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L’ECCIDIO DI FANTINA (CALABRIA)

Un eccidio che la dice tutta sui barbari e sanguinari metodi, di chiara impronta nazista, dell’esercito italo-piemontese e che ebbe luogo appunto a Fantina, nell’agosto 1862,  in concomitanza ai fatti di Aspromonte che, come tutti sanno, si conclusero con il ferimento di Garibaldi ad opera dei bersaglieri del generale Pallavicini che aveva avuto, da Vittorio Emanuele II,  l’ordine perentorio di fermare a tutti i costi, anche al prezzo di un bagno di sangue, l’avanzata dei garibaldini  che si avviavano verso la città eterna al grido di “Roma o morte” . Una scarica di fucileria alle pendici dell’Aspromonte, richiamò all’ordine sabaudo i bollenti spiriti degli illusi garibaldini e ne fermò l’avanzata.

Ed è da quel momento  l’esercito regio apre una vera e propria caccia ai garibaldini perpetrando nei loro confronti arresti, repressioni e deportazioni. Quasi duemila volontari, per lo più, siciliani e meridionali, vengono arrestati ed assieme a diversi militari che avevano abbandonato i loro reparti per unirsi a Garibaldi vengono deportati e rinchiusi nelle fortezze dell’antico regno sabaudo tra le quali la più triste e nota era  quella di Fenestrelle, nell’Alta Savoia, a più di 2mila metri dall’altezza e da cui per la rigidità del clima e per il barbaro stato di detenzione era difficile uscirne vivi.
Ed è in questo contesto della caccia spietata ai garibaldini, dopo i fatti  in Aspromonte, che avvenne appunto l’ignobile eccidio di Fantina ad opera del 47° reggimento di fanteria sabaudo agli ordini del maggiore Giuseppe De Villalta nei confronti di una colonna di garibaldini guidata dal palermitano Carlo Trasselli. Il quale, dopo aver inutilmente cercato di raggiungere Garibaldi in Calabria, saputo l’infelice esito dell’impresa, rassegnato si accingeva a raggiungere Novara di Sicilia per consegnare le armi al sindaco di quel paese. Nella marcia di avvicinamento a Novara la colonna si disperse ed una parte di essa  esausta si fermò a riposare, trovando rifugio nelle case e nella chiesetta di Fantina. un piccolo centro della provincia di Messina.
La notte tra il 2 e 3 settembre che i fuggiaschi furono circondati e sorpresi nel sonno dai piemontesi. Circondati si arresero e quando furono tutti in piedi il comandante sabaudo maggiore Giuseppe De Villalta si fece loro incontro dicendo: “ Volontari se in mezzo a voi si celano dei disertori si facciano avanti. Il re li perdona e li lascerà immediatamente raggiungere i loro corpi”.
Illusi dalle promesse di quell’ uomo senza dignità e senza alcun onore, si fecero avanti in sette e immediatamente circondati e messi in disparte furono richiesti del nome e del corpo d’appartenenza da cui avevano disertato. Fu a quel punto che la iena, calpestando il codice d’onore e ogni elementare norma d‘umanità,  rivelò il suo ignobile volto e rivolgendosi a quei poveretti, che si erano illusi delle sue convincenti promesse, così si pronunciò: “ Soldati voi siete spergiuri verso la patria e il re. In nome della legge militare vigente, voi siete condannati alla pena di morte da eseguirsi all’istante. Disertori, vi concedo dieci minuti da dedicare alla preghiera”.
Inutili furono le proteste di quei poveri sventurati che alla fine chiesero, prima di essere fucilati, di potere scrivere due righe come ultimo pensiero ai propri cari e soprattutto, Giovanni Balestra il più giovane dei sette, appena diciottenne, che implorò  sino alla fine, rivolto al plotone che stava  per fucilarlo, di poter lasciare un ultimo messaggio di saluto alla amata madre “ Soldati -disse per l’ultima volta il giovane – il voto dei morenti è sacro. Se avete una madre che amate anche voi, lasciate che io scriva una parola alla mia.”
Fu tutto inutile  Giuseppe De Villalta vile iena,  assetata di sangue, fu irremovibile rispondendo così alla supplichevoli richieste dei condannati a morte: ”Siete solo briganti e non meritate altro che piombo nello stomaco” Al terzo rullo di tamburo una scarica di fucileria pose fine alla vita di quelle giovani vittime. I corpi  di quei sette martiri: Giovanni Balestra, Costante Bianchi, Giovanni Botteri, Giovanni Cerretti, Ulisse Grazioli, Barnaba della Momma e Giovanni Panieri,   furono sepolti sotto il sagrato della chiesa di Fantina e sono ricordati da una lapide commemorativa collocata sulla facciata della chiesa.
Nel settembre del 2000, nel luogo dell’eccidio è stato eretto un cippo con i loro nomi a perenne ricordo di quell’atto di viltà e di barbarie. Quegli atti di viltà e di barbarie che i piemontesi, all’alba dell’Unità d’Italia, perpetrarono con massacri e stragi a danno delle popolazioni meridionali nel nome del  Re ‘galantuomo’ il quale, per l’inaudito eccidio di Fantina, non si risparmiò di dispensare promozioni e riconoscimenti ai disumani e crudeli protagonisti di quell’atto infame e negazione di ogni umana pietà .

A cura di:
Michele Lopriore
Ass. Sentimento Meridiano