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A proposito del «ghetto di Rignano»: analogie con il Tavoliere del tardo Settecento

Riceviamo e pubblichiamo.

 

 Il recente articolo del giornalista Gennaro tedesco, «Il ghetto di Rignano: subito una soluzione», pubblicato  da «Il Fatto del Gargano» il 16 febbraio, ci rimanda direttamente ad altri tempi e ad un’ opera del 1790 intitolata Della natura e sorte della cultura delle biade in Capitanata, dedicata al Palmieri, scritta dal viestano Natale Maria Cimaglia, il cui genio è stato recentemente ricordato dall’eminente storico garganico da poco scomparso, Tommaso Nardella, nel saggio dal titolo esplicativo: «Natale Maria Cimaglia: un illuminista garganico tardo settecentesco».
Il segnalato testo del Cimaglia illustra le condizioni estreme dell’agricoltura del desertico Tavoliere, ponendo nella giusta rilevanza la mancanza di manodopera quale fattore decisivo del mancato sviluppo agricolo, seppur in un contesto allora fortemente condizionato da una pastorizia predominante e privilegiata dal sistema fiscale della Regia Dogana.
Lo stesso docente di Storia Moderna presso l’Università di Foggia, Saverio Russo, in Abruzzesi e pugliesi: la ragion pastorale e la ragione agricola, rileva nel testo del Cimaglia «un’analisi ampia e circostanziata dei difetti del sistema cerealicolo della provincia del Tavoliere» che chiarisce e definisce «il segno dell’acquisita legittimazione della cerealicoltura» in sostituzione della solita, scontata e storica polemica contro la pastorizia.
Natale Maria Cimaglia, osservatore privilegiato del territorio, anche perché aveva svolto nel passato la prestigiosa attività di avvocato dei poveri presso il Tribunale della Regia Dogana di Foggia, nel testo citato descrive le difficoltà che si incontrano nel mese di ottobre ad arare i campi, a causa della ricerca spasmodica e generica di improvvisati braccianti e operai, provenienti da qualsiasi area geografica e da qualsivoglia mestiere:

«La povertà delle braccia è tale e tanta che, approssimandosi l’ottobre, ciascun massaro spedisce sopra le pubbliche strade i suoi capi d’ufficio per condurre all’aratro qualunque povero uomo s’incontri vagando per chiedere da vivere, sia egli di suo mestiere ciabattino, ferraio, falegname, carpentiere o altrimenti […] Gli operai pugliesi sono ordinariamente languidi, pigri, tardi, presuntuosi, ciarlieri, testardi, ladri. I forestieri avrebbero miglior carattere se non divenissero gl’imitatori de’ pugliesi testoché veggonsi con essi accumulati. Questo intanto è il popolo che assicura la sossistenza a gran parte della nazione».

Se questa era la modalità di ricerca di manodopera a fine Settecento, come definire l’attuale presenza di migliaia di «schiavi» accampati senza diritti?

Emerge anche qui chiaramente, ieri come oggi, il quadro desolante di un’agricoltura dauna  consegnata nelle mani di operai e braccianti disorganizzati, impreparati, inesperti i quali, per di più, non essendo affatto i proprietari e i possessori delle terre, sono poco o nulla interessati ai risultati colturali, totalmente presi e angustiati dalle loro misere e precarie condizioni sociali ed economiche.

E quel che ancor più aggravava lo stato dell’agricoltura del Settecento viene desunto dalla disarmante descrizione del caratteristico, e del tutto peculiare, proprietario o possessore latifondista dauno da parte del Cimaglia:

«I campi pugliesi non sono mai diretti e governati dall’uomo, al quale unicamente interessano. Questi […] hanno appena qualche equivoca idea dell’arte dell’agricoltura, appresa da’ loro stessi ignorantissimi villani, i quali guidano a tentoni i loro padroni, senzachè l’evento interessi mai il maestro. La povera gente che colla propria persona coltiva i piccoli campi costantemente professa diversi mestieri, tutti lontani dall’agricoltura ed i quali, come più interessanti, la tengono per la maggior parte lontana dalle campagne».

Come definire oggi il proprietario terriero che per mandare avanti la propria azienda utilizza  «gli ospiti del ghetto, quelli che pur lavorando non riescono a pagare l’affitto per una casa dignitosa»?
Carnefice o vittima di un sistema economico e di politiche sbagliate che continuano a penalizzare l’attività agricola?

In ogni caso, citare le parole di Gennaro tedesco, «la Puglia che guarda al futuro, che vuole essere terra di convivialità e di convivenza deve finalmente indignarsi fino in fondo a qualunque residuo di schiavismo e di Medioevo», può aiutare a risolvere il quesito.

Michele Eugenio Di Carlo

 

 

 

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