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Vico/ L’antica Torre violentata – Fuori i nomi!

Caro Direttore,
la “querelle” sull’intervento insensato alla Torre di Largo del Conte dell’antica cinta muraria di Vico del Gargano ripropone la domanda di fondo: di chi è il passato? Il passato – risponde Giuliano Volpe, nel panorama accademico, “rara avis” di mirabile sintesi tra rigore scientifico ed esposizione colloquiale, nel suo accattivante e godibilissimo “Patrimonio al futuro” – è di tutti.

 Ma l’affermazione dell’insigne Presidente del Consiglio Superiore dei “Beni Culturali e Paesaggistici” del MIBACT è messa seriamente in discussione dal preoccupante ossimorico “silenzio assordante” dell’Assessore all’Edilizia e Urbanistica del Comune garganico, dall’Ufficio Tecnico del Comune medesimo e, segnatamente, da chi ha istruito la “pratica”, dal Direttore dei lavori, da chi doveva verificarne la regolare esecuzione e la coerenza con le prescrizioni delle “Soprintendenze uniche” (espresse, invero, nel consueto linguaggio “esoterico” e oracolare) e – perché no – dal propietario dell’immobile (un “amico degli amici”?) che, quando la vicenda non lo riguarda, “filosofeggia” sulla necessità del “rigore filologico” del restauro, in uno degli esclusivi conciliaboli della “contrattazione del salotto buono” dell’Associazione “Terra – Civita – Casale”.   
Nella polemica promossa su “l’Attacco” da Michele Angelicchio, sono intervenuti, con straordinario tempismo, i componenti del “Comitato paesaggistico” locale, con una piccata dichiarazione di “estraneità” ai fatti denunciati, cui è seguito l’immancabile e fuorviante annuncio di querela al giornalista.
Non potrebbero (dovrebbero), invece, i tre professionisti, in un rigurgito di lodevole resipiscenza, più utilmente richiedere “ora per allora” al distratto tecnico comunale istruttore l’inoltro della documentazione “de qua”, al fine di essere posti nella condizione di esprimere il loro parere, nel caso di specie, “oggettivamente” dovuto? O il ricorso alla “carta bollata” vale solo a creare un motivo di “evasione” da quella che, per acquisizione (quasi) unanime, è un’autentica porcheria? E non potrebbero (dovrebbero) gli Organismi comunali preposti compiere un atto di ordinaria saggezza, disponendo, con la rapidità che la situazione richiede, l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione concessa e il ripristino dello stato dei luoghi, a dimostrazione che si incentivano le “buone prassi” e non si agevolano comportamenti sbagliati e pratiche e operazioni di bassissimo profilo?
Michele Angelicchio, che ha tirato fuori la “storiaccia”, non fa nomi, ed è un vero peccato. Sicché essi (ancora per un po’) rimarranno “coperti” nella muraglia delle scartoffie e perfino nel pruriginoso chiacchiericcio agostano.
I “distruttori” sogghignano e sono certi che scriviamo “sull’acqua”. Forse hanno ragione. Ma è sperabile che, una volta per tutte, la loro protervia non continuerà a farla da padrone su chi mira alla riappropriazione del patrimonio storico, ambientale, culturale da parte dei “legittimi” proprietari: appunto, i Vichesi. Cordialmente.

Giuseppe Maratea

 

 

 

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