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Uccelli a Siponto

 

L’Arte è ovunque e in ogni cosa. Non è sentenza salomonica, è un indizio dell’inflazione in atto dei valori etico-culturali (la recessione economica è un morbido contrappasso). Inutili le arringhe per salvare la dea svenduta; riconoscerla, difenderla, distinguerla da ciò che non lo è, non serve.

Le muse non si oppongono ai verdetti della bancarotta. Nei caveau fraudolenti del linguaggio non si corrono rischi. Allora inoltriamoci nelle congetture, dimorando nell’opinione, luogo propizio – ma non troppo – del progresso umano.
L’occasione ci costringe complici e rei per abuso della parola “arte” (ridotta com’è sarebbe meglio adoperarla il meno possibile). Tuttavia, con i saldi in corso, ne faremo spreco per esubero merce…(o per esaurimento).

Sulle patine della superficie la modernità ha trovato il suo destino e il suo compimento. Dalle altezze accademiche alle banalità del quotidiano, tutto è circonfuso dallo spirito dell’arte; ci si illudeva della perdita della sua aura, invece la si ritrova mercantile in qualunque cosa: nei musei, nelle gallerie, nelle strade, sui muri delle periferie, nella catena di montaggio,  fino alle panoplie high-tech nobilitate dalle elaborazioni virtuali. Tutto un intruglio cucinato con l’idea religiosa dell’originalità creativa dell’individuo eccezionale: l’artista, un fenomeno piazzabile tra i tanti. La protesi del sistema pubblicitario, con grande coscienza critica,  forgia e sostiene l’acclamazione del campione, garantendolo per ogni evenienza: questo magnifico ‘transformer’, metà ‘bricoleur’ metà ‘maudit’, predisposto più a escogitare delle “trovate” che ad esprimere soluzioni. L’estetizzazione totale del mondo – ovvero la sua spettacolarizzazione – è evidente già da tempo.
Anche il vilipeso Sud inizia a ritagliarsi un angolo dignitoso nel mondo della cultura, grazie all’Europa e ai turisti.

In questo periodo il golfo di Manfredonia è la scenografia eletta di una operazione culturale di ampia risonanza, denominata “Dove l’arte ricostruisce il tempo”, un asserzione di notevole statura filosofica, di raffinata speculazione. Non è il caso intrattenerci sulla sonorità dell’annuncio, spazio e luogo non consentono disquisizioni sull’arte in relazione al tempo, di come si comporta e di come si muove nel suo interno. Quindi lasciamo i proponimenti ambiziosi della filosofia – forse la sfioreremo per supponenza – e accostiamoci alle certezze più modeste, ma dirette, dell’esperienza sensoriale: la ‘aísthēsis’.
È una bella giornata di Maggio. Camera Cromatica, dopo aver fatto shopping al Leclerc con alcuni associati, è stata sorpresa da un cinguettio lontano. Pur non essendo dei turisti, né per destino né per distrazione, la brigata decide comunque di prolungare il tragitto e approfittare del richiamo culturale. Alcune impressioni e divagazioni.
È piacevole accedere gratuitamente alle feste organizzate, sentirsi graditi e allo stesso tempo attratti dalle bevande inebrianti; non si deve aver paura di essere esclusi dagli eventi culturali, soprattutto quando è assicurata la presenza imprescindibile dello ‘spettacoloso’, vero ‘Deus ex machina’ dei tempi.
A Siponto posano poche pietre – stabili, quiete – di antichi tracciati sacri. L’immaginazione innalza un tempio, ricorda cattedre vescovili, localizza ipogei sparsi. Decifrando linee invisibili si collegava il cielo con la terra, dei e uomini, mondi superiori e mondi inferiori.
Invece, i restauri di pavimenti musivi e qualche recinto di sacralità esiliata, con gli stimoli dei valori prettamente moderni, hanno motivato la scelta di una impalcatura metallica, d’investitura artistica. Antico e moderno si salutano in un abbraccio fatale.
Tutto si dissolve in una rappresentazione dello sfumato.

