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Gargano/ “Hanno costruito strade nel fiume”

I primi risultati dell’indagine avviata dopo l’alluvione. Nel fascicolo entra l’attività delle amministrazioni comunali che hanno concesso le autorizzazioni. Le case all’interno della lama sono state condonate.

Il corso del fiume era diventa­to una strada. Le case, co­struite nell’alveo della lama, erano state condonate. Dunque lo Stato aveva incassato e lega­lizzato quello scempio che poi è diventata una pistola puntata sul territorio e su quei due pove­racci. Quando Matteo Renzi ha attaccato gli enti locali, indicando condoni e abusivismo come causa dei disastri post alluvioni, probabilmente aveva letto il dossier Gargano. Perché non è stata una catastrofe inattesa quella che a settembre ha mes­so in ginocchio, ma un «disastro colposo» come dice la procura di Foggia che da qualche settima­na ha sul suo tavolo l’informati­va dei Carabinieri e della Guar­dia Forestale. Il primo esito del­l’inchiesta parla chiaro: a causa­re il disastro prirria di tutto è sta­to l’intervento dell’uomo e la complice distrazione delle isti­tuzioni che hanno concesso con­doni anche dove non potevano. Dai primi rilievi effettuati, si è detto nei giorni scorsi, sono ri­sultati circa 50 manufatti abusi­vi nella zona tra Peschici e Vie­ste quella appunto più battuta dall’alluvione nel quale hanno perso la vita Antonio Facenna, il giovane agricoltore di Carpino e Vincenzo Blenx. Il problema è di cosa si tratta: sono casa-percheggi,- o più semplicemente di pezzi di manufatti che hanno invaso una parte dei canali di scolo. In alcuni casi questi interventi sono stati completamente abusivi. E per questo sono stati denunciati i proprietari, circa – una dozzina. In altri invece gli interventi sono assolutamente legittimi, almeno sulla carta. I proprietari hanno in mano infatti il condono concesso loro dall’amministrazione sulla ba­se di pareri favorevoli degli altri enti. In un caso, addirittura, l’intervento sarebbe stato finanziato con soldi pubblici. Insom­ma il paradosso dei paradossi. Non a caso ancora in queste ore – gli investigatori stanno acqui­sendo atti e documenti nei co­muni di Vieste, Paschici e Carpino oltre che nei consorzi di Bonifica Montana e di Capitanata, a cui è affidata la gestione dei ca­nali insisterti in area garganica. È possibile anche che venga tra­volto dall’inchiesta chi aveva il compito di controllare e invece non l’ha fatto. I casi sono davvero clamorosi. Per esempio, al di là delle costruzioni (ci sono anche par­cheggi tra le opere che hanno causato il disastro) alcuni canali venivano utilizzati come vere e proprie strade. «Circostanza questa che ha reso ancora più gravi le conseguenze dell’allu­vione» spiegano gli investigato­ri. Le strade correvano, infatti, lungo parti del territorio parti­colarmente. scoscese, «Appena è venuta giù l’acqua – spiegano­ si è creato un effetto cascata che è stato letale». Esiste poi un se­condo problema. I canali oggetto dell’indagine sono dodici. Alcuni di loro erano in condizioni di manutenzione pessimi: i tombini non erano assolutamente in regola. Ma soprattutto le ope­re per la regimazione delle ac­que (per esempio quelle idrauli­che all’interno dei canali o la rea­lizzazione di briglie) non sem­pre sarebbero state realizzate con corrette modalità proget­tuali e con materiali idonei. Non si tratta di una novità per questa zona. Proprio la procura di Fog­gia ha in piedi da tempo un’in­dagine sulle opere realizzate per contrastare il dissesto idro­geologico in alcuni comuni del SubAppennino Dauno, come Biccari. A fronte di investimenti milionari sarebbero state rea­lizzate opere incomplete o non come previste dal progetto: poz­zi meno profondi del previsto e quindi praticamente inutili.
Un’ altra indagine sta cercan­do invece di capire cosa è acca­duto proprio nella zona di Vieste e Peschici dopo il grande incendio del 2007. Una legge impedi­va infatti la costruzioni di ma­nufatti laddove è passata la lin­gua del fuoco. E invece «le co­struzioni ci sono» denuncia Legambiente, «come testimoniano alcune immagini dall’alto. Non sappiamo come abbiano fatto». In realtà un’indagine della procura di Lucera lo scorso anno spiegò il meccanismo: chi aveva subito il danno alla pro­pria struttura dichiarava la di­struzione di un numero molto maggiore di metri quadri in modo da poter espandersi senza richiedere ulteriori permessi.

Giuliano Foschini
Repubblica