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Vieste/ Vent’anni al pescatore omicida

Uccise in barca con una fucilata il cognato e buttò il cadavere in mare.

 

 Condannato a 20 anni di reclusione Riccardo Bramante, il pescatore viestano di 38 anni che la mattina del 16 ottobre del 2014, in mare uccise con una fucilata il co­gnato Antonio Di Mauro, di 39 anni, buttandone il corpo in acqua. Bra­mante – sulla scorta del racconto di un amico della vittima che assistette all’omicidio – fu arrestato poco dopo dai carabinieri della tenenza di Vie­ste ed è tutt’ora detenuto in carcere. Secondo l’accusa odiava il compagno della sorella; il presunto omicida replica che era lui vittima di an­gherie. E’ stato riconosciuto colpe­vole di omicidio volontario, porto illegale del fucile, soppressione del cadavere (ripescato al largo dopo 60 ore, fu notato da un sub) e minacce nei confronti del testimone. La sentenza di primo grado è stata pronunciata ieri alle 11.30, dopo 80 minuti di camera di consiglio, dal Gup del Tribunale di Foggia Do­menico Zeno, al termine del pro­cesso abbreviato chiesto dalla difesa. La scelta del rito, con conseguente sconto di un terzo della pena e l’esclusione dell’aggravante della premeditazione, ha fatto scendere la pena a 20 anni di carcere. Ossia la stessa condanna chiesta dal pm Ma­ria Giuseppina Gravina, nell’udienza del 25 settembre scorso. I difensori, gli avvocati Michele Guerra e Francesco Santangelo, avevano chiesto la derubricazione del reato in omicidio colposo sul presupposto che la fucilata fosse sta­ta esplosa accidentalmente; in su­bordine – anche se era questo il punto battuto principalmente nelle arrin­ghe – sosteneva che si è di fronte ad un delitto d’impeto e chiedevano il minimo della pena, con la concessione anche dell’attenuante della provocazione e delle generiche (negate). Bramante dovrà risarcire anche i danni alle parti civili: alla compagna di Di Mauro ed ai fratelli il Gup ha assegnato una provvisionale (un an­ticipo del risarcimento da quanti­ficare in un’eventuale causa civile) di 20mila euro a testa. I legali di parte civile, gli avvocati Diego Petroni e Cristian Caruso, avevano chiesto in arringa il riconoscimento dell’ag­gravante della premeditazione (ini­zialmente contestata dal pm, ma poi esclusa al momento della requisi­toria) e la condanna all’ergastolo di fatto. La mattina del 16 ottobre del 2014, Bramante a bordo di una barca av­vicinò quella dove si trovavano Di Mauro e il testimone, usciti all’alba per recuperare le reti gettate il gior­no prima. L’imputato – dice l’accusa­ intimò al testimone di spostarsi; avvertì il cognato con la frase «a te cercavo»; estrasse il fucile e sparò al petto del compagno della sorella. Poi ordinò al testimone di buttare cadavere in mare; al rifiuto, fu lui stesso a far scivolare il corpo in acqua. Prima di andar via e tornare in porto, Bramante avrebbe anche minacciato il testimone: «Vedi quan­to valgono questi cristiani? Una cartuccia, e tu vedi di tenere la bocca chiusa perchè se no il prossimo sei tu e la tua famiglia: non ti faccio fuori perchè hai una figlia». «Mi ha fatto» furono invece le ultime parole della vittima subito dopo essere stata rag­giunta dalla fucilata. Il testimone rientrato a sua volta in porto informò i carabinieri e rac­contò che già 10 giorni prima del delitto, Bramante gli aveva detto di stare alla larga da Di Mauro al­trimenti «anche tu sarai iscritto nel libro dei morti»: anche su questa frase poggiava l’iniziale contestazio­ne dell’aggravante della premedita­zione. Bramante, che si avvalse inizial­mente della facoltà di non rispondere a pm prima e gip dopo nell’udienza di convalida, dopo un mese – il 21 no­vembre del 2014 – chiese d’essere interrogato dal pm, Disse d’aver chie­sto informazioni a cognato e te­stimone su dove fossero le sue reti, ricevendo una risposta sgarbata: ar­rabbiato, era rientrato in porto, aveva preso il fucile, era tornato in mare raggiungendo di nuovo la barca di cognato e testimone. Bramante so­stenne che ci fu un litigio, che sparò contro Di Mauro senza capire più niente e dopo che gli era stato sca­gliato contro un remo; negò d’aver minacciato il testimone e d’aver sca­ricato il cadavere in mare, soste­nendo che era scivolato per la fu­cilata. Versione alla quale il gup non ha creduto.

gazzetta di capitanata

 

 

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