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Vieste/ Omicidio Di Mauro: dal dna sul sangue al movente da chiarire

I due passi dell’inchiesta sull’omicidio in alto mare.

 

L’arresto del presunto as­sassino non ha chiuso il caso. Così men­tre Pm e carabinieri vanno avanti con indagini tecniche sulla scena del delitto e interrogatori finalizzati a ricostruire il movente del delitto, la difesa valuta se ricorrere al tribunale della libertà di Bari contro la decisione del gip di lasciare in cella Riccardo Bramante, il pescatore viestano di 37 anni accusato dell’omicidio premeditato (oltre che di occulta­mento di cadavere e porto illegale di fu­cile) del cognato Antonio Di Mauro, 39 anni, anche lui pescatore viestano, ucciso al largo di Vieste la mattina del 16 ottobre mentre era in barca, e poi buttato in ac­qua, col cadavere ritrovato in mare 60 ore più tardi da un sub. In attesa degli esiti dell’esame autoptico (Di Mauro secondo la ricostruzione dell’accusa, è stato raggiunto da una fucilata al petto), il pm ha disposto anche l’esame del dna per con­frontare quello della vittima con quello che sarà ricavato dalle tracce di sangue ritrovate dai carabinieri della «Sis» (se­zione investigazioni scientifiche) sulla barca teatro del decimo omicidio dell’an­no. L’avv. Michele Guerra, difensore di Bramante che sia poche ore dopo l’ar­resto sia 4 giorni dopo _davanti al gip si avvalse della facoltà di non rispondere, non rilascia dichiarazioni: sta però va­lutando un ricorso al Tdl, forse per avere accesso a tutti gli atti d’accusa perché, in questa primissima fase, la posizione processuale di Bramante non è certo buo­na. Contro di lui ci sono le dichiarazioni del testimone oculare del delitto, un altro pescatore amico di Di Mauro con cui era uscito sulla propria barca la notte del 16 ottobre per recuperare le reti calate il giorno prima a «La Chianca», a un miglio dalla costa. Il teste ha raccontato che Bramante avvicinò con la propria barca quella su cui si trovavano lui e Di Mauro; gli fece segno di abbassarsi; poi rivolto al cognato disse «a te cercavo»; quindi gli sparò in petto, ordinando il teste di buttare il cor­po in mare. Al rifiuto, salì sulla barca e si disfece del cadavere. Prima d’andar via Bramante avrebbe avuto parole di di­sprezzo per la vittima (e vedi quanto val­gono questi cristiani? una cartuccia»); minacciato il testimone (vedi di tenere la bocca chiusa perchè se no il prossimo sei tu e la tua famiglia, non ti faccio fuori perchè hai una figlia»), ordinando gli di raccontare che Di Mauro era stato ucciso da due sconosciuti incappucciati affian­catisi alla loro barca. Il testimone rientrò subito in porto, si confidò con un fami­liare e subito dopo raggiunse la caserma dei carabinieri raccontando cosa fosse successo. L’omicidio è avvenuto alle 7 di mattina, alle 11 Bramante veniva rintrac­ciato in un bar viestano e portato in caserma per poi essere dichiarato in ar­resto per omicidio, dopo aver rinvenuto sulla sua barca anche un fucile che sa­rebbe compatibile con l’arma del delitto. Il caso però non è chiuso. Certo, in questa fase Procura e carabinieri sem­brano avere molti assi tra le mani per incriminare Bramante (altri testimoni hanno corroborato il quadro accusatorio, alcuni confermando indirettamente arre che il racconto del teste) ma il movente del delitto non è ancora chiaro, al di là dei dissapori tra i due cognati (Dr Mauro conviveva con la sorella di Bramante) di cui c’è già traccia negli atti d’indagine. C’è chi ha parlato di dissidi tra i due, forse per soldi forse per storie di droga (Bra­mante farebbe uso di sostanze stupefacenti da qualche anno); chi ha riferito di minacce rivolte dall’indagato alla vittima; del resto lo stesso testimone ha riferito ai carabinieri del «monito» rivoltogli da Bramante una decina di giorni prima dell’omicidio, quando gli intimò di non frequentare più Di Mauro se’ non voleva essere iscritto anche lui «sul libro dei morti». Ma il movente dell’ omicidio è ancora vago, tant’è che il gip che ha la­sciato in carcere Bramante (pur non con­validando l’arresto perchè ritenne non sussistesse la flagranza o quasi flagran­za) ha detto che va «approfondito ancora il reale motivo dei dissidi esistenti tra indagato e vittima».

 

 

 

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