano di chi mi sta vicino, però il senso di quel gesto è duro e impegnativo, e cavarsela con un sorriso e un abbraccio sa di ipocrisia lontano un miglio.

Chi, come il sottoscritto, appartiene alla Chiesa milanese, per esempio, riceve un aiuto importante per la comprensione del gesto: posto all’inizio dell’Offertorio, esso ci ricorda le parole di Gesù in Mt. 5: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono». Visto che, all’uscita dalla messa, noi sappiamo perfettamente che i conti in sospeso con questo o quel «fratello» sono rimasti tali e quali, resta da capire il perché di tanta effusione.

La mia risposta potrà irritare qualcuno, ma non ne ho trovata una migliore: la ragione per cui ci si slancia in strette di mano, abbracci e (sic) baci sta nel fatto che a tutti noi piacerebbe, e meno male, che il mondo fosse uno e concorde, però senza troppi rischi da parte nostra. Lo dimostra la faccia che facciamo di solito al momento dello scambio della pace: una faccia da scemi. Non appena il prete pronuncia le fatali parole «scambiatevi un segno di pace», sulle nostre labbra si disegna immediatamente, in automatico, un sorrisetto che si vorrebbe edenico ma che è solo vagamente cretino, e questo succede anche alle persone più intelligenti, perché la faccia che facciamo dipende soprattutto dalla parte che il copione della vita ci chiede di recitare.

Tutti recitiamo sempre una parte. L’obbedienza alla parte che ci è stata assegnata è indice della nostra serietà: il Teatro ce lo insegna da 2500 anni. Occorre però comprendere la parte che recitiamo, altrimenti il rischio è quello di pensare di recitarne un’altra. Lo scambio della pace serve a ricordarci che non siamo noi gli artefici della pace, che la vera pace viene da Gesù Cristo, ossia da Dio: un nome di fronte al quale, se solo avessimo un piccolissimo filo di coscienza, dovremmo soprattutto tremare. La buona educazione raccomandata dalla Chiesa è questo: una stretta di mano con un filo di sgomento per ciò che Dio è e per quello che ci ha donato. Anche la passione nasce da qui, però senza sorrisi scemi.

Luca Doninelli