Appare visibile uno stabilimento della matita, del chiaro-scuro, scaturito dall’opzione ‘fil di ferro’ dei programmi grafici: una gigantografia in 3D materializzata dalla tabula rasa dell’elettronica, lavagna nero-vuota dove si disegna l’anima dell’uomo e il destino dei mondi. La trasposizione di pixel confezionati in realtà visitabile è il prodigio espressivo. Per godersi al meglio l’effettistica dell’ologramma controluce, un suggerimento: si consiglia la visita verso sera, la luce artificiale mette in evidenza i dettagli e i volumi altrimenti nebulosi. Oggi senza riflettori non si riesce a vedere niente.
Poiché siamo ospiti dello stagno incantato dell’arte, cerchiamo di lambire alcune questioni sull’esperienza estetica. La contemplazione di un’opera può essere un’occasione, un tentativo di scoprire il senso più profondo di ciò che l’arte cela tramite la superficie.
Quali potenze psichiche risveglia, quale trasformazione interiore è capace di innescare l’arte? Quale necessità spirituale incarna, o è già essa stessa frutto di una realizzazione spirituale? Insomma, quest’arte riscatta l’affanno della vita? “Frequentiamola e lo sapremo, nello svago la  bellezza ci risveglierà tra le sue braccia”, così recita l’adagio a buon mercato.
Questo lo sperpero  dei concetti generali; sbarazziamocene e puntiamo allo specifico concreto – per non dire al ‘piccolo’ – riformulando domande per induzione. Qual è il messaggio della nostra opera? è quella di evidenziare simbolicamente la precarietà dell’esistente? oppure la manifestazione dello svuotamento dell’uomo – passata per “leggerezza” – abitato dai suoi fantasmi del passato e del presente? O ancora, l’esaltazione del divenire e dell’inconsistenza della materia in profilo onirico, divinizzando il futuro? Sono tutti quesiti che fanno della struttura filamentosa una risposta affermativa, perfetta: una testimonianza impeccabile dell’impermanenza del mondo, della sua illusorietà.
Sembrerebbero indizi di sommarie dottrine orientali (sfogliate e corrotte: il nostro Oriente = relax); oppure, con propositi più ricercati, una interpretazione della fisica moderna in forma visibile. Forse nulla di tutto ciò, di così esagerato, di così alto a confronto di un elementare progetto per il passatempo domenicale. Ad ognuno le sue vaghe letture. Qui si è voluto riprodurre semplicemente, e ipoteticamente, una chiesa paleocristiana  percepita ad alta velocità, promettendo ai visitatori un illusorio viaggio nel tempo.
Sappiamo che per assicurarsi affluenza e consenso sono necessari mezzi di persuasione o di attrazione di tutto rispetto: fascinazione, meraviglia, trasalimento emotivo, shock estetico; tutti artifizi per eccitare la pacifica dinamica della percezione. È anche vero però ritenerli, come lo sono sempre stati, veicoli adatti al raggiungimento di obiettivi che vanno oltre il semplice appagamento dei sensi. Ci sono ambiti e aspirazioni che risiedono al di là della scontata reattività emotiva. Una combinazione di fenomeni goduti solo esteriormente è indice di una sensibilità grossolana, intrappolata nell’alternanza delle valutazioni superficiali: la sfera volubile del ‘piacere’ e ‘non piacere’ restano mete del gretto automatismo emozionale. L’esperienza estetica, nella sua integrità, va oltre la dimensione degli aspetti formali; pretende il coinvolgimento di altre attività, dove sia possibile non solo l’osservazione ma soprattutto la comprensione del Mondo nella sua pienezza, ‘in veritas’ (la servile ubriacatura della percezione e dell’intelletto non basta).
Nella solitudine, tra un’evasione e l’altra, tra amici e foto ricordo saremo sempre in attesa della prossima sbornia educativa. La cultura – altra parola in ‘spirito’ – è il paravento edificante dell’alcolismo contemporaneo.
Sconfinando illecitamente nella sobrietà è però possibile scomodare argomentazioni extra-artistiche.  Una volta si costruiva una chiesa come simbolo del corpo di Cristo, immagine discesa e sovrapposta a quella dell’uomo. Oggi il tempio può rinascere anche come voliera artistica – un richiamo alle migrazioni pennute? – aspettando che il figlio dell’Uomo risorga come uccello spiumato – pollo adatto alla devozione del turista fotografo. Dalla ‘Domus Dei’ alla ‘camera obscura’.
Con un’inventiva di mero ordine pratico, dalle patine storiche si erge una zanzariera monumentale, set favoloso, ispirato più da Harry Potter che dai leggendari Templari. Quanto più vivi sono i ruderi sopravvissuti, quanto più reale sarà la ruggine nei confronti dell’inalterabilità della luce, lapidea, intelligibile. Invece che pietre  decifrabili e immobili senza tempo – resti metafisicamente animati – ammireremo la corrosione materiale dell’idea ferramentosa. Quanto durerà l’erosione della gabbia sulla poesia dei luoghi? Non è un problema: visto il sito, il pensiero archeologico lo gusterà come relitta, catalogandola tra testimonianze e reperti del futuro prossimo. Nel frattempo la pioggia corrosiva bagnerà il ‘genius loci’.

Ma queste sono osservazioni pretestuose e anacronistiche, di facile sarcasmo, intrisi di credenze e simbolismi ormai deceduti, oscurantisti. Riconsegnamoci all’attualità.
L’armatura eretta ha aumentato i tagli prospettici dell’area veneranda, almeno fotograficamente. Da ogni angolo l’alone opacizzante si esalta abusivamente, avvinghiandosi sottobraccio alla limpidezza dei corpi preesistenti, ieraticamente trapassati. La chiesa fantasma appare come monito incombente sul capolavoro di pietra ancora intatto. Un oracolo minaccioso grava su Santa Maria Maggiore, la sopravvissuta: «Prima o poi anche tu, cumulo calcareo d’ordine celeste, sarai trasformata in sagoma spettrale dalla razza WI-FI, progenie di Copia ed Incollo».
L’evanescente neo-architettura, con la sua trasparenza, stranamente opacizza lo spazio, non assorbe luce, non diventa corpo luminoso come lo è ancora la basilica superstite, disegno di una mente superiore e fabbrica sapiente di mani purificate nell’anonimato. Al contrario, il traforo metallico subisce l’effetto di uno sciame geometrico, pulviscolo saldato nella lucentezza del cielo.
Concludendo, oltre alla riuscita operazione d’immagine e di finanza, noi di Camera vogliamo recuperare l’antica divinazione straboniana: “Sepiunte”, luogo di abbondanti seppie. Inariditi i mari,  in loro memoria non restano che le nasse, assemblate in pezzo d’arte. Ma anziché i molluschi di Strabone, nella ferramenta sipontina si adescano le anime paganti dell’arte temporanea.
Tra estetismi e design si innalzano opere ombrose: abitatori del tempo godiamo l’ebbrezza del fumo. Non più Esperii ma Cimmerii.

Francesco Lorusso (associazione Camera Cromatica)

 

 

 

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