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Un altro episodio di pulizia etnica piemontese ancora tenuto nascosto dalla storia ufficiale

Nel 1860, i lerci invasori nordisti se pensavano che, con la sconfitta dell’Esercito delle Due Sicilie, la conquista del Reame era cosa fatta, fecero male i conti.  La tempesta vera era ancora di là da venire, acerba, sanguinosa, crudelissima, tale che il Mack Smith poté affermare: "i morti superarono quelli di tutte le guerre del risorgimento messe assieme", parole quasi con certezza veicolate da un discorso di Francesco Saverio Nitti: "Ed è costata assai piú perdita di uomini e di danaro la repressione del brigantaggio di quel che non sia costata qualcuna delle nostre infelici guerre dopo il 1860" (Basilide del Zio: il brigante Crocco, Polla editore). E le donne, le eroiche donne del Sud, col loro sublime furore e sacrificio alla Mutter Courage, furono ancora piú acerbe delle fucilazioni che i criminali nordisti dispensavano a piene mani. Già i francesi nel 1799 avevano fatto terribile esperienza delle insorgenze nelle nostre antiche provincie. Si erano ritrovati nelle stesse avventure nel 1806, tanto che, solo per domare l’eroica Calabria, dovettero inviare uno sterminatore di professione con poderoso esercito: Manhés, l’incarnazione di Satana.
Nel 1860, lo stesso giorno in cui i fedelissimi dell’esercito delle Due Sicilie riparavano in Gaeta, ricominciava, sul filo della memoria storica, la lotta popolare per la difesa della Patria, del caro Re Francesco II, della terra dei padri e della famiglia, lotta popolare inizialmente alle spalle degli assedianti la fortezza, successivamente per tutto il Regno per un periodo di oltre dieci anni: ancora una volta, come nel 1799, "campi insanguinati, tuonanti cannoni, scintillar di spade, scalpitar di cavalli, squilli di trombe incitatrici, gemiti di moribondi, fremiti feroci, e schiere di combattenti …" (De Sivo) che si sbranavano tra loro, i nordisti per ridurre la nostra Patria in schiavitú, i nostri per difenderla. Ma, come si sa, alla fine ci sono riusciti i maledetti: "Mazzate sulla schiena e corna in fronte // questo ci ha fatto il piccolo piemonte".
Per dieci lunghi anni i nostri partigiani vissero alla macchia, "all’armi, all’armi, o Napolitani, all’armi … RITORNIAMO GRANDI", in selve foltissime ed inesplorabili, per valloni ed aspri dirupi, tra nebbie e ghiacci, sotto la calura del solleone, pioggie diluviali e tempeste di neve, bruciando gioventú e vita sotto la falce che non perdona, ma gli scrittori prezzolati di regime li hanno infangati col nome di briganti, cosí come già nel passato i giacobini francesi avevano bollato i legittimisti vandeani e nel decennio i calabresi.
Come scrisse nelle sue memorie un capo partigiano sopravvissuto: "I briganti non avevano alcun giornale a propria disposizione; con i loro buoni fucili furono in grado per anni di tenere a distanza le molte migliaia di soldati del "re galantuomo", ma non i suoi scrittori" (S. Scarpino: Indietro Savoia, pag. 103).
 Il bruto con l’anima di fango
In Abruzzo una torma di assassini comandata da un "bruto con l‘anima di fango" che "spesso alzandosi di desco mezzo ubriaco esclamava: oggi giornata perduta, nessuno ho fucilato" (G. Buttà): il maggiore generale Ferdinando Pinelli, la bestia dell’Apocalisse, uno degli aguzzini di questo Stato Italiano, che mise "a ferro e fuoco l‘Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri" (A. Gramsci).
Il giorno dell’invasione del Regno da nord (12 ottobre 1860), il mostro, con la sua colonna mobile, la brigata Bologna, 40° reggimento di fanteria composto di tre battaglioni con aggiunta di reparti del 39° e di bersaglieri, era pervenuto, inviato dal ferocissimo e rapace tiranno piemontese, in territorio di Terni per reprimere la resistenza che faceva già sentire il suo morso in Umbria e nell’Ascolano, resistenza guidata da ufficiali del Re Francesco II. La funzione della colonna mobile era la stessa che nella seconda guerra mondiale fu assegnata alle SS: la Wehrmacht (cioè l’esercito tedesco) avanzava e le SS (Schuztstaffeln, squadre di sicurezza) provvedevano subito dopo a fare tabula rasa per conquistare alla Germania il mitico Lebensraum (spazio vitale). Le carogne sabaude non solo avevano escogitato i campi di sterminio per i prigionieri di guerra (come a Fenestrelle), ma anche il metodo bestiale per impadronirsi perennemente di un territorio.
 Pinelli: la morte bussa alle porte del Reame
La presenza di Pinelli in Abruzzo era stata invocata, nel sabba infernale del 1860, dal commissario savoiardo per l’Umbria con il seguente telegramma al Cavour: "Perugia, 28 ottobre 1860, part. 9.30 p.m. arrivo il 29 alle ore 0.15 a.m.. Trasmetto dispaccio dell‘Aiutante del Colonnello Masi che accenna a moti reazionari nei territori Napolitani. Fu restaurato il Governo Borbonico a Campli, Nereto, Controguerra, Torano e Corropoli; 300 Regi di Civitella appoggiano il movimento con 2 cannoni. Privi di forze, è impossibile di impedire la propagazione del moto. Urge che la colonna di Pinelli ed il battaglione di Masi che si trova a Leonessa, Posta ed Accumoli divisa in corpi per Arquata si diriga ad Ascoli. Una colonna di 50 uomini con Piccolomini tien fermo ad Ancarano, ma priva di soccorso sacrificasi. Con tal modo il plebiscito può riuscir male" (in A. Procacci, Storia militare dell’Abruzzo Borbonico). Arrivò dunque il Pinellone e dai primi di novembre 1860 e fino al maggio 1861 mise in moto una catena di montaggio di fucilazione per reprimere i moti di reazione nel Cicolano, nella Marsica e nella Valle del Velino, tre territori dell’Abruzzo Ultra II con capoluogo L’Aquila.

A cura di:
Michele Lopriore
Ass. Sentimento Meridiano

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